Nuove genitorialità: la gestazione
per altri. Temi e problemi
daniela bruno, laura calzolaretti, enrica fondi,
silva oliva, annalisa scanu


Se non dico mai cosa bisogna fare, non è perché credo che non ci sia nulla da
fare; al contrario, è perché penso che ci siano mille cose da fare, inventare,
forgiare, da parte di coloro che, riconoscendo le relazioni di potere in cui
sono implicati, hanno deciso di resistere o sfuggire ad esse. Da questo punto
 di vista tutta la mia ricerca poggia su un postulato di ottimismo assoluto.
Non svolgo le mie analisi per dire: così stanno le cose, guardate come siete
intrappolati. Certe cose le dico solo nella misura in cui considero che esse
permettano di trasformare il reale.
Trombadori D, Colloqui con Foucault (1999, pag. 120)


1. Premessa: l’importanza delle parole

Premettiamo alle nostre considerazioni iniziali alcune note sul sostantivo inglese surrogacy che, entrato nell’uso comune nell’ambito delle pratiche della Procreazione Medicalmente Assistita (PMA), si riferisce comunemente all’azione di una donna che accetta di portare avanti la gestazione di un bambino per un’altra persona o coppia di persone. Nel caso specifico, non essendoci il corrispettivo in italiano, adottiamo il termine “gestazione per altri” (GPA).
Pensiamo infatti che i termini con i quali viene definita tale pratica abbiano un importante significato culturale e rappresentazionale; attraverso le parole, come vedremo, è possibile connotare un atto in un senso o in un altro.
L’uso del termine inglese surrogacy, appare meno affettivamente connotato anche se la traduzione letterale nella lingua italiana dell’aggettivo surrogato richiama un’immagine negativa di un sostituto; attualmente viene spesso reso in italiano con la locuzione “utero in affitto” che richiama l’utilizzo di una parte del corpo della donna come un oggetto che si può usare dietro compenso.
Questa definizione suscita immediatamente l’idea di reificazione e commercializzazione del corpo femminile e non sembra casuale, che sia quella mediaticamente più diffusa nell’attuale dibattito italiano specie da parte di chi è contrario alla pratica. La locuzione in lingua italiana gestazione per altri, invece, sembra avere una connotazione più neutra che apre alla pensabilità e introduce il concetto di donazione; sembra veicolare pensieri che permettono ad ognuno di noi di assumere una propria valutazione considerando che si tratta di una pratica che esiste attualmente nella realtà e che ha una storia che richiama tradizioni molto antiche. Ricordiamo il racconto biblico di Abramo che non potendo avere un figlio dalla moglie Sara, ebbe un figlio dalla schiava Agar: che il figlio fosse il “figlio della padrona” era testimoniato ritualmente dal fatto che la schiava partorisse sulle ginocchia della padrona.


2. Valore e significato individuale e culturale di una cornice legislativa

Osservando una mappa mondiale relativa alle pratiche di GPA Internazionale, la cui diffusione si è gradualmente estesa negli ultimi anni, si nota un primo discrimine tra i paesi che vietano la pratica di gestazione per altri, tra cui l’Italia, quelli che la tollerano e quelli che la consentono con una legislazione che stabilisce le modalità con cui l’atto stesso può svolgersi.
Guardando alle differenze legislative che esistono in paesi dove questa pratica è legalizzata, quelle che risaltano di più sono:

a) la surrogacy commerciale,
b) la surrogacy a titolo gratuito
c) la surrogacy altruistica e a pagamento.

Nelle nostre riflessioni focalizzeremo l’attenzione principalmente su alcuni aspetti della terza forma di gestazione per altri: la surrogacy, altruistica e a pagamento, vigente in alcuni Stati, come la California e il Canada, dove è regolata con norme precise e circostanziate, che garantiscono al contempo pieni diritti ai bambini nati da queste pratiche e alle numerose famiglie che si sono venute così a costituire negli ultimi anni. In queste realtà, infatti, la gestazione per altri è frutto di una transazione legalizzata basata su una libera scelta e la normativa vigente ha lo scopo di tutelare i soggetti contraenti e i bambini, evitando sfruttamenti, violenze e sopraffazioni.
Pensiamo che l’esistenza di una legge abbia una significativa ricaduta psichica sui soggetti che, comunque, desiderano praticare l’esperienza della gestazione per altri in quanto essa rende possibile all’individuo e/o alla coppia un più libero confronto con i propri sentimenti e desideri, conferisce la possibilità di pensare all’accettazione o al rifiuto della pratica medica a livello personale e dà un contributo a legittimare il desiderio individuale in quanto facilita il superamento psichico di eventuali divieti legati a convinzioni religiose o morali laddove il divieto legale può costituire un ulteriore ostacolo psichico.
La regolamentazione delle diverse forme di filiazione rese possibili dalle tecnologie biomediche, può costituire nel tempo una trama simbolica e consente di “ricondurre l’ignoto al conosciuto, crea un sistema di identificazioni stabili che consentono le identificazioni del bambino, legandolo ad una famiglia, a degli antenati, ma anche a sistemi culturali e religiosi di appartenenza” (Zurlo, 2002 pag. 58). Dal momento che i legami biologici, i portati del corpo, non designano più, in parte o in toto, le funzioni sociali connesse alla filiazione, occorre un apposito processo legislativo che le sostenga e le codifichi. La legge, nella sua regolamentazione che consente e proibisce, è “costretta” a creare dei termini che da quel momento in poi cristallizzano dei ruoli sociali: genitori intenzionali, co-madre, co-padre, portatrice, donatore, donatrice ecc. che possono essere identificati proprio con quei termini e così acquistare pubblica esistenza. La formulazione della legge è frutto di un determinato consenso sociale e di una determinata cultura nel momento in cui la legge viene promulgata, ma il fatto che la legge sia stata formulata e divenuta operante, diffonde la pratica, la stabilizza attraverso le generazioni e “crea” a sua volta “cultura” nel senso che tende a modificare o a creare dei valori condivisi. 1 Come afferma Kaes (2002), la catena della filiazione è una “catena significante” che ha senso per il soggetto e per l’insieme intersoggettivo di cui il soggetto è membro.
Come sappiamo le “culture fanno da cornice ai nostri pensieri, alla fisiologia e al cervello” (Music, 2011) e, alla luce delle ricerche delle neuroscienze, sappiamo che sono in grado, nel tempo, di modificare anche i circuiti neuronali e la fisiologia del cervello umano come del resto qualunque forma di apprendimento basato sull’esperienza.
La costruzione di un consenso sociale su queste tematiche, è molto problematica, suscita sorpresa e perplessità; in Italia al momento assistiamo ad una sovrapposizione di temi controversi sul piano legislativo (riconoscimento unioni civili, stepchild adoption, fecondazione eterologa, adozioni per single), che impedisce una riflessione approfondita sulle numerose questioni proposte dalla pratica per la gestazione per altri. Non è casuale che la regolamentazione più circostanziata riguardi i paesi nei quali i diritti delle coppie omosessuali sono riconosciuti da tempo in quanto il sentire sociale è molto diverso in altre culture. In Spagna, ad esempio, la “cultura della donazione” si è diffusa da tempo e la pratica della ovodonazione si è estesa rapidamente aumentando le possibilità di successo delle tecniche di PMA. Sulla base di questa cultura, sostanziata da incoraggiamenti in tutti gli ambulatori medici e nel sentire diffuso, molte giovani donne, per un compenso piuttosto modesto, sono disposte a sottoporsi alle complesse pratiche mediche regolamentate per la donazione di ovociti a donne o coppie che desiderano un figlio nel quadro di una normativa specifica.
In altri paesi, la cultura della donazione, che sottende questo tipo di regolamentazione, propone l’estensione di questo concetto anche alla gravidanza, permettendo ciò che sarebbe più esatto definire “prestazione d’organo” e rendendo possibile, tramite una specifica normativa, la gestazione per altri.
Per approfondire questa tematica, le Autrici hanno condotto delle interviste con coppie omogenitoriali di donne che sono ricorse alla inseminazione eterologa semplice o doppia e a coppie di uomini che hanno avuto figli con la GPA, hanno inoltre visionato documenti audiovisivi con le testimonianze delle coppie e delle portatrici e partecipato ad incontri di famiglie omogenitoriali.
Entrando nel merito di questo tipo di contratto a pagamento e altruistico, che si riferisce al valore sociale nei paesi summenzionati, dell’atto compiuto dalle donne che accettano di portare avanti la gravidanza per conto di altri, descriviamo alcune delle principali norme che lo regolano utilizzando le informazioni tratte da chi ha fatto uso di questa pratica in California.
La normativa, tramite alcune Agenzie specifiche che organizzano l’intera procedura, prevede che venga attuata una separazione tra la figura della donatrice, cioè la donna che dona gli ovuli, dalla figura della portatrice, la donna che porterà avanti la gestazione.2 Entrambe le donne devono già avere avuto un figlio proprio, non essere indigenti oltre che in piena salute documentata.
Gli aspiranti genitori hanno ampie possibilità di conoscere e frequentare entrambe le donne. Viene previsto nella normativa un rimborso per tutte le spese mediche che le due donne devono sostenere, oltre al loro personale compenso piuttosto contenuto (pari all’incirca ad un anno di lavoro per la portatrice), viene richiesta una somma in deposito per garantire la responsabilità degli aspiranti genitori dopo la nascita del/dei bambini, è anche previsto uno specifico compenso per la donazione del latte al neonato. Dopo la prima ecografia che accerta la gravidanza in atto, gli aspiranti genitori ( intentional parents), diventano legalmente genitori a tutti gli effetti con tutti i diritti e i doveri che questo comporta.
Se la possibilità di PMA eterologa ha suscitato ampie discussioni, la GPA, qualunque sia la normativa che la governa e nonostante sia una pratica marginale, ha un forte impatto emotivo sull’immaginario collettivo, in quanto erode la figura della madre dando origine a forme nuove di filiazioni e di famiglie. Si tratta di una tematica estremamente complessa che suscita molti interrogativi e che coinvolge vari punti di vista disciplinari. Riservandoci di utilizzare un vertice psicoanalitico più oltre, ci soffermiamo brevemente sulle implicazioni etico-giuridiche e socio-economiche, molto diverse e articolate, che animano il dibattito intorno alla GPA.
Ardilli (2016), nel suo articolo Le convitate di pietra. Surrogazione transnazionale e ventriloquio europeo, propone interessanti riflessioni sul recente e acceso confronto che ha coinvolto le massime istituzioni politiche francesi,3 filosofe autorevoli di ispirazione femminista come Agacinski e rappresentanti del mondo cattolico, per sostenere l’abolizione universale della gestazione per altri. Agacinski, nel suo testo Corps en miettes (2009), considera la GPA una forma inaccettabile di sfruttamento della donna e ritiene che la gravidanza non possa essere considerata un lavoro, non è quindi alienabile senza alienare la persona stessa. La Ardilli si interroga invece sulla liceità e sulla natura giuridica di un dispositivo di protezione invocato sia da istanze religiose che laiche e sul rifiuto di un qualsiasi impiego del corpo riproduttivo sia su basi schiettamente commerciali che integrato da una economia del dono.
Il tema contrattuale della gestazione per altri è specificamente affrontato da Cooper e Welby (2015), che nel loro libro Biolavoro globale. Corpi e nuova manodopera, propongono un’analisi approfondita sulle condizioni in cui si genera un’offerta di corpi femminili a basso costo da immettere nella “filiera” del cosiddetto “lavoro clinico” e sul fitto intreccio che connette il ricorso alle opportunità biotecnologiche disponibili sul mercato al complesso culturale che orienta comportamenti sociali sempre più diffusi: “l’esternalizzazione della fertilità stimolata dalla logica industriale delle tecnologie di riproduzione assistita che frammenta l’unità biologica riproduttiva isolandone le componenti, implica l’appalto dei diversi momenti del ciclo biologico riproduttivo: messa a disposizione di gameti (ovociti e spermatozoi), gravidanza e parto, in cambio di contratti che prevedono un risarcimento economico” (pag. 67). Le Autrici analizzano i progressi bio-tecnologici degli ultimi decenni mettendoli in relazione al concetto di bio-potere di Foucault che caratterizza l’evoluzione delle politiche di governo degli stati moderni fino alle attuali così dette società a capitalismo avanzato, basate sui principi del neoliberalismo economico. Attraverso uno studio dettagliato della nascita, del funzionamento e della diversa articolazione geografica di quella che considerano una vera e propria industria trans-nazionale, le Autrici descrivono con i criteri rigorosi dell’analisi marxista-materialista, la medicina riproduttiva e rigenerativa come nuove frontiere del controllo diffuso e del lavoro precario.
In quest’ottica quindi, Cooper e Welby ricostruiscono la nascita delle Agenzie mediatrici, specializzate in ovociti e maternità surrogata, alla fine degli anni ‘70 negli stati dotati di legge in materia di adozione (Florida, California); queste agenzie, create da avvocati operanti nel campo del diritto di famiglia, siglano contratti per conto dei loro clienti, i genitori committenti. Quando, negli anni ‘80, l’evoluzione della ricerca nel campo biomedico ha consentito di utilizzare sia i gameti dei genitori committenti che quelli di donatori/trici diversi, la necessità di ricorrere esclusivamente al contributo genetico della madre surrogata viene superata con l’utilizzo di donne portatrici appartenenti anche a paesi diversi da quelli delle donatrici di gameti e degli aspiranti genitori. Il “lavoro riproduttivo” diventa così definitivamente transnazionale e globale e si estende anche alle donne di paesi come l’India, il Nepal e la Tailandia, aumentando le disparità socio-economiche implicate e anche “l’indignazione morale” che accompagna il dibattito sul tema, con la critica relativa allo sfruttamento di donne di paesi svantaggiati. La venditrice di ovociti, al contrario del venditore di seme, sigla un contratto direttamente con la coppia; le relazioni si personalizzano e non sono più anonime. L’enfasi sull’altruismo e le qualità materne, sempre secondo le Autrici, è una caratteristica della donazione di ovuli e della GPA ed è funzionale a contenere il prezzo delle donazioni e prestazioni al fine di incrementare i guadagni delle Agenzie mediatrici.
La cultura della donazione che sottende le pratiche della GPA non segue i criteri di una strategia normativa egualitaria, che è alla base ad esempio di altre pratiche sanitarie come quelle della donazione d’organo, di tessuti e sangue, ma è formulata in un contesto di relazioni sociali autoregolate senza l’intervento dello Stato in cui le parti sono sovrane di se stesse. Il fatto che la decisione del diritto al possesso biologico del bambino avvenga al di fuori della sfera pubblica costituisce secondo le Autrici “il genio del contratto”, basato su un principio liberale di non ingerenza dello Stato nella sfera dei diritti privati dei suoi cittadini. Ricordiamo che la pratica di GPA, iniziata 30 anni fa negli U.S.A., venne improvvisamente alla ribalta nel caso denominato Baby M. quando, nel 1986, una madre surrogata, Mary Beth Whitehead, rifiutò di restituire la bambina al padre genetico della coppia eterosessuale, William Stern, con la quale aveva stipulato il contratto di GPA. Il caso, che fu oggetto di numerose cause legali con sentenze alterne, si concluse con l’affidamento da parte della Corte Suprema ai genitori biologici. Il clamore suscitato dalla vicenda portò alla prassi secondo la quale le madri gestazionali portavano a termine gravidanze con ovuli di una donatrice e non erano quindi le  madri biologiche. Questa sentenza storica stabilì la preponderanza dei diritti biologici e giuridici dei genitori intenzionali rispetto alla madre gestazionale considerandola quindi “non proprietaria” del suo lavoro. Siamo quindi in un orizzonte normativo completamente opposto a quello precedentemente descritto a proposito della Francia, dove lo Stato assume nei confronti della GPA una posizione interventista e proibizionista.


3. Nuovi sistemi di filiazione? Forse no

La complessità del dibattito sopra esposto sul crescente ricorso alle pratiche di PMA e GPA pone in primo piano la potenza del desiderio di filiazione sia nelle coppie eterosessuali che in quelle omosessuali che, per la prima volta grazie a queste tecniche innovative, possono esaudire il loro desiderio senza rinunciare allo loro scelta sessuale. Si delinea un tipo di famiglia che ci sembra completamente nuovo, ma si tratta di un’idea che non trova riscontro nella storia socio-antropologica del genere umano.
La premessa “umana” alla filiazione che esita nella nostra struttura sociale è l’affermazione della regola esogamica nella scelta del partner: cioè, riconosciuto a livello conscio il divieto dell’incesto, il partner con il quale l’individuo intende formare una famiglia viene scelto al di fuori della rete parentale.
Nelle società descritte dall’antropologa Françoise Héritier (2000), la sterilità non è ammessa, o meglio, si cerca di porvi rimedio sia preventivamente, con la nascita di un figlio prima del matrimonio con un partner diverso dallo sposo, ma in seguito riconosciuto come primo figlio da questo, o con l’annessione successiva di figli procreati in altri ambiti. Regole ferree e condivise ratificano l’appartenenza del nascituro al gruppo, fondano l’identità compatibile con la trans-generazionalità. Come dire che la filiazione, considerata come un processo immanente alla specie umana, è riconosciuta come una necessità imprescindibile, sia per la conservazione della specie, sia per la continuazione della stirpe, sia per garantire al singolo individuo l’acquisizione del titolo postumo di antenato, che ne garantisce la memoria nei posteri malgrado la sparizione dovuta alla morte. Il figlio non è voluto come puro oggetto di desiderio e di appropriazione, quanto piuttosto come realizzazione di un bisogno di discendenza e di appartenenza. Interrompere la catena senza fine della vita equivale, a livello inconscio, alla fine della generatività della vita stessa, antidoto simbolico alla morte dell’io individuale. Condizione obbligatoria è che, qualunque sia stata l’alternativa alla sterilità che conduce a quella specifica filiazione, questa sia sancita da una legge riconosciuta dal gruppo di appartenenza.
I sistemi di filiazione delle nostre società sono espressione di rappresentazioni inconsce socialmente condivise, ragione per cui, sottesi ai fatti della procreazione, indipendentemente dalla procedura (oggi possibile anche in assenza dell’atto sessuale, come nel caso dell’ovo/sperma donazione), soggiacciono ancoraggi simbolici tutt’altro che inerti, bensì vitalissimi in quanto espressione del bisogno umano di sopravvivenza.
Conseguentemente, le nuove tecniche riproduttive non sviluppano nuovi sistemi di filiazione, ma fanno emergere modalità conosciute nel corso della filogenesi o attualmente presenti in comunità caratterizzate da una specifica gestione della differenza tra i sessi.
Sempre Françoise Héritier (2000), nel suo libro “Maschile e femminile”, ritiene che l’ineguaglianza dei sessi sia presente in tutte le società, insieme al tabù dell’incesto. La dominazione maschile inizia fin dalla preistoria come risposta all’impossibilità fisica degli uomini di procreare e il corpo delle donne diviene una risorsa di cui disporre.
Questa affermazione è carica di implicazioni, ma al tempo stesso rappresenta uno dei modelli esplicativi dei fenomeni che osserviamo a livello globale, sia rispetto all’uso del corpo delle donne sia rispetto al desiderio delle coppie omosessuali maschili di accedere alla filiazione.
Nulla di nuovo starebbe accadendo quindi, fintanto che la differenza dell’organo genitale e dei ruoli dei sessi nella riproduzione non verrà soppiantata dalla formazione di una coppia di gameti prodotti da cellule totipotenti indifferenziate. Fino ad allora continueremo ad avere una costruzione sociale basata sulla differenza di genere, sulla ripartizione sessuale dei compiti, sulla proibizione dell’incesto/obbligo all’esogamia, gestita nel contratto matrimoniale.


4. Alcuni implicazioni psichiche relative al contratto di GPA

Dopo la fecondazione in vitro che separa sessualità e procreazione, separazione resa pensabile e già avviata dalla diffusione degli anticoncezionali e dalla legislazione sulla interruzione volontaria di gravidanza (IVG), la tecnica medica ha consentito la separazione tra appartenenza biologica e genitorialità e, successivamente, con la gestazione per altri, quella tra gravidanza e maternità/paternità. Assistiamo ad una progressiva scomposizione del processo generativo di cui la gestazione per altri è l’ultimo atto nell’attuale contingenza storica.
In generale i cambiamenti intervenuti nel campo della ricerca medico-procreativa e quelli socio-culturali stanno modificando di fatto il concetto tradizionale di madre e di padre, producendo diverse tipologie e modalità di genitorialità: una genitorialità che come percorso si discosta dalla procreazione in senso stretto, dall’appartenenza biologica, dalla tipizzazione del ruolo materno e paterno. Ribadiamo che sono forme da sempre esistenti nelle società umane e nelle diverse culture, tanto da costituire archetipi fondanti che stanno progressivamente emergendo e cercano una loro rinnovata definizione e legittimazione. Attualmente però la tecnica medica, avendo individuato le diverse funzioni inerenti alla generatività: donazioni di gameti, fecondazione e gestazione, è in grado di scomporle, ricrearle in parte al di fuori dell’individuo (fecondazione) e farle gestire da donne diverse, attuando di fatto una scomposizione della figura materna.
Questa scomposizione dell’atto generativo ha delle conseguenze sui legami che si stabiliscono tra i vari soggetti che vengono implicati nelle diverse procedure mediche (donatori/donatrici di gameti, donne portatrici etc.), e la tipologia di questi legami perde il vincolo esclusivamente legato all’incontro sessuale tra i corpi che genereranno un bambino.
Molti di questi cambiamenti pongono una sfida sul piano psichico, cioè alla capacità della mente di tollerare le emozioni e i pensieri che accompagnano queste esperienze in modo da poter elaborare anche sul piano fantasmatico le conseguenze che tali cambiamenti possono comportare nelle relazioni intra e interpersonali.
La pratica della gestazione per altri, che prevede la separazione tra donatrice e portatrice, pone in atto una sorta di riduzione della sacralità della figura materna, depositata nella nostra mente dall’immaginario collettivo, stratificato nella nostra cultura, minacciando, per così dire, quel complesso di fantasie, consce ed inconsce che la circondano e la sovrastano. Viene messo in forse il concetto di famiglia pensata, immaginata e ritenuta come un portato “naturale” e, pertanto, eterna nel tempo nonostante, come abbiamo cercato di chiarire, non ci sia mai stato nulla di “naturale” nella famiglia umana la cui “forma” è, da sempre e in senso ampio, frutto della cultura di un popolo in una data epoca.
È necessario allora poter pensare ad una “ricomposizione mentale” del processo di gestazione, scorporato in atti diversi e persone diverse, per consentire al bambino un’autentica individuazione e ai genitori una adeguata e profonda assunzione delle funzioni genitoriali; contenere così le fantasie più minacciose di intrusione, espropriazione, sopruso che si possono attivare a livello conscio e inconscio negli individui coinvolti e garantire al bambino una chiarezza del percorso relativo alla propria origine.
Vorremmo segnalare che non solo si deve attivare un processo di ricomposizione mentale nei genitori, ma anche ipotizzare che qualche forma di ripensamento possa attuarsi nelle diverse figure che concorrono all’atto, donatori e portatrici. In sostanza, abbiamo a che fare con potenti fantasie consce ed inconsce che richiedono di essere elaborate e che impattano variamente sulla psiche degli individui.
Alcune caratteristiche del dispositivo legislativo sopra delineato sembrano offrire, nell’intenzione del legislatore, delle facilitazioni sia nella ricomposizione del processo procreativo sia nel ridurre al minimo le fantasie e i vissuti emotivi più disturbanti del processo di filiazione: la scomposizione del materno in donatrice e portatrice, ad esempio, può contribuire al fatto che nessuna delle due donne si senta madre; una ha dato “solo” gli ovuli, l’altra ha portato avanti “solo” la gravidanza di un figlio non suo. Peraltro, quest’ultima deve già avere avuto uno o più figli propri. Molte delle donne portatrici si offrono di dare il latte ai bambini con o senza compenso. Il pagamento contrattuale, atto molto significativo nella nostra cultura, limita la gratitudine degli aspiranti genitori per un dono “che non ha prezzo”, come hanno detto alcuni genitori che hanno attraversato questo percorso, e può contribuire a non sentirsi schiacciati dal peso della riconoscenza. Ascoltando alcune coppie omogenitoriali, sorge l’idea che il pagamento contrattuale, il mantenimento dei rapporti nel tempo, lo scambio di informazioni sulla vita dei bambini, l’amicizia che talvolta si può creare, oltre al desiderio di mantenere presenti le origini del bambino, siano tutti elementi che possano concorrere a contenere la fantasia di aver sottratto “un bambino dal ventre della madre”, delitto mostruoso che può aggirarsi nella mente dato il portato culturale introiettato. In sostanza possiamo pensare che il contratto e il pagamento così precisi e particolareggiati che prevedono meticolosamente ogni evenienza, oltre ad essere protettivi dei rischi fisici per le donne, tendano a contenere i sentimenti e le fantasie più disturbanti: da un lato a favorire, nella coppia in attesa, sentimenti e responsabilità genitoriali, in quanto si diventa legalmente “genitori” prima che il bambino nasca e, dall’altro, ad evitarli nelle donne rinforzando il sentire che la gestazione che portano avanti è “per altri”.
L’aspetto altruistico, parte integrante della tipologia di contratto, si riferisce al valore sociale dell’atto compiuto dalle donne che accettano di portare avanti la gravidanza e alla cultura della maternità nelle realtà prese in esame. Coloro che hanno utilizzato questa pratica, parlano di cultura della donazione e di un atto molto ammirato e valorizzato a livello sociale: i partner sono d’accordo con la scelta delle loro compagne, scelta che è nota ed accettata non solo nello stretto ambiente familiare, ma anche nella cerchia degli amici della Portatrice, cosa che molto spesso non avviene nell’ambiente di vita degli aspiranti genitori, sia si tratti di coppie omosessuali che eterosessuali. 4


5. Alcune esperienze di “gestazione per altri” nelle varie tipologie di coppie

Vorremmo proporre qualche riflessione sull’organizzazione interna delle coppie che fanno ricorso alla gestazione per altri rispetto all’esperienza della genitorialità, quanto diciamo si riferisce a coppie omosessuali ed eterosessuali che hanno fatto ricorso a questa pratica.
Osserviamo che nelle coppie omosessuali sia maschili che femminili, i singoli individui non sono infertili, ma la sterilità della coppia è legata all’orientamento sessuale. Grazie alle tecniche della PMA, possono accedere alla genitorialità individui che fino a qualche decennio fa non avrebbero potuto esaudire questo desiderio. Diventare genitore rappresenta un elemento di arricchimento per l’individuo e per la coppia: la nostra esperienza clinica, supportata dalle interviste a coppie omo-genitoriali che hanno potuto realizzare il desiderio di genitorialità, evidenzia come tale desiderio debba essere “legittimato” nella psiche individuale, nella coppia e nella società.
La sofferta e necessaria auto-legittimazione rende queste coppie particolarmente sensibili ai rapporti affettivi tra di loro e verso i bambini.
La possibilità di diventare genitori per le coppie omosessuali passa attraverso l’elaborazione del lutto per l’impotenza procreativa connessa all’orientamento sessuale in quanto limite biologico e attraverso l’elaborazione dell’ostacolo psichico relativo all’immagine omofobica interiorizzata secondo la quale: gli omosessuali non sarebbero buoni genitori che tende a svalutare le proprie capacità genitoriali. Alcune coppie maturano il desiderio di genitorialità e di un progetto condiviso nella relazione con un partner e attraverso la frequentazione di gruppi composti da coppie che stanno intraprendendo o hanno già fatto l’esperienza di omo-genitorialità; molte hanno rafforzato i loro desideri vedendo e frequentando “la realtà in atto”: figli di genitori omosessuali che conducono una “vita normale”. La realtà quindi fuga molti fantasmi e legittima i loro progetti; la cultura di gruppo e la condivisione su Internet consentono di reperire molte informazioni e di trovare risorse a tutti i livelli, aspetto che rende accessibile e facilita il percorso.
Un elemento di sofferenza particolare è costituito dal rapporto con i propri genitori, che spesso pur avendo accettato l’omosessualità dei figli, possono mostrare resistenze rispetto alla loro scelta genitoriale. Questo problema si manifesta anche nelle coppie di donne che, di norma, non ricorrono alla gestazione per altri.
La pratica della gestazione per altri, come quella più semplice della donazione di gameti estranei alla coppia, comporta il problema di quale tipo di rapporto intrattenere con i donatori di gameti (sperma o ovuli) e con le diverse figure femminili, la donatrice e la portatrice.
Attualmente sembra che le coppie omosessuali maschili mantengano un legame più o meno stretto con le donne donatrici e portatrici; molte coppie sono disponibili fin dall’inizio a raccontare le circostanze della nascita ai loro figli e a far loro conoscere le donne che hanno contribuito alla loro esistenza. Il racconto della storia della loro nascita rappresenta la testimonianza del desiderio genitoriale e del profondo amore per i figli.
Nelle coppie omosessuali femminili la possibilità di gravidanza è una scelta che in genere si compie in modo autonomo all’interno della coppia, ricorrendo frequentemente alla inseminazione eterologa (banca del seme) che in molti paesi, viene protetta dall’anonimato. Questa evenienza insieme alla possibilità di gravidanza per entrambe le partner, crea una maggiore simmetria di funzioni e ruoli: le donne possono alternarsi nella scelta di procreare e/o allattare il figlio o definire al loro interno ruoli distinti nella procreazione e nell’allevamento. Le donne sono tradizionalmente abituate ad allevare i figli da sole per cui la mancanza di rapporti con il donatore e il mantenimento del segreto sulle origini sono piuttosto frequenti; tutto questo può comportare la tendenza a marginalizzare nell’universo familiare la componente maschile che può opacizzarsi fino a scomparire in un sistema naturalmente autosufficiente. La fantasia di una procreazione simultanea e simbiotica, basata su un rispecchiamento reciproco conscio e inconscio, è molto potente e legata ad un immaginario femminile di unità e completezza che ha un fondamento nella possibilità generativa iscritta nel corpo stesso della donna.
È necessario riflettere su queste differenze che si osservano nella pratica clinica: nella coppia omosessuale maschile, la donatrice e la portatrice che hanno portato avanti la gravidanza per la coppia, restano degli interlocutori e delle presenze che vengono a far parte della costellazione familiare alla quale il bambino si può riferire per riconoscere la proprie origini. Sembra che il desiderio di un figlio comporti la possibilità di riconoscere il materno in modo disgiunto dal sessuale, di ricomporre una frattura o comunque una discontinuità nella propria esperienza psichica, a vantaggio di una triangolazione: coppia omologa-madre donatrice-portatrice-bambino, che può garantire la costruzione di legami distinti.
Nelle coppie di donne si riscontra invece, frequentemente, una marginalizzazione della figura del donatore, talvolta assimilato nella sua anonimità ad un “donatore di sangue”, che può essere, per così dire, rapidamente dimenticato.
Per contro, nelle coppie omosessuali maschili che ricorrono alla gestazione per altri sembra avere molto rilievo l’appartenenza genetica del bambino per l’ assunzione di una identità genitoriale: le coppie generano più figli o gemelli, inseminando con i gameti di entrambi i partner ovuli distinti provenienti spesso dalla stessa donatrice al fine di assicurarsi l’appartenenza biologica di uno o più bambini. Al di là delle difficoltà, legali e non, connesse all’adozione da parte del partner, sembra che la capacità generativa a livello fisico, anche attuata solo come portato genetico, sia più desiderabile di qualunque forma di adozione, come emerge anche dalle esperienze di coppie eterosessuali e di donne single che decidono di avere un bambino tramite donazione anonima del seme.
Nelle coppie appare anche un grande desiderio di rafforzare la funzione genitoriale nel genitore non genetico, co-madre, co-padre, che si attua con una certa tendenza alla indifferenziazione delle funzioni e dei ruoli: nelle coppie omosessuali femminili l’allattamento del neonato viene talvolta organizzato al fine di stabilizzare la funzione genitoriale nella co-madre, a volte scegliendo precocemente un allattamento artificiale. In alcuni casi la mancanza del legame genetico e della gestazione viene riparata e compensata tramite l’allattamento artificiale della co-madre; ma comunque, nel tempo, si crea una certa differenziazione dei ruoli legata alle caratteristiche psichiche e caratteriali dei componenti la coppia.
Quali sono le conseguenze che si possono ipotizzare? Come sappiamo la letteratura scientifica sui bambini allevati in famiglie omoparentali di questo tipo è confortante. La nostra riflessione, anche a proposito della PMA per le coppie eterosessuali, ci porta a considerare come elementi potenzialmente patogeni le assenze, i vuoti, i silenzi, i segreti legati al tema dell’origine.
Per quanto riguarda le coppie eterosessuali la necessità di ricorrere alla gestazione per altri è una scelta connotata dalla dolorosa rinuncia al concepimento naturale legata alla sterilità e implica quindi l’elaborazione del lutto della fertilità di coppia e talvolta anche individuale in modo più intenso e doloroso. Se l’accettazione della donazione (sperma o ovulo), è sempre problematica (Bruno et al., 2014a), la mancanza dell’esperienza della gravidanza nella donna che la vive in forma traslata attraverso la Portatrice, può costituire un difficile vissuto da integrare con la propria identità di donna e di madre. La figura della Portatrice che invade il posto “legittimamente” riservato alla donna della coppia privata dell’esperienza percettivo-emotiva della gestazione, risulta essere una condizione mortificante a livello narcisistico e ha come conseguenza il mantenimento del segreto sulle origini del bambino.
Molte di queste sofferenze non sono del tutto “naturali”, come abbiamo visto. Il portato culturale che sottende questa sofferenza, selezionato nella nostra civiltà per ragioni complesse e varie, è molto potente ed è principalmente fondato su una certa esaltazione culturale ed etica della maternità. Questa cultura contribuisce a rendere problematica e dolorosa la rinuncia al figlio che compie la donna che dà alla luce un bambino non voluto, l’assunzione del ruolo materno per la donna che diventa madre adottiva, per la quale peraltro la comunicazione delle origini al figlio adottato resta ancora talvolta problematica. In quest’ottica la GPA, per le coppie infertili pratica diffusa e stratificata nel tempo, appare paradossalmente più legata allo schema della famiglia tradizionale della cultura giudaico-cristiana occidentale, alla definizione dei ruoli maschili e femminili fortemente tipizzati, all’identità esclusiva della donna come moglie e madre.
Infine un cenno alla pratica di gestazione per altri a titolo gratuito, consentita come possibilità esclusiva in alcuni paesi, che in genere si verifica tra consanguinei: madri e zie per figlie o nipoti, sorelle per sorelle e fratelli ecc., circostanze di cui abbiamo notizie attraverso la descrizione delle numerose esperienze ampiamente pubblicizzate tramite i media. Ci sembra che questa ultima situazione di GPA, contrariamente forse a quanto si possa pensare, risulti molto più rischiosa dal momento che i rapporti parentali ed affettivi tra i partecipanti indebolisce la possibilità di mantenere e costituire ruoli parentali differenziati dopo la nascita del bambino. Inoltre l’aspetto genetico della procreazione si configura spesso come incestuoso, non tanto da un punto di vista biologico, ma dal punto di vista psichico. Il pagamento in denaro dunque, nell’ambito della dettagliata normativa descritta, sembra essere quindi garante di una più chiara distinzione di ruoli, di contenimento delle possibili fantasie e sentimenti di invidia e rivalità disturbanti la filiazione e di una maggiore potenziale facilità a narrare la storia delle origini ai bambini nati dalla GPA.


6. Note conclusive e domande aperte

Vogliamo concludere la nostra esposizione con alcune considerazioni e domande aperte sugli aspetti psichici che riguardano i diversi soggetti coinvolti nella pratica GPA che possano contribuire ad una riflessione comune su un tema che è denso di tante implicazioni sociali, etiche, giuridico-economiche, antropologiche e che suscita reazioni emotive contrastanti nell’opinione pubblica ed in ognuno di noi.
Viviamo un momento cruciale di cambiamento globale delle concezioni sull’origine della vita e del rapporto maschile-femminile che inducono ad interrogarsi anche sulla applicabilità universale dei paradigmi classici della psicoanalisi per la comprensione e l’interpretazione di realtà culturali consce ed inconsce individuali, ma più spesso collettive, che esprimono forme diverse di famiglie e di filiazioni, processi di identificazione, valori e miti differenti.
Partiamo da un dato ineludibile: i bambini nati dalle pratiche di PMA sono alcuni milioni e sebbene quelli nati da GPA ne rappresentino una parte minoritaria, il 95% di loro è figlio di coppie eterosessuali e alcuni di loro hanno già più di 30 anni, per cui siamo ormai alla seconda generazione di soggetti nati da pratiche di PMA e particolarmente da GPA.
Pensiamo che la psicoanalisi debba guardare con occhio, per quanto possibile, scevro da pregiudizi questa realtà, facendo un ulteriore sforzo per sottoporre ad analisi critica anche quelle convinzioni, inerenti al corpus della teoria e pratica psicoanalitica, che sono ormai connaturate al nostro giudizio e al nostro lavoro. Alla luce di queste nuove esperienze si aprono degli interrogativi in particolare su alcuni modelli specifici della relazione madre-bambino sui quali ci siamo formati.5
Esaminiamo quindi alcune questioni che riguardano il bambino nato da queste pratiche, i genitori intenzionali, le figure delle donatrici e portatrici e i possibili rapporti che si vengono a creare tra loro.

1. Possiamo chiederci per quanto riguarda il bambino nato da GPA come si articoli l’esperienza proto-mentale e il legame sensoriale che si stabilisce nel corso della gravidanza con la madre portatrice.
In merito al proto-mentale e alla sua relazione con la trans-genitorialità, Imbasciati (2003) sostiene che la nascita della mente umana si costituisce fin dalla vita uterina sulla base degli scambi di umori metabolici e input sensoriali propriocettivi tra madre e feto. Questi scambi, peraltro studiati da numerosi Autori in ambito psicoanalitico, tra cui ricordiamo, Maiello, Mancia e Piontelli, danno luogo o perlomeno contribuiscono alla formazione di engrammi; una sorta di traccia mnestica fisiologica originaria in base alla quale, nel corso dello sviluppo, si strutturerà la mente del bambino.
Cosa quindi possiamo ipotizzare in merito alla perdita di questo legame intra-uterino?
Riteniamo che questo tipo di esperienza possa essere accostata a quella della adozione precoce sia per quanto riguarda la mancanza di una continuità genetica che per la perdita di quel portato di sensazioni percettive, vissuti psichici che legano il feto alla gestante. Più in generale possiamo pensare a tutte quelle esperienze pre- e perinatali che possano comportare una alterazione di tale legame fondativo per la mente o una sua valenza traumatica quali nascita prematura, morte della madre, emergenze neonatali etc. Tuttavia il problema totalmente nuovo nell’ambito delle speculazioni psicoanalitiche resta quello già posto dalla diffusione della PMA eterologa: il fatto che la gravidanza sia portata avanti da donne con ovociti estranei al loro patrimonio genetico.
Ci chiediamo cosa possa accadere nella mente del bambino in seguito ad un repentino cambiamento di ambiente, cosa ne è di quelle precocissime esperienze sensoriali fatte di odori, sapori e voci nel passaggio dalla madre gestazionale ai genitori intenzionali.
Ricordiamo la nota affermazione di Freud (1922), in “Inibizione, Sintomo e Angoscia”: “C’è molta più continuità fra la vita intra-uterina e la primissima infanzia di quanto non lasci credere l’impressionante cesura della nascita”; ma proprio la cesura e lo sviluppo successivo di questo concetto può forse aiutare a pensare alle molteplici cesure che una nascita tramite GPA implica.
Bion ha esplorato, come è noto, questo concetto e indicato come la cesura in quanto scissione non patologica, rappresenti un processo fondamentale in una condizione di transito temporale e spaziale, da una condizione precedente ad una successiva, per superare e congiungere ciò che è diviso.
Ne “Il Cambiamento catastrofico” (Bion, 1975) ha sottolineato anche “la vulnerabilità” che accompagna ogni transito, ogni processo di cambiamento da una posizione all’altra.
Possiamo ipotizzare che il riconoscere la vulnerabilità presente in questi passaggi e transizioni da parte dei genitori intenzionali potrebbe consentire di trascendere la cesura.

2. Che tipo di costellazione materna si articola per il bambino nato da GPA?
Pensiamo che si definisca una costellazione plurima di diversi soggetti che vanno a costituire la base identitaria del bambino, il luogo della sua origine che sarà comunque altro rispetto a quello in cui si strutturano ordinariamente gli oggetti psichici e le relazioni inter e intra psichiche.
Nello scenario fantasmatico familiare vengono di fatto inclusi sia la donatrice di ovociti che la madre gestazionale e il percorso di filiazione risulterà essere condizionato dalla scelta da parte dei genitori del mantenimento del segreto o dallo svelamento delle circostanze relative al concepimento e alla nascita del bambino. Abbiamo riscontrato differenze significative rispetto a questo tema nelle diverse tipologie di coppie: omosessuali maschili, femminili ed etero che ricorrono alla GPA.
Nell’esperienza condotta osserviamo che si presenta una generale “forclusione” dei donatori di gameti che tendono a scomparire dall’orizzonte familiare e nonostante possano essere mantenuti rapporti più stabili nel tempo con la portatrice, essa è considerata ed è a tutti gli effetti un “contenitore” separato dal materiale biologico che ha dato vita al bambino. Viene eroso se non abolito il concetto di materno che è sostanzialmente legato al legame corporeo di “sangue” che in genere garantisce continuità psichica e attaccamento anche in senso transgenerazionale.
Il legame di filiazione non è più quindi assicurato e rappresentato da quelle affermazioni che hanno accompagnato per millenni, nel bene e nel male la dinamica tra madre e figlio: “sei sangue del mio sangue, ti ho portato in grembo, ti ho dato il mio latte”. Con queste affermazioni le madri di tutti i tempi hanno preteso la proprietà e, talvolta, la sottomissione dei figli.
Il legame biologico costituiva una tautologia del legame affettivo, (anche se non necessariamente inteso come buon legame affettivo) ed era perciò un presupposto sicuro, una certezza biologica, una convenzione sociale: un rapporto fondato sull’equazione simbolica sangue-legame.
Conseguentemente, l’implicito accordo sociale condiviso attribuiva alla madre la volontà di non abbandonare il figlio (e a sua volta di non esserne abbandonata) in quanto prodotto del suo “sangue”, dando anche supporto simbolico al legame nella mente del figlio, (non posso essere abbandonato), insieme ad un nucleo identitario ereditato.
Il bambino nato da GPA può interrogarsi sul tema dell’appartenenza, analogamente ad un bambino adottato; nel passaggio attraverso tre corpi (donatore di gameti, utero per la gestazione, madre/padre intenzionale), può chiedersi: sono stato comprato/cercato? A chi appartengo? Chi mi appartiene?
È necessario interrogarsi sull’effetto che può avere, nella mente del bambino, la scomparsa o la minimizzazione della donna che ha contribuito alla sua embriogenesi e alla sua gestazione.
La non appartenenza al corpo della madre svilupperà relazioni simbiotiche vicarie dell’obsoleto legame di sangue? E quale “romanzo familiare” può prendere forma dalla scomposizione generativa?

3. In questo quadro così complesso, che ne è dell’Edipo?
Come abbiamo già detto, nella gestazione per altri esiste un predominio del “mentale” sulla sessualità e sulla corporeità. È presente quindi il rischio di una ipertrofia della mente che può arrivare a negare il corpo che è la migliore espressione dei nostri limiti.
Se leggiamo la GPA attraverso il vertice di Bion secondo il quale solo dall’incontro-accoppiamento tra un contenitore e un contenuto può nascere un terzo, potremmo riconoscere che l’accoppiamento può essere di natura mentale-simbolica e non necessariamente sessuale.
Ferro (2006, 2007), nelle sue teorizzazioni centrate su una lettura dell’intrapsichico attraverso un vertice relazionale, sviluppa una concettualizzazione relativa al funzionamento mentale che implica un modo di relazionarsi prescindendo dal sesso biologico. Indipendentemente quindi dalla sessualità esiste un accoppiamento delle menti di tipo omosessuale femminile, che comporta relazioni omogenee fusionali (ricerca di armonia ed eliminazione delle differenze), dove un terzo è un pericolo per la relazione, o di tipo omosessuale maschile conflittuale, dove lo scontro non lascia spazio ad un terzo, e un accoppiamento delle menti di tipo eterosessuale che implica una relazione creativa che consente la nascita di un terzo.
L’Autore, inoltre, descrive come ci siano coppie fenotipicamente eterosessuali che hanno un funzionamento mentale e si relazionano in modo omosessuale (la coppia Laio e Giocasta nel mito di Edipo) e viceversa coppie fenotipicamente omosessuali che si relazionano in modo eterosessuale.
Ci è sembrato interessante questo tipo di concettualizzazione proprio per liberare il campo da pregiudizi e nello stesso tempo individuare l’elemento essenziale per ipotizzare la nascita del terzo a prescindere dall’orientamento sessuale, ma non a prescindere dalla relazione e dal modo di relazionarsi.
Accanto al predominio del mentale sulla sessualità viene messa in evidenza l’importanza della relazione e del suo funzionamento per la nascita e la crescita di un bambino e la conseguente possibile creazione di una triangolazione che può senza dubbio consentire la costruzione di una soggettività e di una oggettività (Britton, 1998).
Nelle più recenti riflessioni sull’Edipo occorre segnalare lo spostamento dell’attenzione dal bambino alla coppia genitoriale, al suo funzionamento, alla sua capacità di essere una triade, alla possibilità che la coppia offre al bambino di negoziare le emozioni intense connesse al mito: gelosia, invidia, esclusione etc. (Waddell, 2003).
Accanto all’accoppiamento delle menti sarà anche necessaria la costruzione di un utero mentale, di un luogo e di un tempo per la gestazione non di un bambino, ma delle emozioni necessarie alla nascita e crescita di un bambino. Un utero mentale come contenitore delle emozioni che consenta di accompagnare la gestazione di un bambino “fuori da sé e dalla coppia” e fare posto al bambino che arriverà.
In sintesi se come affermano molti Autori (Chasseguet-Smirgel, Britton, Argentieri, etc. ) il traguardo edipico è rappresentato dalla consapevolezza dell’esistenza delle generazioni (passaggio del tempo) e della differenza di genere (anche come limite narcisistico tra me e l’altro da me), non possiamo affermare e/o escludere che tale differenza si trasmetta solo attraverso la sessualità riproduttiva. Naturalmente resta del tutto aperta la questione dell’articolazione del legame corpo-mente.

4. Ci chiediamo come si possa articolare nel caso della GPA quel complesso emozionale descritto da D.W. Winnicott come “preoccupazione materna primaria”.
Questo fenomeno psichico che è specificamente funzionale alla nascita della relazione tra madre e bambino, va messo in relazione con la funzione che l’impatto sensoriale ed emotivo nel contatto con lo stato fragile e inerme del neonato, assume nella mente di coloro che si prenderanno cura del bambino alla sua nascita. Abbiamo a che fare con potenti movimenti identificatori che attraverso la cura del neonato permettono di prendersi cura del se stesso bambino e che costituiscono uno dei fondamenti del desiderio di maternità e paternità. Lo stato di malattia di cui parla Winnicott si può attivare solo se l’ambivalenza della madre e/o di chi si occuperà del bambino risulterà “sufficientemente” contenuta; è possibile pertanto ammalarsi solo se relativamente sani.
La nostra esperienza con coppie omo-parentali ci induce a pensare che il difficile e sofferto iter emotivo che ha condotto alla filiazione possa accrescere la sensibilità alle esigenze del bambino e stimolare lo sviluppo di atteggiamenti e cure parentali, come avviene nel caso del padre genetico (o adottivo) di una coppia eterosessuale.
Ricordiamo a questo proposito che il vissuto emozionale del padre del nascituro della coppia eterosessuale, in parallelo a quello della madre, è alla base del fenomeno della couvade, non solo in quanto rito di appropriazione sociale del nascituro da parte del maschio, ma anche come vero e proprio portato psichico che si attiva nella mente del padre.

5. Alcune questioni aperte rispetto alle famiglie che si costituiscono
Dobbiamo presumere che il progressivo sgretolamento della madre come figura concreta, carnale, produttrice di vita e di sangue, su cui poggia il simbolico, sia già avvenuto almeno in parte nella mente dei genitori intenzionali nel momento in cui affrontano la GPA. In sostanza questi ultimi potrebbero trasferire al figlio la convinzione che è la volontà del loro desiderio e del loro amore più che “la carne e il sangue” che lo ha fatto nascere.
Tuttavia, al di là della consapevolezza manifesta degli attori coinvolti, non possiamo escludere che contenuti inconsci di tipo incestuoso, che peraltro di consueto animano lo scenario fantasmatico della genitorialità, possano essere attivati dalla concretezza della scomposizione dei passaggi presenti nella GPA e dalla pluralità dei soggetti presenti: dare un figlio al padre /alla madre, avere una relazione con un fratello che può aver preso il posto del padre.
Se possiamo ipotizzare il silenzio svalutativo per la donna che compie il “lavoro” della gravidanza possiamo anche supporre la necessità da parte della coppia di mantenere il segreto sulle origine complesse del bambino.
Nel percorso che le coppie omo-genitoriali compiono per autorizzarsi internamente a diventare genitori, parte delle rappresentazioni che costituiscono la continuità psichica per il bambino sono garantite dall’appartenenza biologica (ricordiamo la frequenza di gravidanze gemellari di bambini portatori di gameti di entrambi i partner) e dall’attaccamento che si sviluppa attraverso le cure parentali. Tuttavia resta in qualche modo aperta la questione del riconoscimento del materno disgiunto dal sessuale.
Per le coppie omosessuali femminili, così come per la donna etero che affronta la gravidanza da single, la possibile forclusione del padre rappresenta un rischio aggiuntivo. La coppia di donne può tendere a bypassare l’apporto maschile, negativizzando o marginalizzando la presenza maschile (donazione del seme come donazione di sangue) e il figlio può sentire alterato il rapporto con la realtà, avvertire una non trascurabile differenza con il mondo degli altri fatto di entrambe le identità di genere.
Per le coppie etero ricordiamo quanto detto a proposito della GPA gratuita, nella quale una parente prossima (madre, sorella, figlia) si presta a portare avanti la gravidanza “al posto” della donna infertile.
Possiamo chiederci che tipo di famiglia si va a costituire attraverso il ricorso alla GPA: ricorrendo alle conoscenze antropologiche su alcuni tipi di legami parentali ancora diffusi come la poligamia e sui cambiamenti sociali che hanno già modificato gli assetti familiari, potremmo pensare ad un contesto allargato che comprenda l’esistenza di una sorta di “ziastre e fratellastri” appartenenti alla famiglia delle donatrici e/o portatrici con le quali le famiglie omo-parentali maschili restano frequentemente in contatto. Ad esempio, fino a non molti anni fa, esistevano forme di “semi-parentela” che si formavano tra i bambini nutriti dalla stessa balia: i cosiddetti “fratelli di latte” dei quali uno poteva essere il figlio della balia e l’altro/altri no.
La letteratura internazionale in merito, presente naturalmente in paesi dove il fenomeno vige da lungo tempo, è confortante non solo per quanto riguarda la possibile scelta omosessuale dei figli, che si presenta con la stessa percentuale dei figli delle coppie etero, ma anche per quanto riguarda lo stato di salute psichica più generale di tutti i componenti della vicenda: a questo proposito si vedano le ricerche di Jadva et al. (2003) e Teman (2010).

6. Quali considerazioni possiamo fare sulle madri portatrici?
Siamo di fronte a modi di pensare e di agire ai quali non siamo preparati, ma che le nuove tecniche riproduttive hanno fatto improvvisamente balzare in evidenza nei nostri pensieri in modo nuovo ed inaspettato.
Ci possiamo domandare perché le donne accettino l’onere di essere donatrici o portatrici in piena e libera scelta, senza avere un impellente bisogno economico. Non escludiamo che una certa somma di denaro sia utile nell’economia familiare della portatrice: il desiderio di denaro come “motivazione” per qualunque azione umana, anche la più esecrabile, come per alcuni è la GPA, ha un aspetto paradossalmente pacificante e risolutore, ma contemporaneamente la limita. In questa sede intendiamo riflettere su ciò che oltrepassa questa motivazione.
Si può ipotizzare che alcune di queste Portatrici desiderino vivere lo stato di gravidanza, che già hanno sperimentato con gioia, ma non desiderino avere un bambino, che possano godere della sensazione di potenza che può derivare dall’esercizio della pura capacità generativa materna, presente potenzialmente in ogni donna, senza essere madri e che altre, grate al destino per avere avuto loro stesse un bambino magari atteso a lungo o con difficoltà, desiderino procurare questa gioia ad altre coppie; in ogni caso tutte considerano il loro agire, un dono, un atto d’amore.
Può aiutare a pensare allo stato psichico di queste donne portatrici, che accettano la gravidanza, ma non la maternità, l’accostamento con situazioni opposte dove la gravidanza è subita: giovani donne che portano avanti una gravidanza indesiderata con vissuti estremamente angoscianti anche in relazione, naturalmente, alle diverse e complesse circostanze che hanno determinato la gravidanza e alla decisione di portarla a termine. Spesso queste donne, dopo il parto, usufruendo dell’anonimato previsto dalla legge, disconoscono il bambino e lo danno in adozione. Possiamo chiederci, in questo caso, che tipo di problematiche si possano aprire, retrospettivamente, in relazione a questa scelta che indubbiamente comporta dolorose rinunce e vissuti abbandonici.
Al contrario, la portatrice che mostra la sua gravidanza, è fiera di se stessa, gode forse dell’esercizio della sua potenza creativa, giudica il suo operato con orgoglio, viene ammirata e congratulata nel suo contesto di vita. È anche possibile che in taluni ambienti si valuti con favore l’opinione che con la GPA si dia vita ad un bambino che altrimenti non sarebbe mai nato.6
Mc Williams (1994), nel suo studio sulla personalità masochistica, prende spunto dal concetto freudiano di “masochismo morale” (Freud, 1924), che distingue dal significato sessuale più ristretto di masochismo, un modello più generale di sofferenza scaturita dalla tensione tra l’Io e il Super Io che costituisce la fonte della nostra etica individuale e della moralità. L’Autrice osserva che nella accezione moderna si parla più frequentemente di masochismo morale nel senso che a volte “la moralità ci impone di soffrire per amore di qualcosa più grande del nostro benessere immediato individuale” (pag. 283) in conformità allo spirito con cui H. Deutsch osservava che la maternità è essenzialmente masochistica, come emergerebbe nello spirito di sacrificio e di dedizione verso la prole, fino al riconoscimento del figlio come essere psicologicamente indipendente. Sembra che, in questa accezione, il comportamento proprio del masochismo morale non sia necessariamente patologico; le persone scelgono di sacrificare aspetti della loro vita per cause cui attribuiscono un grande valore. L’Autrice cita espressamente personalità come Mahatma Ghandi e Madre Teresa di Calcutta che, ipotizza, potrebbero avere avuto forti componenti masochiste nella loro personalità.
Accanto a questi personaggi celebri, il masochismo morale, inteso in questo senso e a cui potremmo aggiungere una sorta di sfumatura eroica nel sopportare il disagio fisico, costituisce una categoria psicologica che potrebbe includere una lunghissima lista di persone: tutti coloro che sono disposti a soffrire, a sacrificarsi fino anche a perdere la vita per il benessere altrui, per persone che quasi non conoscono, riponendo, in questo operare con determinazione cosciente, il significato della loro vita. Costoro sembrano riferirsi ad una comunione privata con un Dio, se religiosi, o con “l’Umanità”, se laici, in una sorta di atteggiamento psichico che potremmo anche connotare come “mistico”, di testimonianza, di amore disinteressato per il benessere di un altro vissuto con fierezza e rivendicato di fronte al mondo. In genere queste persone sono ammirate, onorate e considerate benefattrici; di fatto le donne portatrici si ritengono delle benefattrici e tali sono, come ci è stato riferito, per le coppie che hanno usufruito di questa esperienza.
Un’altra componente significativa è rappresentata dal supporto narcisistico positivo conseguente all’ammirazione che viene tributata alla portatrice dal contesto di appartenenza. Altri contributi importanti sulle componenti psichiche che entrano in gioco e modelli interpretativi diversi possono essere utilizzati e trovare riscontro nella descrizione di una storia individuale. Il modello più classico, di impronta kleiniana, vede nel gesto della portatrice un atto riparativo rispetto a fantasticati danneggiamenti del Sé e dell’oggetto; come possibile spinta motivazionale alla GPA evidenzia forse eccessivamente l’aspetto ripartivo, 7 che supponiamo parzialmente soddisfatto dall’avere avuto almeno un figlio proprio mantenendo la possibilità di poterne avere altri, tuttavia non possiamo escludere, per talune donne, che ripetutamente si offrono per la GPA, un agito relativo a problematiche di risarcimento o di riparazione che possono contribuire in modo significativo ad attenuare un possibile vissuto di colpa rispetto ad un genitore edipico di riferimento.
Dalla letteratura internazionale, ancora ristretta, sui vissuti delle portatrici anche a distanza di anni, l’esperienza fatta viene riportata come positiva (Jadva V, et al, 2003; Teman E, 2010).
Di fatto attualmente si tende, nella pratica della psicoanalisi, a tenere presente che i modelli interpretativi debbano tenere conto del contesto culturale, o anche sub-culturale ristretto, nel quale il soggetto si colloca e nel quale assumono significato. In quest’ottica quindi andrebbero considerati tutti quegli elementi favorevoli, come il portato culturale in senso lato, presenti nel contesto in cui si svolge la GPA: il fatto ad esempio dell’approvazione e consenso del partner, della famiglia e del favore e dell’ammirazione più ampia tributata alla portatrice.

Riassunto
L’articolo descrive la pratica della gestazione per altri (GPA), altruistica e a pagamento vigente in California che, da circa 30 anni, ha dato origine a nuovi tipi di filiazione e di famiglie omogenitoriali maschili, femminili e eterosessuali. Dopo un cenno al punto di vista antropologico e socio-economico sull’argomento, vengono individuate alcune implicazioni psichiche relative al contratto di GPA preso in esame e alcune esperienze di “gestazione per altri” nelle varie tipologie di coppie. Infine vengono poste alcune domande aperte sulle questioni che questi nuovi modi di filiazione aprono rispetto ai modelli psicoanalitici relativi alla nostra pratica quotidiana: l’esperienza proto-mentale e il legame sensoriale che si stabilisce nel corso della gravidanza con la madre portatrice, il tipo di costellazione materna che si articola per il bambino nato da GPA, il quadro relativo al complesso edipico, il complesso emozionale descritto da Winnicott come “preoccupazione materna primaria” e alcune considerazioni relative agli aspetti motivazionali delle madri portatrici.

Parole chiave
Surrogacy, gestazione per altri, famiglie omogenitoriali, GPA e modelli psicoanalitici.
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Daniela Bruno, Laura Calzolaretti,
Enrica Fondi, Silva Oliva, Annalisa Scanu
fanno parte del GRUPPO RICERCA-
INTERVENTO SULLA PMA
dell’Associazione Italiana di Psicoterapia
Psicoanalitica dell’Infanzia, dell’Adolescenza
e della Famiglia (AIPPI)

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