Introduzione
silvia andreassi

Perché il segreto

Dovendo affrontare un qualsiasi argomento che abbia una qualche relazione con la teoria psicoanalitica, siamo portati per formazione ad andare a leggere cosa e come ne abbia scritto Freud.
Sfogliando l’indice analitico generale delle Opere troviamo alla voce segreto la seguente citazione:
Segreto: rappresentato nel sogno da “molte persone estranee”, 3, 229, 267.
Un rimando specifico ai “sogni tipici” descritti da Freud nel V capitolo dell’Interpretazione dei sogni; in particolare un riferimento al Sogno di imbarazzo per la propria nudità, in cui le molte persone estranee rappresentano il mascheramento dell’oggetto del desiderio sessuale dove Freud puntualizza che “del resto, (le) molte persone estranee si trovano spesso nei sogni, anche in tutt’altro contesto, dove, in quanto antitesi del desiderio, significano sempre segreto”. In una nota del 1909 Freud aggiunge che il medesimo significato viene assunto anche per la comparsa nel sogno di tutta la famiglia” (Freud, 1900, p. 229).
Non troviamo citato altro. I curatori dell’opera freudiana non considerano il segreto come un concetto appartenente al corpus teorico della psicoanalisi, ed in effetti l’unica occorrenza fa riferimento ad un contenuto specifico di un sogno. Anche nell’Enciclopedia della Psicoanalisi di Laplanche e Pontalis (1967) non se ne rinviene traccia.
Perché interessarsi al segreto allora?
La questione sembra risiedere nella valenza polisemica che questo termine possiede. Usato sia come aggettivo che come sostantivo, nella lingua italiana questo termine fa riferimento a qualcosa di occulto, celato, tenuto nascosto, accessibile soltanto a pochi, privato e intimo. La segretezza può inoltre essere associata ad esperienze buone come cattive, né vanno poi dimenticati gli aspetti legati al segreto inteso come qualità: ad esempio il segreto del proprio successo e via discorrendo. Da questo breve elenco, peraltro incompleto di tutte le sfumature che il termine assume nel linguaggio corrente, risulta evidente quanto la tematica del segreto abbia informato in modo importante e pervasivo il pensiero psicoanalitico fin dalle origini.  
Anna O., Elisabeth von R., Katharina e tutte le pazienti descritte negli Studi sull’Isteria sono piene di segreti, di desideri nascosti e indicibili che solo una volta disvelati perdono la loro valenza patogena. Rendere conscio l’inconscio o dove era l’Es sarà l’Io descrivono la funzione analitica come l’opera di un incessante svelamento, il passaggio dalla segretezza alla consapevolezza. Se il segreto, fin dai primi scritti di Freud, viene inteso come il contenuto che sostanzia la patologia la risoluzione dello stesso diventa il fine dell’analisi. Due aspetti centrali del pensiero psicoanalitico: ciò su cui lavoriamo e come ci lavoriamo.
Il segreto per Freud viene inteso sempre in un’accezione negativa. Il desiderio pulsionale si scontra con la massa delle idee dominanti che lo rende inaccettabile alla coscienza e per questo viene rimosso. Ciò che stabilisce o meno l’accettabilità alla coscienza di un desiderio è un fattore prettamente culturale che si determina in relazione al contesto socioculturale d’appartenenza. In altre parole non è il contenuto di per sé ad essere in/accettabile alla coscienza ma il contenuto in relazione al contesto in cui ci si muove, è quest’ultimo che ne determina valore e significato.  
Il tema del segreto accompagna tutta l’opera freudiana facendo riferimento: ai contenuti di cui si occupa la psicoanalisi, all’attribuzione di significato lecito o illecito legati al contesto sociale in cui nascono, alla relazione tra medico e paziente, all’opera di svelamento messa in atto nel processo analitico.
Questo in breve il ruolo del segreto nell’opera di Freud e nonostante i molteplici cambiamenti che Freud apporterà al suo pensiero, il segreto rimarrà sostanzialmente legato a tre dimensioni fondamentali: intrapsichica, relazionale e sociale.
Un ruolo non da poco per un concetto così poco riconosciuto, tanto che andando ad analizzare la letteratura post freudiana sul tema ritroviamo che quasi tutti i grandi analisti se ne sono occupati, ampliando e approfondendo le diverse aree di significato originariamente attribuitigli.
L’evoluzione di un concetto teorico qualunque esso sia, e il tema del segreto non fa eccezione, rimanda alla complessa relazione esistente tra pratica clinica e teoria psicoanalitica. Il concetto di cambiamento lineare poco si adatta alla nostra disciplina. Lo sviluppo di nuove idee e concetti non passa necessariamente attraverso il superamento delle teorizzazioni precedenti o di singoli aspetti della teoria che prendono il posto delle passate formulazioni.
Sandler nel 1983 sottolineava come la specificità della teoria psicoanalitica risiedesse proprio nella capacità di ampliare gli spettri di significato dei concetti utilizzati in quanto fondata su concetti elastici. Per concetto elastico intendeva quella peculiare caratteristica riscontrabile in molti termini psicoanalitici che a seconda del contesto in cui venivano utilizzati assumevano accezioni differenti. Nozioni molto classiche come fantasia, trauma o identificazione, solo per citarne alcune, possono assumere un intero spettro di significati a seconda del contesto in cui vengono nominati. Poiché la psicoanalisi è costituita da formulazioni a diversi livelli di astrazione, e da teorie parziali che non si integrano bene tra di loro, Sandler identifica nell’elasticità dei concetti un fattore centrale per mantenere una coerenza di base. La funzione dei concetti elastici è quella di assumere su di sé la tensione del cambiamento teorico assorbendolo, in modo da permettere lo svilupparsi di nuove teorie o lo sviluppo di aspetti parziali della teoria.1
Se tale funzione è stata attribuita a concetti centrali della teoria, come quelli sopra citati, il segreto dal canto suo non fa eccezione. Nello sviluppo teorico successivo a Freud gradualmente il segreto allarga la propria area di significato. Non si fa più solo riferimento alle dimensioni che Freud aveva sottolineato, che vengono comunque approfondite e ulteriormente sviluppate, ma il segreto inizia ad assumere una valenza di funzione psichica vera e propria. Il processo di individuazione personale viene intimamente connesso con la necessità di sviluppare un’area di segretezza, uno spazio privato del Sé come verrà definito da Masud Khan, o da Winnicott che assocerà la dimensione di segretezza al concetto di limite o confine del Sé, ciò che stabilisce cosa è dentro e cosa è fuori a protezione del Vero Sé.
La stessa Piera Aulagnier, nel saggio che traduciamo per la prima volta in italiano in questo numero della rivista, identifica nel diritto al segreto la precondizione necessaria per poter sviluppare un processo di pensiero autonomo e autentico. L’elenco degli analisti che si interessa al tema del segreto sarebbe molto lungo e travalica gli obiettivi di questa introduzione, ma qui è importante sottolineare come il segreto non sia più solo un contenuto da tenere nascosto ma diventi un’area del funzionamento mentale. Una dimensione associata allo sviluppo psichico normale che non era presente nel pensiero freudiano. Una dimensione quindi intimamente connessa con i processi di sviluppo normale in età evolutiva.
Discorso a parte meriterebbe invece tutta la tematica relativa alla trasmissione transgenerazionale come ad esempio ne tratta Kaës (1994) a proposito delle alleanze inconsce intergenerazionali o la Faimberg (2005) con il suo concetto di telescoping delle generazioni. O come propongono Abraham e Torok (1978), che definiscono fantasma il segreto familiare passato da una generazione all’altra che interferendo con i processi vitali di identificazione, attraverso la creazione di una cripta, custodisce un segreto indicibile.
La scuola francese ha approfondito e sviluppato il ruolo, la costituzione e la funzione che il segreto transgenerazionale assume nello sviluppo della soggettività dell’individuo oltre che nel rapporto inconscio tra generazioni.
Di stampo diverso i contributi relativi alla trasmissione intergenerazionale del trauma, più legati alla ricaduta diretta di esperienze traumatiche di una generazione sull’altra e di cui pioniere sono state Anna Freud e Doroty Burlingham (1942) quando hanno affrontato il problema di cosa venisse tramandato dalle madri ai figli durante la II guerra mondiale.
A partire da questi brevi cenni appare evidente come il tema del segreto, non solo sia presente con tutte le sue declinazioni nello sviluppo della teoria psicoanalitica, ma anche quanto esso sia attuale e appartenga al nostro lavoro quotidiano con i pazienti. 
Con il cambiamento della società i segreti cambiano ma restano. Se probabilmente abbiamo meno a che fare con il desiderio nascosto per il signor K, di cui raccontava Dora, ci troviamo spesso confrontati con tipologie di segreto nuove e lavoriamo quotidianamente con aspetti legati allo sviluppo dell’area della segretezza. Il segreto sull’adozione, ad esempio, molto presente fino a qualche anno fa, ha lasciato il posto al segreto sulla propria nascita: basti pensare alla difficoltà che spesso riscontriamo nelle coppie che hanno fatto ricorso alla procreazione medicalmente assistita, oppure a come ormai segreto e sua violazione, complice l’uso dei social network, sono presenti nelle narrazioni dei nostri pazienti adolescenti.
L’elenco sarebbe interminabile. Per questo motivo, data la rilevanza anche teorica del tema, abbiamo deciso di dedicare un intero focus della rivista al tema del segreto. In esso, come già accennato pubblichiamo l’articolo di Piera Aulagnier Il Diritto al segreto: condizioni per pensare uscito nel 1976 nella Nouvelle Revue de Psychanalyse diretta da Pontalis, tradotto per la prima volta in italiano da Aurora Gentile. Ad esso seguono gli articoli delle nostre colleghe Giovanna Mazzoncini e Aurora Gentile che affrontano il tema dal punto di vista sia teorico che clinico. Presentiamo ai lettori una prima selezione sul tema, in attesa di approfondire ulteriormente l’argomento nelle prossime uscite della rivista.
Bibliografia
Abraham N, Torok M (1978). La scorza e il nocciolo. Trad. it., Roma: Borla, 1993.
Faimberg H (2005). Ascoltando tre generazioni. Trad. it. Milano: Franco Angeli, 2006.
Freud S (1899). L’interpretazione dei sogni. Trad. it. OSF: 3. Torino: Bollati Boringhieri, 1966.
Kaës R (1994). Psychic work and unconscious alliances in therapeutic institutions. In: British journal of Psychotherapy, 10, 3: 361-371.
Kaës R, Faimberg H, Enriquez M, Baranes J J (1993). Trasmissione della vita psichica tra generazioni. Trad. it. Roma: Borla, 1995.
Khan M M R(1983). Il segreto come spazio potenziale. In: Khan M M R, I Sé nascosti: teoria e pratica psicoanalitica. Trad. It. Torino: Bollati Boringhieri, 1990.
Laplanche J, Pontalis J B (1967). L’enciclopedia della psicoanalisi. 2 vol. Trad. It. Roma-Bari: Laterza, 1968. Sandler J (1983). Reflections on Some Relations Between Psychoanalytic Concepts and Psychoanalytic Practice. International Journal of Psycho-Analysis, 64: 35-46.
Sandler J, Dreher A U, Drews S (1991). An Approach to Conceptual Research in Psychoanalysis Illustrated by a Consideration of Psychic Trauma. International Review of Psycho-Analysis, 18: 133- 142.



Silvia Andreassi
Membro Ordinario AIPPI
Facoltà Medicina e Psicologia,
Università “La Sapienza”, Roma

Indirizzo per la corrispondenza/
Address for correspondence:
Via Alessandria, 130
00198 Roma
E-mail: silvia.andreassi@uniroma1.it