L’affidamento dei minori.
L’importanza del lavoro sulla genitorialità e con i Servizi

sandra maccioni


Introduzione

“Oggetto quasi” è il bel titolo del libro di Saramago (2007) che parla di come gli oggetti assumano vita propria. “Oggetto quasi” si potrebbero definire tutti quei minori in affidamento, in attesa di una definizione del Sé e del loro ambiente.
La rivista Richard e Piggle ha già pubblicato un primo Focus sul tema dell’Affidamento dei Minori nel n. 1/2007, centrato sulle implicazioni emotive e relazionali di questa Legge e della sua applicazione, e sui vissuti dei bambini e adolescenti coinvolti.
Questo secondo Focus vuole trattare il lavoro che deve essere svolto sul piano della genitorialità e con le Istituzioni, poiché è necessaria un’attenzione profonda anche ai vissuti degli adulti da cui il minore si trova a essere sostenuto, giacché è da essi che trae il maggior vantaggio il soggetto in età evolutiva.
La legge 285 del 1997 ha stabilito entro il 2006 la chiusura di tutti gli Istituti. Attualmente sono aumentati gli affidi familiari, e si contano numerose Case Famiglia, che svolgono un ruolo di accoglienza di questi minori anche per lunghi periodi. Sono diffusi Corsi di sensibilizzazione all’Affido; Regioni e Servizi, d’accordo con i Tribunali, sperimentano possibili strade e risorse. Nel primo Focus1 abbiamo dato conto delle ultime aperture di questa legge – come l’Adozione Mite – dopo un avvio storico di natura puramente assistenziale, che testimoniano la ricerca in corso.
A nostro parere il lavoro psicodinamico sull’Affidamento necessita di trovare modi di soggettivazione del paziente, che passino attraverso la “personalizzazione” del minore (Winnicott, 1945), la riqualificazione di funzioni genitoriali, la ridefinizione del contesto in cui il minore è adatto a vivere. Soggetti che non hanno mai ricevuto cure ambientali stabili e continuative, necessitano soprattutto di un holding da parte dell’operatore o dell’affidatario che sappia sostenere lui e gli oggetti primari.
D. Winnicott (1984) ha sviluppato i suoi fondamentali studi su “Il bambino deprivato” e la tendenza antisociale, lavorando proprio con bambini che venivano dati in affidamento a famiglie e Comunità durante la Seconda Guerra mondiale e di cui egli ha analizzato affetti e difese. Ai giorni nostri sembra di assistere a un’altra sorta di periodo bellico: l’immigrazione, la povertà, il disagio psichico, portano molte famiglie a dover affidare la prole. Queste situazioni arrivano più frequentemente agli operatori, ai Servizi, ai Centri Clinici.
Si tratta perciò di riscrivere nuove pratiche terapeutiche e nuove letture del disagio, adatte a questi casi.
I lavori contenuti in questo Focus provengono, come il primo, dal lavoro del Gruppo sull’Affidamento che opera da anni entro la SIPsIA.2 Nell’ultimo anno, dopo 5 giornate di Studio svolte in precedenza sul tema,3 il Gruppo ha tenuto incontri di discussione sui casi insieme con operatori del settore,4 allo scopo di ricercare percorsi operativi che conseguano non all’emergenza, ma alla riflessione su ogni situazione, che è ogni volta diversa. Con questi soggetti è importante personalizzare, costruire strade che siano adatte per ogni singolo caso, e non adottate automaticamente per tutti.
Riteniamo che l’affidamento non debba essere solo un “contenitore”, inteso qui come luogo dove “collocare” gli oggetti, ma debba prendere la forma di un “contenuto”, cioè un progetto, un pensiero, maturato per ogni individuo diverso.
Come personalmente ho espresso negli incontri di discussione SIPsIA con gli operatori, occorre valutare gli “affetti” e non solo gli “effetti” di un Affidamento: cioè non guardare solo alla sua efficacia nel qui ed ora, se in maniera contingente potrà aiutare il minore a uscire fuori dal suo ambiente, ma prevedere a distanza quali emozioni provocherà nell’ambiente e nel bambino, quali sentimenti potranno nascere – poiché sono essi, e non già il provvedimento in sé – forieri di un’evoluzione positiva o no.
Ad esempio: è necessario togliere tutti i figli a una famiglia molto numerosa, laddove non ci siano cause giudiziali ma pure difficoltà ambientali? O non è più utile valutare quanto a quella famiglia possa poi venire a mancare un collante, che sono i figli, per cui l’affetto di rabbia e disgregazione riverbererà comunque sui bambini, sebbene abbia avuto effetto l’Affido? È utile dividere i fratelli nei colloqui, nelle scelte, nelle valutazioni?
“Slegare”, diceva Green, partendo dal naturale disimpasto di Freud fino al patologico attacco al legame di Bion. Sono dinamiche che si ripetono; occorre mirare al “ri-legamento”, all'investimento, per far sì che questa dialettica “legame-scioglimento del legame” non divenga lesiva, ma si mantenga entro le normali trasformazioni che operano nelle pulsioni di vita.
Nell’Affidamento esiste un paradosso, che è quello di costruire un legame mentre si va sciogliendo un legame. Ma può essere un paradosso costruttivo se i soggetti coinvolti sanno tenere conto di entrambi questi processi, di perdita e di acquisizione. Altrimenti si creano tensioni, scontri, tra queste due istanze, che si ripetono nel divario che spesso viene a crearsi tra affidatari e famiglie d’origine, nelle decisioni dei Servizi e delle Istituzioni. Tali divergenze e contraddizioni ricadono poi sul minore, già impegnato nel difficile accordo di aspetti di unione e di separazione.

I lavori contenuti in questo Focus fanno ben capire quanto il lavoro dell’Affidamento debba consistere in un “processo”, come ogni intervento che voglia avere una funzione terapeutica prolungata ed efficace. Tutti gli autori, con le differenze per il tipo di setting scelto, la durata, i soggetti a cui si sono indirizzati, evidenziano come si tratti di “personalizzare” anche sul piano operativo, sempre, sia il minore che il suo ambiente di provenienza e di accoglienza, non senza includere una buona dose della “persona” del terapeuta, che anche in questi casi – e forse più che in situazioni che hanno una durata e una conclusione prevedibile e congiunta – è in gioco.
S. Grimaldi con la sua esperienza pluriennale nel settore, riflette analizzando le specificità e anche le criticità dell’Affidamento, proponendo un metodo che tenga acutamente conto di come e a chi indirizzare tale provvedimento; delle necessità del minore, della reale qualità richiesta agli affidatari, dei bisogni sempre esistenti anche nella famiglia d’origine.
R. Colarossi mostra attraverso casi clinici come ogni affidatario abbia un proprio passato di figlio e coniuge da rintracciare ed elaborare per poter svolgere una buona funzione genitoriale per il minore. Approfondisce poi i motivi della scelta o della rinuncia alla maternità o alla paternità in un adulto.
L. Vallini espone il lavoro svolto in un Servizio Socio-Sanitario con un ampio gruppo di coppie affidatarie, che tramite la condivisione delle loro storie hanno potenziato sia la loro identità che quella del minore in affido. Da questo lavoro si evince l’importanza del fattore tempo, continuità per tale intervento.
Lorusso e Mezzina ci portano due esempi con cui è possibile svolgere il lavoro clinico nelle Istituzioni: qui, in un caso, svolto tramite una terapia individuale su una adolescente, e nell’altro tramite una supervisione solo agli operatori, senza incontrare direttamente il bambino. Il controtransfert, più che le “regole”, orienta a trovare le “soluzioni” giuste.
B. Amabili, tramite il resoconto di una psicoterapia individuale svolta con una bambina in affidamento intrafamiliare, evidenzia come le funzioni genitoriali mancanti debbano essere ridefinite a più livelli: riattivate nell’ambiente, espresse dal terapeuta e ricostituite nel mondo interno del minore, per sostenerlo nel cammino verso una propria identità.

I lavori di questo Focus accentuano quindi come per concorrere alla costruzione dell’individualità del minore sia necessario personalizzare ogni volta l’intervento, in base alle specificità diverse per ogni caso. Solo individualizzando l’intervento possiamo ri/costruire una sua identità e sostenere ruoli genitoriali che necessitano anch’essi di nuove rappresentazioni e figurazioni.
Ci auguriamo di riprendere questo tema con nuovi sviluppi e approfondimenti che seguano una crescita del lavoro clinico nel settore.


Bibliografia

Green A (1992). Slegare. Trad. it., Roma: Borla, 1994.
Saramago J (1984). Oggetto quasi. Trad. it., Torino: Einaudi, 2007.
Winnicott DW (1945). Lo sviluppo emozionale primario. In: Dalla pediatria alla psicoanalisi (1958). Trad. it., Firenze: Martinelli, 1975.
Winnicott DW (1984). Il bambino deprivato. Le origini della tendenza antisociale. Trad. it., Milano: Cortina, 1986.