Richard e Piggle ricorda Melanie Klein
luisa carbone tirelli



Richard e Piggle ricorda Melanie Klein a sessant’anni dalla morte e dedica la prima parte di questo volume al suo pensiero ed alla riflessione su un’interessante parte dei suoi ultimi scritti, inedita in Italia.
La Psicoanalista di origine austriaca nasce a Vienna nel 1882 e muore a Londra nel 1960, al termine di un’esistenza lunga e avventurosa, spesa fino agli ultimi anni di vita con il coraggio di chi, anche dagli eventi più dolorosi e drammatici come i lutti, la guerra, la persecuzione nazista, trae elementi che riesce straordinariamente a tradurre, da vissuti drammaticamente emozionali, a pensieri  che le permettono di consolidare e affermare le sue scoperte. Questa capacità di elaborazione è anche un interessante esempio di autoanalisi, fecondo per le osservazioni che trae sul funzionamento della mente nella patologia, ma anche nella normalità.
Il testo che pubblichiamo curato da Jane Milton in inglese, con il materiale tratto dall’archivio Melanie Klein che la psicoanalista stava raccogliendo probabilmente per la stesura di un libro sulla solitudine , accuratamente tradotto e riccamente commentato da Diomira Petrelli, testimoniano la straordinaria capacità della Klein di continuare la riflessione sull’animo umano, anche attraverso il dialogo e il confronto con colleghi e allievi, fino agli ultimi anni di vita.
  Mi limito ad alcune note per ricordare, in questo anniversario, l’originalità e l’importanza del pensiero di M. Klein che permisero alla psicoanalisi significativi sviluppi. Furono gli scritti di S. Freud ad appassionarla, ma quando M. Klein da Vienna si spostò con il marito a Budapest, fu S. Ferenczi, suo primo analista, a stimolare e incoraggiare il suo nascente interesse per l’osservazione e l’analisi dei bambini. Gli studi di Ferenczi sul transfert, la dialettica del transfert tra la fantasia e la realtà che segna le differenze tra la nevrosi e la psicosi nelle relazioni d’oggetto, misero in luce i meccanismi di proiezione e introiezione di un bambino proteso verso il mondo, meccanismi che costituiranno una base importante per la ricerca della Klein, sua paziente e allieva (Etchegoyen, 1986).
Al di là della relazione di Freud sull’analisi del piccolo Hans e i tentativi di Hug Hellmuth, la psicoterapia con i bambini si presentava come un territorio inesplorato. L’invito nel 1921 di K. Abraham a Berlino, l’incontro con il pensiero del suo secondo analista, influenzarono le riflessioni della Klein sullo studio del primo semestre e del primo anno di vita del neonato, e le psicoterapie che iniziò a intraprendere confermarono la sua capacità di contatto con la mente e con le angosce di bambini anche molto piccoli. È il materiale clinico che guida la Klein alla ricerca del punto di urgenza , di un contatto che le permetta un collegamento con l’ angoscia e con il senso di colpa che ostacolavano, fino a paralizzare a volte, lo sviluppo dei suoi piccoli pazienti. Il gioco e i disegni che spontaneamente i bambini producevano diventano il modo di relazionarsi ad essi nella stanza di analisi. M. Klein inaugura così una tecnica che fa emergere, con le angosce, le difese inconsce . Ciò che la Klein osserva, ciò che interpreta, con una sicurezza di cui essa stessa sembra stupirsi, offre significativi risultati clinici e le pone interrogativi che la porteranno in modo sempre più deciso alla formulazione di ipotesi teoriche. Iniziare dal materiale clinico per poi procedere, quasi di necessità, alla riflessione e alla formulazione di ipotesi teoriche è uno dei dati distintivi dello sviluppo del suo pensiero, come scrive Franco Borgogno nell’introduzione al testo di Elizabeth Bott Spillius (1988).
Con la morte prematura di Abraham nel 1925 la posizione della Klein a Berlino divenne difficile. Fu Ernest Jones a comprendere quanto fosse importante per la Società Britannica allargare il campo della psicoanalisi alla terapia infantile. La Klein, invitata a Londra nel 1925 per una serie di conferenze, vi trovò una buona accoglienza, divenne in poco tempo didatta, e a Londra rimase fino alla fine della sua vita. Con la pubblicazione de La psicoanalisi dei bambini  (Klein, 1932), testo che uscì contemporaneamente a Londra in inglese, a Berlino in tedesco, ottenne la massima attenzione della Società Britannica. Vi esponeva una tecnica. Era questa tecnica e le ipotesi teoriche che ne derivavano a creare un grande interesse e l’adesione di seguaci e validi sostenitori che andranno in pochi decenni a costituire una scuola di pensiero. Questa opera e gli scritti successivi sembravano seguire a pieno titolo la volontà di Freud di contribuire con la psicoanalisi alla costruzione di una teoria dello sviluppo. Freud aveva infatti fatto evolvere le sue considerazioni sulla patologia della sessualità e sulla teoria della seduzione in una teoria che descriveva le fasi dello sviluppo (Freud, 1905). Con questo viraggio la psicoanalisi si proponeva anche come una scienza che aveva avuto il grande merito di dare voce al bambino, riconoscendo la complessità della mente e dell’affettività infantile. La Klein, nel trattare i bambini e le loro angosce, comprende l’importanza del primo anno di vita, e inizia a descrivere un neonato che dalla nascita è in interazione con l’oggetto. Desiderava porsi in una continuità dialettica con l’opera di Freud, ma l’evoluzione del suo pensiero sin dagli scritti degli anni trenta fu, non solo da Anna Freud, ma da molti altri analisti, percepita come una deviazione pericolosa dall’ortodossia.
Il clima nella Società Britannica cambiò nel 1938 all’arrivo a Londra di Freud con la figlia Anna. Freud era sofferente, molto malato, morirà un anno e mezzo dopo il suo arrivo. Il già evidenziato contrasto tra Anna Freud e Melanie Klein, tra la Scuola di Vienna e la Scuola Inglese, si trasformò nel 1943 in un confronto diretto, un dibattito aperto che condusse a quelle che saranno chiamate Controversial Discussions . La passione con cui furono affrontate e gli scritti che hanno prodotto costituiscono chiarimenti importanti, a mio parere ancora controversi, per il futuro della psicoanalisi. Susan Isaacs, Paula Heimann, Melanie Klein furono le tre relatrici, ma il dibattito diede spazio al pensiero dei più accreditati psicoanalisti dell’epoca. Ne riporto un piccolo brano che testimonia l’appassionato livello di partecipazione.
Il 17 gennaio del 1943 si tenne la prima riunione sulle Controversial Discussions , il lavoro che si stava discutendo era quello di Susan Isaacs su Natura e funzione della Fantasia . 1  Fu scritto con grande abilità da Isaacs con l’intento di dimostrare che le elaborazioni teoriche della Klein, che essa sosteneva, erano un naturale sviluppo, un’estensione di quelle di Freud. L’interesse fu tale da decidere che sul contributo della Isaacs (Isaacs, 1948) si sarebbero svolte le quattro successive discussioni. Il dibattito aveva inoltre messo più chiaramente in luce il divario di opinioni tra E. Glover, che guidava i detrattori, e E. Jones che difendeva la congruità e la continuità degli scritti della Klein con il pensiero di Freud: Ci si trovava sì o no di fronte a una nuova metapsicologia, tale da dover produrre una scissione?
Nel corso della riunione del 17 febbraio Glover lesse un articolo inviato da W. D. Fairbairn, in cui l’analista sosteneva che l’attività primaria dell’Io non è la ricerca del piacere, ma la ricerca dell’oggetto, e descriveva la realtà interna come: “la scena ove si svolgono situazioni che riguardano le relazioni tra l’Io e i suoi oggetti interni”. Sulla differenza tra quella che Fairbairn chiamava realtà interna e il concetto di fantasia che la Isaacs aveva appena illustrato, dopo un lungo lavoro di preparazione e di confronto con M. Klein, ci furono successivi distinguo e precisazioni, ma si stava chiaramente andando verso una teoria delle relazioni oggettuali e una visione di un mondo interno popolato da oggetti in relazione tra loro e con l’Io. Per la Klein il Super-io non risultava essere il solo oggetto del mondo interno, come aveva indicato Freud ma, come aveva già ipotizzato nel 1932, non era neanche “l’erede del complesso edipico”  (Klein, 1932). Quanto questo allontanava dalla teorizzazione di Freud? La discussione quel 17 febbraio virò sulle pulsioni, sull’odio e sull’aggressività del neonato, e fu talmente accesa, come narra P. Grosskurth (1986), che D. Winnicott, preoccupato dal fracasso che giungeva dall’esterno, ignorato dai partecipanti, richiamò l’attenzione del gruppo dicendo: “Vorrei far notare che c’è un bombardamento aereo in corso”.
Il vero scandalo, il bombardamento più temuto dal gruppo dei partecipanti, era la deviazione dal pensiero di Freud, ma forse anche dal senso comune del tempo, contro cui Anna Freud si ergeva e riguardava, e forse riguarda ancora, ciò che avviene alla nascita e nel corso dei primi sei mesi e del primo anno di vita. Non era più la sessualità del bambino a creare scandalo, ma la forza degli aspetti pulsionali, libidici e aggressivi che caratterizzano la nascita stessa, le originarie relazioni con gli oggetti e la costituzione del mondo interno . Nel suo intervento Fairbairn metteva chiaramente al centro la relazione oggettuale, lo scopo finale della libido non era il piacere, il vero fine libidico era l’instaurarsi di relazioni soddisfacenti con gli oggetti; ed era quindi l’oggetto a costituire la vera meta libidica. Proponeva un cambiamento significativo che poneva al centro dello sviluppo non più la sessualità, ma la dipendenza e la relazione con l’oggetto. La dipendenza dalla madre e l’ambivalenza dei sentimenti – odio-amore, accettazione-rifiuto – influenzano la costituzione del mondo interno , l’incontro con il padre la relazione con esso. L’Edipo cambiava di segno e di significato.
Fairbairn si dissociò rendendo espliciti i punti in cui, nello sviluppare una teoria delle relazioni oggettuali, si differenziava dal pensiero di Freud (Fairbairn, 1955). M. Klein affrontò le discussioni controverse e la lotta per rimanere membro della Società Britannica di Psicoanalisi, per essere riconosciuta, nonostante le divergenze, figlia di Freud, alle cui idee ricorrerà sempre con un costante spirito di interesse e di confronto.
Gli scritti presentati, la discussione e le risposte, nel corso delle undici appassionate Controverse del 1943 a Londra, misero in realtà maggiormente in luce le differenze tra la teoria freudiana e le tesi che la Klein aveva già proposto nei precedenti scritti:
La prima, con l’affermazione dell’esistenza di un Io dalla nascita , aveva descritto un neonato proteso, sin dai primi momenti di vita, alla conquista dell’oggetto attraverso meccanismi introiettivi e proiettivi, con un’alternanza di sensazioni di integrazione e disintegrazione, con una spinta alla conoscenza: istinto epistemofilico , che darà vita negli scritti di W. Bion al fattore K . La Klein si era così contrapposta alla tesi di Freud di un narcisismo primario  che caratterizza i primi mesi di vita.
La definizione di un complesso mondo interno con una pluralità di oggetti, caratterizzati principalmente per la qualità di buono o cattivo che assumono per il neonato, si differenziava dalla descrizione di Freud di un mondo interno che ha come unico oggetto il Super-io . Il s enso di colpa che la Klein aveva registrato nelle psicoterapie con bambini di poco più di due anni, l’avevano portata a retrodatare la prima costituzione di esso (Klein, 1926). Nelle successive elaborazioni il Super-io viene considerato come un complesso sistema di oggetti del mondo interno  che, scrive la Klein, “sono risalenti a periodi e stratificazioni della vita psichica molto diversi” (Klein, 1928).
Per ultimo accenno all’importante tesi della Klein di uno sviluppo della vita mentale per posizioni invece che per stadi . Scrive Bléandonu (1983) che la Klein “poté proporre una teoria generale dell’angoscia solo quando fu in possesso del concetto di posizione ”. L’esposizione più chiara e sistematica di quello che è stato per lei un concetto cardine la troviamo nel 1952, quando scrive un’interessante sintesi della posizione schizoparanoide e della posizione depressiva  (Klein, 1952).
Lo studio e l’approfondimento della vita emozionale del neonato avevano già permesso alla Klein una prima esplorazione degli stati di persecuzione e paranoia e le difese primitive che tali stati producevano (Klein, 1929). Lo sviluppo di questi stati di integrazione e disintegrazione dell’Io, della scissione e della sua connessione con la proiezione e l’introiezione, furono descritti in Note su alcuni meccanismi schizoidi (Klein, 1946). Lo scritto, considerato forse il più importante tra i suoi, costituì un’area di più vasto interesse intorno a lei, sia per l’ulteriore sviluppo che illustrava dei processi di scissione e di proiezione – di quello stato della mente che per la prima volta nominò posizione schizoparanoide – sia per lo stimolante e complesso concetto di identificazione proiettiva che la Klein definì come “il prototipo delle relazioni oggettuali aggressive”. È coinvolgente la descrizione che fa D. Meltzer, nel suo arrivo a Londra negli anni cinquanta, del clima di entusiasmo e di ricerca intorno al concetto di identificazione proiettiva  (Meltzer, 1974).
Nel 1935, con il Contributo alla psicogenesi degli stati maniaco-depressivi (Klein, 1935), aveva già posto le basi di quella che sarà da molti considerata la sua più rilevante scoperta: la posizione depressiva . Nello scritto descrive l’ angoscia depressiva come sentimento di tristezza, di struggimento , che il piccolo verso i quattro-sei mesi prova verso la madre ora percepita nella sua interezza, nei confronti della quale confluiscono sentimenti di odio e di amore. È dall’ angoscia che questa ambivalenza produce che nasce l’esigenza di dare all’amore la prevalenza per riparare e preservare l’oggetto danneggiato. Lo straordinario lavoro di elaborazione del dolore per le numerose perdite che avevano costellato la sua vita e in particolare per la sconvolgente morte del figlio Hans nel 1934, le permisero un ulteriore approfondimento dei sentimenti che accompagnano i processi del lutto, della relazione ambivalente con l’oggetto d’amore perduto e dell’importanza per lo sviluppo della mente della permanenza in essa dell’ oggetto buono .
La rilevanza che assume l’ oggetto buono  nella teoria della Klein viene considerata da molta letteratura come un’altra svolta cruciale, importante negli anni cinquanta per l’ulteriore evoluzione del suo pensiero e per la storia della psicoanalisi. Ne trattano ampiamente G. Bléandonu (1983), R. H. Etchegoyen (1986), J. M. Petot (1982), R. D. Hinshelwood (1989).
Esula da queste note una trattazione esaustiva di questi concetti; ciò che mi preme sottolineare è come nel 1946 l’approfondimento della posizione schizoparanoide e con essa il tema della distruttività , insieme alle considerazioni che la mente è soggetta a oscillare tra queste due posizioni durante tutto il corso della vita 2 e che il processo di conquista della posizione depressiva non può considerarsi mai perfettamente compiuto, permisero interessanti sviluppi. Alcuni psicoanalisti in quegli anni affrontarono l’analisi con pazienti psicotici. Ciò rese possibile, a chi lavorava in accordo con la Klein, di usare il metodo psicoanalitico con gli schizofrenici – come fece ad esempio H. Rosenfeld nel caso di Mildred già nel 1947 – di affrontare la frammentazione e la distruttività, di avvicinarsi così, attraverso l’esperienza clinica, al funzionamento della mente psicotica e dei nuclei psicotici in pazienti nevrotici. Fondamentali in questo senso gli sviluppi apportati da H. Rosenfeld (1973), da H. Segal (1957), da D. Meltzer (1974) e in particolare da W. Bion che, dall’elaborazione di elementi della teorizzazione kleiniana, ha tratto gli spunti per la costruzione di un’affascinante teoria del pensiero  (Bion, 1962, 1967).
Credo ci sia ancora molto cammino da percorrere nello studio e nella scoperta del pensiero di Melanie Klein, anche attraverso l’approfondimento e la comparazione dei suoi scritti più noti con quelli dell’ultimo decennio della sua vita. È con l’augurio che ciò avvenga che concludo questo breve excursus.
Richard e Piggle dall’inizio delle sue pubblicazioni si è posta l’intento di tener vivo l’approfondimento di temi teorico-clinici che riguardassero gli studi psicoanalitici del bambino e dell’adolescente, anche attraverso un confronto arricchito di approcci in parte diversi ma, per questo, reciprocamente stimolanti.
In questo fascicolo, allo studio degli scritti inediti della Klein, accostiamo un Focus: Fluidità del genere sessuale in età evolutiva e scena primaria , curato da Angelique Costis, frutto anche del lungo lavoro sull’identità di genere, promosso da Teresa Carratelli e dai colleghi della S.I.P.s.I.A., Focus che tiene aperto e vivo un tema, più volte trattato nella nostra Rivista, con nuove prospettive di attualissimo interesse.

Riassunto
Un omaggio al pensiero e alla vita di Melanie Klein a sessant’anni dalla morte; a una psicoanalista che ha saputo trarre: dall’insegnamento di Freud e dei grandi psicoanalisti che con fervore ne elaboravano gli scritti, dalle vicende di un complesso periodo storico, dagli eventi più drammatici della sua esistenza, ma soprattutto dall’incontro con l’angoscia e con le fantasie dei piccoli pazienti nella stanza d’analisi, gli spunti per l’elaborazione di un pensiero originale, che ha dato vita a importanti filoni di teorizzazioni successive. Richard e Piggle dedica una parte del primo volume del 2020 al suo pensiero ed alla riflessione su un’interessante parte dei suoi ultimi scritti e appunti inediti sulla solitudine .

Parole chiave
Melanie Klein, Discussioni Controverse, Ortodossia, Sviluppo della teoria kleniana.
Bibliografia
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Luisa Carbone Tirelli
Presidente e Membro Didatta A.I.P.P.I.

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