La figura paterna
e le sue funzioni


Introduzione
maria grazia fusacchia


“Ogni membro dell’uditorio è stato,
una volta, un tale Edipo in germe
e in fantasia, e da questa realizzazione di un sogno
trasferita nella realtà,
ognuno si ritrae con orrore
e con tutto il peso della rimozione
che separa lo stato infantile da quello adulto”
(Sigmund Freud, 1897, pag. 307)


Freud confida a Fliess la sua scoperta, “una cosa difficile da esporre per iscritto”, meditata nell’intreccio tra lavoro di autoanalisi, che inizia con la morte del suo vecchio, e l’intuizione che le scene di seduzione dei suoi pazienti non fossero altro che una messa a lavoro delle formazioni inconsce. È la prima volta che il Padre della psicoanalisi menziona il complesso edipico, avendo appena messo da parte i suoi neurotica, la teoria della seduzione, secondo cui attribuiva al padre, non escluso il proprio, la colpa della perversione nei confronti dei bambini.
Mi sembra che questo sia il preambolo di un’idea che ha permeato l’intera opera freudiana, che istituisce un vincolo tra il padre, il riconoscimento della sessualità infantile e la configurazione edipica del desiderio umano.
Nella teoria freudiana, la figura del padre è un’idea insistente e, contemporaneamente, inafferrabile, sostanzialmente, è il presupposto necessario che struttura la concezione della psiche inconscia e che, di rimando, lo dimostra; per Freud, il padre è il presupposto di ogni essere desiderante.
Come stanno le cose oggi, a più di un secolo di distanza dall’atto fondatore?
Possiamo pensare che questo desiderio di padre e, implicitamente, desiderio del padre, siano legittimati, sia a livello personale, sia di coppia e familiare, a fronte dei radicali mutamenti intervenuti a livello sociale e culturale?
Cambiamenti che, è bene considerarlo, a livello socio-giuridico sono sempre interpreti irriducibili di una metamorfosi già avvenuta a livello delle relazioni familiari e dei rapporti tra i sessi.
I lavori presentati in questo focus, cui farà seguito un successivo dedicato ad approfondire le concettualizzazioni di D.W. Winnicott sul padre, attraverso i contributi di F. Duparc e di V. Bonaminio, s’inseriscono all’interno del dibattito sulla figura del padre e delle sue funzioni che, in questi ultimi anni, sembra aver trovato rinnovato interesse anche all’interno della comunità psicoanalitica, nazionale e d’oltralpe.
A questo proposito, ricordo il Congresso degli psicoanalisti di lingua francese “Le paternel” (Parigi, 2013) e il dibattito SPI Web del 2013/14, curato da G. Bambini, intitolato: “La funzione paterna ieri e oggi: analogie e differenze”. Tra le molteplici iniziative promosse, vorrei menzionare anche la SIPsIA (Società Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica del Bambino, dell’Adolescente e della Coppia) che, già dall’autunno del 2012, ha stabilito di dedicare a questa tematica la propria attività scientifica, raccogliendo numerosi e originali contributi, ispirati dall’intento di approfondire e meglio delineare le poliedriche e composite forme in cui il padre interviene sulla scena psichica dei bambini e degli adolescenti, ponendosi come essenziale riferimento per la strutturazione dell’identità soggettiva.
Proprio da questo fecondo terreno provengono alcuni dei contributi qui proposti che, implicitamente, danno conto all’ampio respiro dato a questa tematica, che ha potuto avvantaggiarsi della pluralità dei paradigmi teorico-clinici con cui i diversi Autori hanno declinato la questione.
L’ordine con cui sono stati proposti può essere concepito come una sequenza che, da una visione d’insieme, progressivamente si focalizza sul particolare, la clinica. Alcuni dei lavori sono accompagnati da un commento di altri Autori e, per non appesantire troppo questa introduzione, lascerò al lettore il piacere di scoprire queste note.
Gli straordinari cambiamenti che sono intervenuti all’interno dei costumi, dell’economia, della scienza e della cultura si riverberano senza dubbio nelle relazioni sociali, familiari e di coppia, e ci sollecitano ad interrogarci su quali potranno essere le ricadute sullo psichismo umano. Sappiamo con Kaës che le forti spinte alla rottura, o comunque, al superamento dei valori e delle tradizioni sono il prodotto di una crisi degli organizzatori meta-sociali e metapsichici, sui quali poggiano i nostri schemi di riferimento (in primis l’Edipo), e che il disagio della clinica contemporanea spesso evidenzia un’incertezza identitaria, una confusione e dispersione del soggetto, che invita a ripensare alle vicende dell’essere umano e al suo enigmatico rapporto con le origini.
Penso alle nuove forme di procreazione assistita (recentemente anche la legalizzazione dell’inseminazione eterologa), ma anche al crescente aumento di famiglie omoparentali, situazioni queste che ridiscutono significativamente i rapporti uomo-donna, rendendo ancor più complesse e oscure le dinamiche inconsce del desiderio e, quindi, della filiazione.
Questa crescente emancipazione del corpo, che si va affrancando dal giogo che la natura gli ha imposto per la procreazione, ridiscute gli assi di riferimento della filiazione, interrogandoci sulle modalità e i processi con cui l’apparato psichico metabolizza ed integra la matrice originaria con una dimensione altra, nella fattispecie del paterno. La manipolazione dei ritmi e delle funzioni fisiologiche implica una progressiva disgiunzione tra il padre biologico e la paternità, quest’ultima intesa come funzione inconscia, legata al desiderio di un figlio, di cui prendersi cura.
Come suggerisce Balsamo, assistiamo ad “uno slegamento del rapporto fra lo strumento giuridico del matrimonio e la filiazione, fra accoppiamento sessuale e filiazione, fra eterosessualità e filiazione, fra permanenza in vita e filiazione – si può generare col seme congelato di qualcuno che è morto da tempo – o fra identità e filiazione, decidendo ad esempio, in una coppia lesbica di generare alternativamente un bambino, o infine fra desiderio e filiazione, e così via”.
Tanti sono gli interrogativi: essere padre o madre è una funzione destinata socialmente a scomparire? Quali fantasie alimentano il desiderio di un bambino? Quale scena primaria? Quale configurazione del fantasma delle origini? Quale spazio verrà riservato al figlio all’interno di queste alleanze inconsce? Quali patti narcisistici si andranno ad annodare nelle relazioni padre-figli? Quale posto occuperà il padre all’interno di questi nuovi ritratti di famiglia?
Tutto ciò è un enigma che interroga la psicoanalisi, sfidandola a mettere a lavoro le sue teorie e i suoi concetti fondamentali.
In ambito della clinica, spesso il riferimento al padre lo qualifica in termini negativi. Il padre è morto, assente, mancante, evaporato, destituito, squalificato, abbandonico, inconsistente, non desiderabile, la sua funzione è smarrita. Parrebbe allora che il padre sia un’allucinazione negativa: quando c’è non si vede.
Tuttavia, se la figura paterna viene descritta sovente in termini negativi, indebolita, svuotata e inconsistente, simultaneamente, però questa viene invocata, talvolta, con velati spunti nostalgici.
Se ne parla molto per dire quello che non è, ma in definitiva cosa è un padre?
R. Roussillon, nel testo qui proposto, con molta semplicità, afferma: “non c’è una madre senza un padre e non c’è un padre senza una madre, e soprattutto senza una relazione tra la madre e il padre”.
Nei testi di diversi Autori si osserva un unanime riconoscimento al contributo strutturante del paterno che non necessariamente corrisponde al padre reale, ma ad una funzione terza, differenziate. Terzo, come operatore metapsicologico suggerirà Balsamo, terzo come istanza regolatrice e insieme contenitore del legame o, ancora, come oggetto analitico originale, secondo quanto propone Carau.
A. Green ha proposto di riconoscere i precursori della funzione paterna, già nello sguardo del padre, che anticipa molteplici funzioni psichiche.
Anche se solo intuito dal bambino, con il suo sguardo, è il precursore del terzo, configurandosi come un’anticipazione della separazione, come un impedimento all’appagamento totale che, in seguito, si raccorderà alle esperienze di dispiacere.
Green pensa che il padre, testimone della scena, provi nostalgia per qualcosa che per lui è andata perduta, mentre la madre e il bambino godono il privilegio di viverla.
Nello sguardo paterno perciò si coagulano gli effetti della rimozione, già individuati da Freud nell’attività di auto-osservazione, che costituisce una componente essenziale del super-Io, che si dispiega mediante un meccanismo di rivolgimento su di sé.
Alla luce di tali riflessioni si può pensare che la funzione dello sguardo, di riconoscimento e di contenimento, spetti ad entrambi i genitori, per quanto operi in guisa differente.
Un’ulteriore valenza che Green assegna alla funzione paterna, designata come l’altro dell’oggetto, è quella di istituire lo spazio dell’assenza. In quanto, la sua assenza dalla scena può essere considerata nei termini di una condizione di apertura della dimensione immaginativa e di pensiero, relazione esemplare nella quale si organizzano l’identificazione e l’ideale.
Il padre, agli inizi, separa il bambino dalla madre, separazione che, peraltro, stabilisce un nesso con il desiderio, con il sessuale della donna. “Anziché parlare di secondo oggetto, rispetto al padre – scrive Green – è meglio dire che la triangolazione, inaugurata dalla sua presenza nel presente tra il bambino e la madre, fa nascere l’altro dell’oggetto”.
Con questa formulazione, Green ci introduce al concetto di una struttura ternaria, che comprende il soggetto, l’oggetto e l’altro dell’oggetto, che non corrisponde al soggetto, e che potrà aprirsi a molteplici relazioni mostrando le varietà della terzietà.
Così concepita l’assenza potrà allora essere pensata, non già come perdita, bensì come una posizione intermedia, necessaria a stimolare la creatività e la vitalità psichica. Qui la funzione paterna diviene anticipatoria dei processi di costituzione del preconscio e dello spazio transizionale.
Ma come possiamo declinare queste feconde teorizzazioni con la realtà in cui siamo immersi, spesso traumatica per le sue straordinarie e accelerate trasformazioni, che consumano l’esperienza, sacrificando il tempo dell’assenza, dell’attesa, come pure quello dell’esperienza e della possibilità di pensarla e di rappresentarla?
M. Balsamo, con il suo scritto, “Immagini del padre nella narrativa contemporanea” approccia l’argomento proponendo una puntuale riflessione sull’accezione del termine “contemporaneo”, suggerendo di non considerare che questo termine, spesso utilizzato in modo indiscriminato, sia “necessariamente legato ad una logica di tipo evolutivo-lineare”, ma piuttosto vada inteso, in una prospettiva psicoanalitica, come “la riapparizione di un elemento o di una serie di fenomeni anacronistici, fuori tempo, o giacenti ma non pensati, nel tempo presente, che possono assumere infine rilevanza grazie alla comparsa di un modello clinico-teorico in grado di assumerli”.
Come il titolo del lavoro illustra, l’A. ha utilizzato come strumento di indagine per la sua ricerca le narrazioni letterarie contemporanee, seguendo l’ipotesi avanzata da Platone nel Fedro in cui afferma che “il testo scritto è come un figlio incapace, parricida, e che la scrittura si inaugura come parricidio, perché è qualcosa che rotola di mano in mano, senza protezione, senza garanzie di modifica e di ritrascrizione”.
Il suo scopo è quello di riconoscere, nei diversi racconti esaminati, l’importanza del lavoro culturale, kulturArbeit, di freudiana memoria, strettamente connesso con i processi di sublimazione.
L’attività letteraria è quindi un tentativo di declinare diversamente la potenzialità del pulsionale, attraverso una modalità altra, condivisibile e trasmissibile.
L’A. scrive: “In questo senso la scrittura letteraria appare come un buon esempio di una ricognizione delle differenti versioni che possono essere elaborate del rapporto col padre nella modernità”.
Attraverso una disanima di numerosi racconti, che spaziano geograficamente, Balsamo evidenzia che si è compiuta una significativa trasformazione negli stili letterari con la crescente ricerca di forme che aspirano ad “una inchiesta sull’ascendenza, fragile, disseminata, incerta, del soggetto”.
Nel romanzo contemporaneo il tema dominante è quello della perdita dei riferimenti originari, poiché “la storia è distrutta, lacerata, e appare a tutti gli effetti una scrittura del disastro (Blanchot), del silenzio sulle origini… non si tratta, per loro, che di orfani, di soggetti in cui la trasmissione è rotta, è il silenzio, il segno dell’impossibile a trasmettere che regna sovrano”.
I racconti evidenziano, al contempo, la ricerca di “un’anteriorità senza faglie”, espressione del bisogno di poter scongiurare e tacitare un penoso sentimento di abbandono, di ripudio, o ancora di vergogna, che dà conto del senso di fragilità sociale.
Le opere letterarie analizzate, indubbiamente eterogenee perché provenienti da contesti socio-culturali diversi, propongono immagini della figura paterna differenti, talvolta anche contrastanti. Molto sommariamente, si può dire che, nell’Occidente, prevalgono figure paterne assenti o sconfitte, segnate dalla piaga della disoccupazione, dall’esclusione o dalla guerra, condizioni che rendono incerto e privo di orizzonte il futuro. Mentre, nella cultura araba, sembra resistere la figura del padre dell’orda freudiana, che conserva quelle caratteristiche di tirannia e di violenza pulsionale; ciononostante, Balsamo osserva che nei romanzi possono combinarsi il potere assoluto con un senso di estrema fragilità. Il padre, comunque, anche in queste terre viene percepito come figura vaga, sospesa, priva della capacità di assicurare la trasmissione e dare senso ad una vita.
Balsamo fa notare una contraddizione e prova a decifrare le ragioni della fragilità del padre all’interno della cultura araba. La violenza del paterno che, peraltro, si associa all’assenza, potrebbe rappresentare un disperato tentativo di resistere al potere materno.
Tale visione che contrappone il potere materno a quello paterno può, tuttavia, condurre ad una visione ristretta, che misconosce le diverse rappresentazioni del padre, dalle quali si ricava la necessità di ponderare la mutevolezza dei parametri, anche in ragione delle geografie.
Sviluppando il suo discorso, Balsamo avanza la suggestiva proposta di pensare al padre in termini metapsicologici, come costruzione metapsicologica, superando il padre nella sua singolarità.
Da questa prospettiva, si può concepire “il padre innanzitutto come un operatore metapsicologico, cioè l’insieme delle funzioni che trovano rappresentanza in un oggetto chiamato di volta in volta “madre”, “padre”, “soggetto” “terzo”… Potremmo considerare “l’operatore padre” come quell’insieme funzionale che non si appoggia su una dimensione percettiva e che rappresenta il negativo della stessa, e che realizza la differenziazione fra percezione e rappresentazione, fra le topiche psichiche, iscrivendo nella psiche la temporalità dell’après-coup e della ripresa simbolizzante. Anche la violenza del pulsionale, da cui il padre stesso non sfugge, può essere in quest’ottica ripresa e metabolizzata, proprio attraverso il lavoro della cultura, di cui si è detto, e di cui l’attività letteraria è una raffinata estrinsecazione, che “esprime i tentativi e le modalità di elaborazione della violenza, sia descrivendo/narrando/ producendo padri violenti, sia falciati dalla violenza della storia e, dunque, di figli ormai disillusi”.
Riprendendo poi questioni, senz’altro attuali, come ad esempio le famiglie omoparentali, Balsamo si domanda, alla luce dell’ipotesi avanzata: “Si può negare l’inconscio e la sua bisessualità, in una coppia omosessuale? E il sociale sarebbe solo per questo espulso? Come potrebbe quest’ultimo sparire dai vissuti e dalle percezioni di un infans anche se adottato da una coppia senza donne? Può una singolarità storica espellere la problematica dei fantasmi originari? La funzione terza sarebbe cancellata? E così via…”
Conclude il suo scritto, rafforzando l’idea che la dimensione paterna sia riconducibile all’indispensabile funzione del lavoro culturale, ma anche che sia ispirata dalla necessità di “reinventare l’origine per poterla davvero possedere”.
Il contributo di René Roussillon, insieme a quello di F. Duparc, la cui pubblicazione è prevista per il prossimo focus, costituiscono un’interessante concettualizzazione degli psicoanalisti francesi, i quali assumono questo argomento attraverso una rivisitazione del pensiero di Winnicott. Infatti, entrambi i lavori, pubblicati già da tempo (2003) nel volume curato da J. Guillaumin e G. Roger, intitolato “Le Père. Figures et réalités”, conservando una loro attualità, forniscono un prezioso apporto per una più approfondita conoscenza dell’originalità delle ipotesi elaborate da D. W. Winnicott in merito alla riflessione sulla funzione paterna.
L’articolato e denso contributo di R. Roussillon, intitolato “Figure paterne: il piacere della differenza”, mostra come questo Autore possa addentrarsi nella sua riflessione, vantando una notevole padronanza delle teorie psicoanalitiche e proponendo una felice articolazione tra il pensiero di Winnicott e il pensiero freudiano.
Nell’accostarsi al tema, Roussillon afferma che il rinnovato interesse per la funzione paterna, può essere imputato da un lato all’“importanza di quest’ultimo per la conquista e l’uso della simbolizzazione e, dall’altro, anche se non sempre ammesso, la teoria psicoanalitica, la vulgata psicoanalitica, per il modo con cui la teoria opera nell’ideologia dei gruppi sociali, ha messo avanti il padre per tentare di esorcizzare la terrificante imago materna delle origini, che timidamente si nasconde dietro l’analisi degli auto-erotismi”.
Per Roussillon, infatti, “pensare al materno e agli enigmi che lo costituiscono, senza desessualizzarlo… richiede forti ormeggi paterni, altrimenti, forte è il rischio che il pensiero cada nella beanza, nell’abisso, negli abissi senza fondo dell’impensabile della mancanza”.
La sfida con cui si misura la psicoanalisi contemporanea è quindi riconducibile alla necessità di considerare la funzione di mediazione del padre, che permette di pensare, immaginare, rappresentare, andando oltre, “integrando l’omosessualità primaria”.
Roussillon si domanda come sia possibile accostarsi al padre, alla sua figura ed alla sua posizione, senza fare appello ai “rudimenti di una teoria psicoanalitica sulle problematiche implicate nella sua funzione, come misurare l’impatto reale delle sue peculiarità, senza fare riferimento alle questioni fondamentali organizzatrici della psiche, al gioco delle differenze costitutive dell’identità umana?”
Questa riflessione mette in guardia dal rischio di venire catturati dai ruoli sociali, come pure, dal pericolo di pensare alla coppia genitoriale “indipendentemente dalle sue radici nella sessualità che la costituisce e fonda la sua origine, nel suo rapporto con la sessualità adulta, accuratamente differenziata dalla sessualità infantile”.
In modo estremamente chiaro l’A. afferma “Non c’è madre esistente, pensabile, senza sessualità adulta, senza conflitto tra sessualità adulta e sessualità infantile, quindi non c’è madre pensabile senza padre, senza uomo. Naturalmente, non è concepibile un padre all’infuori degli stessi criteri, non è pensabile il padre senza madre, senza rapporto con il femminile, con il sessuale femminile adulto o infantile. Padri e madri simbolici o immaginari fanno una coppia, in primo luogo e soprattutto, il fondamento è nel loro incontro e nell’articolazione con la questione del sessuale, da cui la simbolizzazione prende senso”.
La scoperta del padre, nella sua dotta e complessa riflessione, si fonda quindi sul riconoscimento della differenza, o per essere più precisi, sul piacere della differenza che Winnicott aveva anticipato, per Roussillon mediato dalla transizionalizzazione, che permette di scoprirla come fonte di piacere.
Nel processo di costruzione di questo altro, “doppio” di sé, Roussillon si sofferma sulle modalità con cui viene “interiorizzato… significato… soggettivato” il rapporto con l’oggetto, evidenziando la pregnanza del sessuale, che dà senso e soggettivizza questi movimenti strutturanti.
Il padre interviene in questo contesto come principio regolatore, principio della differenza, riconosciuto dal bambino attraverso la conscia e inconscia percezione degli stati emotivi della madre, includendo le “emozioni specifiche che iscrivono il posto della sessualità adulta”. Il padre così viene significato come differente fattore di piacere, attraverso la percezione di uno stato emotivo nella madre, che si lega all’incontro con il padre.
“È il piacere della madre nell’incontro con questo estraneo – osserva Roussillon – o la qualità di piacere specifico che lei prova e lascia percepire al suo bambino, che apre la via ad un piacere preso nell’incontro con la differenza, … È questa la prima sfida importante della funzione del padre… è questa l’apertura anche alla “capacità di essere solo in presenza dell’altro”, che segna la capacità di cominciare a superare la prima relazione speculare”.
In questa complicata combinazione tra gli elementi della relazione omosessuale primaria e la specifica emozione sessuale della madre, il bambino fa la scoperta del padre “come significante del piacere trovato nella differenza”.
Un altro interessante passaggio del testo di Roussillon riguarda la ripresa di uno storico interrogativo posto dal concetto di forclusione, che indaga l’eventuale individuazione di un tempo privilegiato entro il quale il padre simbolico viene presentato, trascorso il quale al padre reale non resta altro che venire considerato come un doppio materno o un intruso. L’A. ipotizza che tale periodo possa situarsi tra i sei e gli otto mesi di vita, quando la relazione di omosessualità primaria è in atto, supponendo che oltre questo intervallo di tempo, si vadano costituendo potenti difese narcisistiche che impediranno il varco alla “presentazione paterna significante… Molti casi clinici evidenziano … il carattere difficilmente reversibile di ciò che non è riuscito a strutturarsi in questo periodo cruciale per l’organizzazione della funzione simbolica” scrive Roussillon.
Le sue osservazioni traggono spunto sia da quanto deriva dall’esperienza clinica con i bambini, ma anche, dalla clinica degli adulti, sollevando l’importanza di non trascurare i tempi di una plasticità organizzativa dello psichismo.
Rivisitando quindi i concetti di padre immaginario e padre simbolico utilizza il modello del trovato-creato per illustrare i processi trasformativi dell’esperienza narcisistica, messa “in crisi dall’incontro con la differenza… Le esperienze soggettive narcisistiche primarie, o meglio le ri-presentazioni dell’ esperienza narcisistica ormai “perduta”, precipitano nella produzione di una rappresentazione dell’ideale di un altro-soggetto che può “tutto, subito, da solo e in toto”, ciò che Freud mette in scena nella figura del “Padre dell’orda primitiva”.
Questo padre “ideale”, com’è noto, dovrà essere “ucciso” perché il bambino, divenuto l’adolescente, possa accedere ad una rappresentazione di sé soggettivata.
A questo punto, Roussillon, utilizzando l’originale e feconda ipotesi dell’uso dell’oggetto, elaborata da Winnicott, riprende l’uccisione del padre per introdurre il concetto di limite, esito dell’introiezione del divieto, in primis, rivolto alla pulsione, alla sua ricerca di forme di godimento estremo, incarnazione, come dice “dell’imago materna primitiva”.
Questa morte simbolica è “all’origine dell’instaurarsi delle capacità di simbolizzazione, … determinata sia dall’atto altrettanto omicida fondatore del bambino, sia dalla capacità del padre reale di “sopravvivere” a quest’ultimo, per aprire al mondo del piacere… Se il padre immaginario deve “morire” nel nome del padre simbolico, il mediatore privilegiato dell’assunzione di quest’ultimo è la “sopravvivenza” opposta dal padre reale, dal padre del quotidiano, per la sopravvivenza del piacere del padre, nel quotidiano”.
Vediamo in questo passaggio quale sia la funzione del padre reale, confrontata con la dimensione immaginaria e simbolica, il cui significato e la cui importanza deriva dal compimento di questi significativi processi interni.
L’A. conclude il suo contributo soffermandosi sul ruolo del padre in adolescenza, utilizzando la metafora del gruppo, rifacendosi alle ipotesi teoriche di Anzieu e Kaës, ipotizzando che la funzione del padre, in quest’epoca della vita, possa essere concepita in questo modo: “Se il confronto con il gruppo riattiva le coordinate dell’imago materna, il modo in cui questo confronto viene gestito, in gran parte, dipende da ciò che è stato introiettato della relazione con il padre e del posto di quest’ultimo nell’universo sociale”.
Nell’incontro tra il padre e l’adolescente, costui scopre le qualità umane del proprio padre, che includono i suoi limiti e le sue debolezze, il superamento delle idealizzazioni, questo schiude alla possibilità di accedere ad una propria sessualità adulta e individualizzata, permettendo all’adolescente di conquistare una propria “psicologia individuale” e di sentirsi pronto per essere, a sua volta, disposto ad accogliere la funzione paterna.
Alle dinamiche della relazione padre/figlio si dedica anche il contributo di F. Mancuso, intitolato “Figlio-Padre: storia di un amore difficile”, che dà risalto a “particolari aspetti della figura del padre, in rapporto al figlio maschio” considerati come requisiti essenziali per la costituzione dello psichismo. L’A. evidenzia altresì, con molta accuratezza, che si tratta di processi cruciali e di snodo per la crescita del figlio maschio, i quali implicano un coinvolgimento ed una messa alla prova anche per il padre. In altre parole, accompagnano la comune evoluzione della coppia padre/figlio.
Naturalmente, Mancuso è consapevole che oscurare l’influenza della relazione con la madre sia un artificio, dal momento che la funzione genitoriale riguarda la coppia, e ciò spiega anche perché individuare un posto per la figura del padre pre-edipico o diadico o primario non sia tanto agevole, anche se a livello sociale, si assiste ad un indebolimento del padre edipico poiché si assottiglia sempre più la differenza dal modello materno. Nondimeno, l’A. non desiste dal mettere a lavoro la funzione e il ruolo del padre, se questi è nei paraggi, già a partire dai primi momenti della vita del figlio, quando il padre come “soggetto” fornisce protezione ed amorevolezza, senza tuttavia scivolare in una relazione fusionale.
“Il padre … arriva dopo la “prima poppata”, dopo cioè che il bambino ha trovato un certo benessere e forse si gode una certa quiete. Un fallimento in questa delicata fase dello sviluppo, può lasciare profonde ferite nella costruzione del Sé, nella soggettualizzazione, sia in termini di carenze, sia in termini di idealizzazione; ferite che saranno più evidenti nelle terapie con adolescenti e con adulti. Il fare come lui per essere lui, per assorbirne le qualità all’inizio non è per possedere la sua donna o per competere con essa, qui il padre è importante come «soggetto».
In questo percorso di approfondimento, diversi sono gli Autori lo accompagnano e con i quali argomenta la costruzione del suo pensiero. Condivide con Gaddini che l’acquisizione del padre è frutto di una spinta attiva nella ricerca di strumenti che serviranno all’elaborazione della perdita originaria. Il padre, quindi, è assunto come funzione simbolizzante.
Concorda con l’ipotesi di Blos sul ruolo degli investimenti narcisistici e dei movimenti identificatori che attrezzano il figlio ad ingaggiare la conflittualità edipica, e convocano il padre a sostenerla, e fa notare che, nell’antedipo (Racamier), invece, è la madre che equipaggia il figlio per l’eliminazione del padre.
Molto interessante è il passaggio in cui l’A. si sofferma sulla differenza ed i destini dei diversi livelli identificatori, spiegando che le identificazioni primarie con il padre primario faranno i conti con le successive identificazioni edipiche che, da una parte hanno come riferimento il padre … reale … e, dall’altra, il padre “come oggetto” nella sua funzione di barriera “contro l’incesto”… Il padre “soggetto” è ciò che il bambino/a vorrebbe essere e che è essenziale per le istanze soggettivanti del bambino. Il padre “oggetto” è il padre edipico: egli possiede quello che il bambino vorrebbe avere. […] possiede gli strumenti che possono far superare al bambino le angosce legate all’eccessiva vicinanza della madre edipica.
Procedendo nel suo scritto, prendendo a modello il parricidio, come dimensione familiare della conflittualità edipica, l’A. incunea come elemento determinante il processo evolutivo del figlio, il concetto di figlicidio, “intendendo ogni momento, evolutivamente rilevante, in cui si consente al bambino un salto progressivamente condiviso verso la crescita e parallelamente si recidono legami infantili relativi alla dimensione duale. Il concetto riguarda entrambi i genitori”.
Ipotizza quindi che, sul piano della realtà psichica interna, il parricidio e il figlicidio introducano una dimensione paradossale. Scrive al riguardo: “Il parricidio protegge dall’attrazione dell’incesto e, allo stesso tempo, rappresenta come detto una sorta di riparazione (si uccide differenziandosi e si ripara portando dentro). Il figlicidio, recidendo i legami potenzialmente incestuosi, consente al bambino di operare il parricidio. I genitori facilitano il lavoro psichico dei figli di ambo i sessi se si predispongono al “figlicidio”.
Conclude il suo complesso ed articolato lavoro, soffermandosi sulla funzione dello sguardo paterno, prospettando una lettura diversa da quanto descritto da A. Green (2008), proponendo che tale sguardo, in adolescenza, sia “metafora di una funzione interiore di benevola relatività, un gradino temporale nella relazione con se stessi, con funzione di rifornimento di libido narcisistica”.
Tale apporto permetterà all’adolescente di superare la conflittualità edipica ed aprirsi ai compiti evolutivi, là dove, invece, un desiderio non elaborato per il padre può costituire un intralcio.
Mancuso termina il suo lavoro osservando che con gli adolescenti “occorre tenere sempre presenti due livelli di emozioni… implicate parallelamente nei confronti del padre della realtà, ma anche della sua imago”.
Il testo di B. Carau, “Il paterno nella coppia”, seguito dal commento di Daniela Lucarelli, conclude questa cospicua rassegna di lavori, e sembra riprendere alcuni spunti e concetti discussi, non limitandosi ad approfondire la figura del padre, bensì, utilizzando il termine “paterno” come aggettivo sostantivato, come termine neutro e impersonale, che non appartiene ad una specifica persona, declinandolo piuttosto come una componente inconscia comune alla coppia, come “prospettiva congiunta della costellazione inconscia di coppia relativa alla posizione del padre”. Di qui, la scelta di approfondire tale tematica attraverso la teoria del legame intersoggettivo, che viene poi arricchita da alcuni passaggi clinici.
Carau spiega che questa prospettiva comune “è il perno di un’articolazione dinamica nella relazione della coppia genitoriale con il bambino quando parliamo di costruzione del padre nel bambino o sviluppo della funzione simbolica del padre nel bambino”.
Aggiunge ancora per meglio chiarire il suo punto di vista su tale scelta: “c’è un “paterno” inconscio nella coppia … che diventa non solo condizione ineludibile di sviluppo più o meno sano per il bambino, ma anche una condizione che fonda, o quantomeno informa, qualsiasi considerazione teorico-clinica che possiamo fare sul padre”.
Rivisitando il concetto di alleanze inconsce (Kaës, 1988), rimarca la dimensione intersoggettiva tra i partner della coppia che “crea una parte dell’inconscio e della realtà psichica di coppia”, evidenziando la funzione del legame che, costituisce “un terzo relativamente autonomo in relazione ai soggetti. Un oggetto analitico originale”.
Ritrova quindi consistenza l’ipotesi del padre come terzo e dei processi terziari, nonché della terzietà, ma qui l’A. riprende gli scritti di A. Eiguer (2008) e T. H. Ogden (1994), riconoscendo al padre, nella sua accezione più ampia, di terzo, la funzione di regolatore dei legami, di contenitore, ma anche di potenziale intralcio.
Procede così nella sua ricerca, cimentandosi con quella che considera la dimensione inconscia del paterno, che si costituisce all’interno del legame di coppia, che “comprende, ovviamente, le modalità dei legami intersoggettivi attuali e precedenti per esempio intorno alla figura paterna e alla sua funzione simbolica”.
Il legame tra i partner poggia pertanto su una “configurazione condivisa del paterno” che può avere funzione strutturante, riparativa, trasformativa e, al tempo stesso, può racchiudere potenzialità alienanti, sulla base delle alleanze inconsce che orientano una specifica configurazione condivisa del paterno, che viene rimaneggiata al momento in cui si profila la nascita di un figlio. Gli esiti di tali rimaneggiamenti, tuttavia, sono imprevedibili, fermo restando che “la genitorialità … scaturisce e prende forma nell’intersoggettività del legame ed è funzione della coppia. Nello stesso tempo organizza la soggettività di ciascuno come padre e come madre”.
L’A. esplora così la funzione della reciprocità del desiderio, la cui qualità integra e, contemporaneamente, presiede la costruzione del legame intersoggettivo di coppia, in modo del tutto privilegiato e unico. “Il filo rosso del desiderio – osserva – attraversa e qualifica il legame del padre e della madre in modo del tutto privilegiato ed unico”.
E riprendendo la funzione di porta-parola della madre (Aulagnier, 1975) vi intravede diverse componenti, in primis, il riferimento ad una dimensione terza, secondariamente, considera che i significanti enigmatici riguardano entrambi i genitori, veicolando al figlio il desiderio, quindi la componente enigmatica del discorso materno può essere meglio compresa solo se si considera la sua valenza sfaccettata, quale “prisma del filo rosso del desiderio nel legame di coppia”.
Il reciproco riconoscimento di spazi psichici condivisi accanto ad altri eterogenei costituisce un processo complesso, scrive l’A., cui concorrono componenti consce ed inconsce, che a loro volta si rendono si embricano e si articolano, nel tempo, con le trasformazioni della vita familiare.
Questa evoluzione contempla non solo movimenti di riconoscimento, ma anche zone di silenzio, zone d’ombra che possono includere il misconoscimento della funzione paterna che “minano anche un luogo di autorità e fermezza del legame stesso e mantiene i soggetti estranei alla propria storia… clinicamente … nel sintomo del bambino è dissimulato un non riconoscimento inconscio del padre, un silenzio che risponde a un bisogno di coppia e a un’economia di alleanze di cui la coppia stessa è del tutto inconsapevole”.
Questa densa e articolata trattazione della dimensione del paterno nella coppia viene corredata da un’interessante e sintetica descrizione di un caso clinico, dal quale si evince con molta chiarezza, la funzione di terzo che viene affidata dalla coppia al terapeuta, destinato a dinamizzare un elemento paterno carente, distorto e confuso. La clinica evidenzia, altresì, quale funzione i genitori abbiano destinato al figlio, identificato con la soluzione narcisistica del conflitto genitoriale, catturando il bambino in un vincolo di coppia, ancor prima della sua nascita, veicolato dalle manifestazioni sintomatiche che esprimono una rivendicazione identitaria carente.
Carau conclude la sua riflessione, affermando che “la formazione del padre, la nascita della funzione simbolica del padre nel bambino, non possiamo pensarla al di fuori della dinamica di coppia che rimanda, necessariamente, alla scena primaria e alla conflittualità edipica”.
Bibliografia
Assoun PL (1997). Introduzione alla psicoanalisi. Trad. it., Borla: Roma, 1999.
Aulagnier P (1975). La violenza dell’interpretazione. Trad. it., Roma: Borla, 1994.
Freud S (1897) Lettera a Fliess n. 142, 15 ottobre 1897. In Lettere a Wilhelm Fliess, Torino: Boringhieri, 1986.
Green A (2008) La construnction du père perdu. In: Cupa D (a cura di), Image du père dans la culture contemporaine (2008). Paris: P.U.F.
Winnicott DW (1971). Introduzione. Trad. it., In Colloqui terapeutici con i bambini. Roma: Armando, 1974.
Winnicott DW (1988). Introduzione: sviluppo emozionale primitivo. Trad. it., In La natura umana (1989). Milano: Cortina, 1989.



Maria Grazia Fusacchia
Psicoanalista SPI-IPA, esperta bambini
e adolescenti. Socio Ordinario SIPsIA.
Docente Supervisore dell’iW Istituto
Winnicott (Corso ASNE-SIPsIA).
Socio AIPCF (Association Internationale
de Psychanalyse de Couple et de Famille).
CTU Tribunale per i Minorenni di Roma
e Corte d’Appello di Roma.

Indirizzo per la corrispondenza/
Address for correspondence:
Via Tommaso Salvini, 33
00197 Roma
E-mail: mariagrazia.fusacchia@gmail.com