In ricordo di Giuliana De Astis


“Do anything, but let it produce joy”.
Walt Whitman, Leaves of grass

“Nella mia mente paragono i primi dieci anni di questa collaborazione ad anni di lotta,
lotta per far emergere ed attecchire un modo di porsi di fronte al disturbo infantile
molto diverso da ciò che fino ad allora era stato fatto nel campo istituzionale”.
Giuliana De Astis, Udire con gli occhi1


Per ricordare Giuliana De Astis ci è sembrato che la scelta migliore fosse quella di riportare, insieme all’espressione del nostro dolore e a qualche cenno sulla sua storia professionale, le sue stesse parole tratte da una recente intervista pubblicata su Quaderni di Psicoterapia Infantile.2
Chi ha conosciuto Giuliana De Astis, chi ha lavorato nel Servizio di Psicoterapia con lei o l’ha avuta come docente appassionata o supervisore attenta e rigorosa, non faticherà ad immaginarla immersa a lottare per ciò in cui credeva.
Prima di tutto la vita. Ed a lungo ha lottato con forza, determinazione e con successo anche contro la malattia. Per questo condividiamo con sorpresa e stupore, l’improvvisa notizia della scomparsa di Giuliana.
Quando riguarda le persone che amiamo ogni morte è prematura. Ma per alcune persone questo senso di inaspettato e di prematuro è più vero che per altre, e questo non ha niente a che fare con il tempo, con l’età o lo stato di salute. Ha a che fare piuttosto con la dimensione del futuro trasmessa dalla passione, dalla progettualità, dalla vitalità dell’affetto.
La scomparsa di Giuliana è tanto più dolorosa perché è stata ‘prematura’: dopo periodi di distanza legati alle vicende della vita, molti di noi l’avevano ritrovata appassionata come sempre, attenta come sempre, sensibile e discreta come quando, ormai 40 anni fa, aveva partecipato alla fondazione stessa del Corso ASNE-SIPsIA e della SIPsIA di cui è stata Presidente, era stata docente di tanti di noi. Questo è quasi storia e di questa storia Giuliana era depositaria e testimone, desiderosa di trasmetterla e di rinnovarla.
Giuliana De Astis, cosmopolita e poliglotta, legata al mondo internazionale, fu il fondamentale ponte che favorì lo scambio e la crescita di nuove idee e contribuì a creare il clima di entusiasmo e di collaborazione che si respirava all’interno dell’Istituto di Neuropsichiatria Infantile diretto da Giovanni Bollea.
Giuliana vi era entrata nel 1969 ed effettuava test diagnostici ai piccoli degenti ma, già da allora, effettuava anche sedute ad orientamento psicodinamico grazie all’esperienza effettuata alla Clinica Menninger a Topeka negli Stati Uniti. Nel 1973 con Paola Speranza Natali entrò a far parte del Servizio di Psicoterapia diretto da Adriano Giannotti e con un gruppo di giovani collaboratori contribuì sostanzialmente alla costruzione di un gruppo clinico e di ricerca per il trattamento di piccoli pazienti con gravi disturbi di personalità, e dei loro genitori, che fino ad allora non erano mai stati curati con la psicoterapia.
Nel campo delle psicosi e dell’autismo infantile Giuliana De Astis ha rivestito un ruolo pionieristico e di spicco non solo in Italia, ma anche a livello europeo ed internazionale, ricevendo importanti riconoscimenti ed intessendo relazioni di scambio e di collaborazione con diversi centri sia in Europa che in America.
Forza e determinatezza, curiosità, rigore, attenzione all’altro, rispetto, capacità empatica, ma anche riservatezza, senso del confine, capacità di riconoscere e non cadere in pericolosi vincoli narcisistici, indipendenza del pensiero, queste alcune delle qualità di Giuliana, ma tra queste vorremmo evidenziare la capacità di credere strenuamente nella presenza all’interno di ognuno della capacità di essere vivi e creativi. Nei piccoli pazienti all’interno del loro grave e profondo ritiro, nei loro genitori disperati, negli allievi seguiti con cura ed attenzione, nei giovani terapeuti in formazione spesso alle prese con la perdita della speranza che questo nostro lavoro spesso comporta.
Di seguito riportiamo un breve stralcio della sua intervista rilasciata a Bachisio Carau, che abbiamo scelto perché ci è parso particolarmente rappresentativo del suo assetto professionale, della sua umanità e originalità.

Giuliana De Astis: Sì, sì. L’aspetto corporeo è basico. … Una ricerca di fisicità proprio. In chiave affettiva. Se la bambina non è più tornata a modalità sensoriali, significa che le aveva introiettate, incorporate e fatte proprie. Questi sono dei prodromi rispetto all’immagine diciamo di aspetti materni buoni, consolatori e di vicinanza, che sono centrali, credo, perché la libido si dispieghi in tutta la sua forza e quindi riesca successivamente ad incamerare anche la pulsione aggressiva. Cioè ci deve essere questa base, diciamo, di vicinanza, di affetto, di fisicità, di calore, in modo che dopo i dodici, quindici mesi si possa incamerare l’aggressività che si dispiega verso l’oggetto. Sì, io mi ricordo che anche Antonio … si stendeva sul tavolo, c’era un grande tavolo davanti a me e quando io parlavo ed interpretavo lui ciucciava, proprio stava steso cosi e ciucciava, insomma muoveva le labbra come se stesse succhiando proprio il latte; non era tanto il significato delle mie parole, ma era più il tono della voce, il calore nella voce, il racconto. Infatti lui mi diceva: “raccontami ancora dei tuoi bambini” ecc., anche lì io avevo avuto un problema perché, diciamo, nella situazione ortodossa psicoanalitica, tu non vai a raccontare aspetti della tua vita privata … però io sentivo che lui aveva bisogno che io gli raccontassi che cosa facevano i miei bambini reali, i miei figli; voleva molto sentire questo ed io gli raccontavo delle storie, a volte anche inventate, come delle avventure, cose che facevano i bambini e lui stava lì, era proprio rapito, era proprio come se succhiasse del latte.

Bachisio Carau: Conta molto nelle terapie il suono … la vicinanza …

G.D.A.: Sì, sì, sì, proprio il tono della voce …

B.C.: Il tono della voce.

G.D.A.: Il calore, la partecipazione diciamo.

B.C.: Un altro aspetto, forse più marginale, è sul materiale di gioco. Tu usavi mettere con questi bambini il materiale di gioco proprio personalizzato, poi c’era una cesta con giochi comuni. Ho letteralmente ereditato da te questo particolare dei giochi comuni, perché non si trova in letteratura tra l’altro. Ho trovato che era funzionale e i bambini la utilizzavano molto bene.

G.D.A.: Si, per esempio la Tustin usava una cassettiera ed un cassetto con una chiave per ogni bambino col nome e non c’era altro, mentre al Reparto di Psicoterapia dell’Istituto di Neuropsichiatria Infantile per la psicoterapia io avevo adottato questa cesta dei giochi comuni perché era qualcosa a cui il bambino inizialmente in terapia non si interessava e quindi diciamo che c’era un settore in cui vi erano solo i giochi di quel bambino, però c’era anche una cesta di giochi in comune perché rappresentava il futuro, diciamo come un genitore che acquista in anticipo dei giochi per quando quel bambino sarà più grande. Era come prevedere, diciamo, la crescita e l’uscita dalla situazione del momento rispetto ad un futuro. Era anche un atteggiamento mentale del terapeuta, secondo me, che doveva come sentire che quel bambino sarebbe un giorno diventato più grande; e quindi questa cesta dei giochi in comune rappresentava un po’ quello, rappresentava anche il futuro, rappresentava altre possibilità rispetto ai giochi un po’ stereotipati e ripetitivi, sempre quelli di quel particolare bambino.
Credo che il desiderio del terapeuta rispetto ad un bambino che cresce sia basico per procedere nel difficile cammino della psicoterapia di questi piccoli pazienti”.

Il Comitato di Redazione di Richard e Piggle e i Soci SIPsIA,
gli allievi ed i docenti del Corso ASNE-SIPsIA, ed i Soci AIPPI