Pensare la psicoanalisi con Green.
La sua “visione d’insieme e dall’alto” del passato,
del presente e del futuro della psicoanalisi:
un omaggio al suo contributo scientifico

Introduzione
vincenzo bonaminio

Il titolo di questo Focus che siamo onorati di presentare e di sottoporre ai lettori di Richard e Piggle è già esso in qualche modo un omaggio ad André Green, scomparso due anni fa, il 22 Gennaio del 2012: in Penser la Psychanalyse avec Bion, Lacan, Winnicott, Laplanche, Aulagnier, Anzieu, Rosolato (Paris: Itaque, 2013) André Green – la cui opera scritta è estesissima – ci lascia una eredità inestimabile perché dialoga con i “suoi” autori.
Nel libro La Madre morta. L’opera di André Green (1999) – dedicato ad uno dei maggiori e più noti contributi di Green – libro collettaneo tradotto anche in italiano – Gregorio Kohon intitola significativamente il suo lavoro introduttivo della raccolta di saggi di autori che hanno voluto contribuire a questo tema, The Greening of psychoanalysis – che in Inglese suona come un arguto e pregnante gioco di parole: il rinverdirsi della psicoanalisi, il fiorire della primavera psicoanalitica, il sempre-verde (green) albero della psicoanalisi. Possiamo prendere in prestito questa sua fulminante espressione e sposarla senza riserve.
Così Claudio Eizirik lo ricorda:
“Andrè Green: un pensatore della cultura che ci lascia oggi un solido edificio teorico e clinico con il suo lavoro incessantemente creativo e di profonda riflessione sul futuro della psicoanalisi”.
“Ci sforziamo ancora di abituarci all’assenza e al silenzio di questa voce potente nel mondo psicoanalitico e culturale”.
“La sua era una teorizzazione inventiva e inedita”.
“Andrè Green, essere umano complesso, contraddittorio e tuttavia profondamente attento alla ricerca della verità, con uno spirito vivo e perspicace”.

“Green giudicava necessario che l’analista fosse in grado di rispettare il metodo, senza peraltro rinunciare a creare, a inventare, a scoprire qualcosa che potesse dare senso o aiutare i pazienti limite. Se dice di esserci riuscito in molti casi, e avere in tal modo salvato delle vite, riconosce anche il suo fallimento in certi altri, inaccessibili a questo metodo o alla relazione analitica. La sua franchezza e la sua posizione allo stesso tempo umile e realista sono un esempio e una consolazione, sia per coloro che idealizzano la psicoanalisi che per coloro che non hanno il coraggio di riconoscere la sua portata e i suoi limiti”.
“L’impazienza di Andrè Green non appare quando egli si trova di fronte ad un interlocutore empatico e critico, che cerca di capire il suo pensiero, le sue elaborazioni, di indicare i dubbi che esse possono sollevare, e di segnalare qualche punto oscuro, non ancora elucidato”.
“André Green spiega la ragione per la quale la specificità della psicoanalisi risiede nell’articolazione dell’intrapsichico e dell’intersoggettivo; perché l’affetto è un testimone privilegiato della relazione con la pulsione e con la storia del soggetto; perché il setting è un analizzatore di analizzabilità; spiega qual è la natura della follia privata e in che cosa è diversa dalla psicosi”.
Con queste parole così icastiche, evocative, poetiche Claudio Eizirik, past President dell’International Psychoanalytical Association ha tributato il suo omaggio ad André Green, nella prefazione al libro di Fernando Urribarri Dialoguer avec André Green (2013).
Richard e Piggle – al momento prima ed unica delle riviste internazionali che gli dedica una intera sezione per ricordare il suo contributo – è onorata di averlo avuto come autore, come “suo” autore. Ricordo ancora la mia timida richiesta di concedermi i diritti, “la liberatoria”, per i suoi lavori sulla ricerca in psicoanalisi, nel dibattito con Wallerstein e poi con Stern.
La sua autorevolezza quasi intimidiva, il suo piglio severo metteva in soggezione: eppure quando gli parlai con semplicità della mia idea di pubblicare sulla nostra rivista il dibattito perché i nostri lettori potessero fruire di quell’importante confronto di idee – cui avevo personalmente assistito in vivo a Londra tra lui e Stern, un dibattito, direi piuttosto uno scontro condotto in punta di fioretto – uno scontro tra grandi – così pertinente con la politica editoriale della nostra rivista, Green si sciolse in un sorriso aperto ed accogliente, quasi “umile” e mi disse: «Ma certo: l’interessante è che si sappia la verità su questo imbroglio dei dati tratti dalla psicologia dello sviluppo! Grazie per l’ospitalità». Grazie per l’ospitalità? A stento credevo alle mie orecchie.
In modo “umile” un autore di quella stazza dimostrava che non era interessato alla rilevanza della rivista ma che i suoi lettori potessero accedere ad un dibattito che è rimasto storico. Posso dire con umiltà e orgoglio: per fortuna io c’ero!
Analogamente quando con Paolo Fabozzi abbiamo concepito il volume Quale ricerca per la psicoanalisi? (2002) Green – che a quel tempo avevo modo di incontrare di frequente perché era sempre in prima linea nei congressi internazionali su Winnicott organizzati da Andreas Giannakoulas, con la collaborazione di Max Herndadez e del compianto Mario Bertolino, di nuovo passò dallo sguardo austero a un sorriso aperto: mi prese sotto braccio – capite? sottobraccio! e addirittura scavalcando Karnak – perché i diritti erano suoi personali – mi firmò seduta stante una liberatoria. Poi tornò ad essere il Green di sempre, distaccato, austero, quasi sprezzante ma notavo che quel mio “umile” invito lo aveva “sedotto”, non per narcisismo ma perché era stupito che un Italiano potesse essere così interessato a quel dibattito e lo volesse pubblicare. Da allora mi guardava con occhi più benevoli quando i nostri sguardi si incrociavano.
Per questo dico, scrivo, senza arroganza, che Green è un “nostro autore”, perché ha voluto onorarci senza troppi fronzoli – anzi senza nessun fronzolo – del suo contribuito: essendo stato un nostro autore non potevamo non tributargli come ringraziamento, un omaggio in questa sezione speciale della rivista chiamando a raccolta nomi di prestigio della psicoanalisi Italiana e Francese e un prezioso resoconto, unico nel suo genere, scritto dalla psicoanalista francese Daniela Avakian che ci restituisce con una vivezza incredibile la sua umanità, ma soprattutto il suo modo di fare supervisione e di rispettare con umiltà analizzando e analista.
Dal lavoro della Avakian, che è un inedito, viene fuori un Green inaspettato, non il cultore della “ortodossia French Freudian” ma l’analista attento ai più sottili movimenti di transfert e di controtransfert del paziente e dell’analista. Credo che dobbiamo essere grati alla Avakian per averci dato in esclusiva questo contributo, da me fortissimamente voluto, e per essersi “esposta” con generosità.
Gli altri autori non necessitano di presentazione: Conrotto, Balsamo, Roussillon – introdotto dalla profonda conoscenza che Maria Grazia Fusacchia ha di questo autore. Includiamo in questa sezione anche un famoso lavoro di Green su “L’enfant modèle” che è una vera rarità, introvabile: fu pubblicato – e passò inosservato – in un volumetto curato da Marco Lombardo Radice e da me (anche se per un disguido sgradevole il mio nome non compare) e che rappresenta una cautela, un warning per tutti coloro che entusiasticamente credono, o vogliono credere, che l’infant observation sia un “esercizio psicoanalitico” mentre è fondamentalmente un modo per scoprire in vivo, nel suo farsi, come si crea ed evolve una relazione tra madre e bambino in ambito familiare, nella ecologia dell’ambiente di sostegno.
La critica di Green è a tratti pungente, ma è un utile antidoto ai “fanatici” dell’uso dell’infant observation, che resta uno strumento fondamentale e indispensabile per apprendere a percepire psicoanaliticamente, da quando, genialmente, nel 1948, Esher Bick l’ha introdotta come pilastro della formazione in analisi infantile presso la Tavistock Clinic e l’Institute of Psychoanalysis di Londra.
Nell’AIPPI e nell’i W – Istituto Winnicott (Asne SIPsIA) è una pratica cui viene attribuito un enorme valore formativo e che prepara i futuri psicoterapeuti del bambino e dell’adolescente a cimentarsi con la vera e propria pratica della psicoanalisi infantile offerta formativamente in prospettiva professionalizzante.
Vorrei concludere questa introduzione riportando per intero l’articolo comparso su Le Monde a pochi giorni dalla scomparsa di Green, a testimonianza della sua profonda influenza nella cultura francese.


André Green: psicoanalista, artigiano di un dialogo con l’insieme delle scienze umane ROGER-POL-DROIT
Le Monde, mercredi 25/1/2012

Nato il 12 marzo 1927 al Cairo, lo psicoanalista André Green è morto nel suo domicilio parigino domenica 22 gennaio (2012).
Non era uno psicoanalista come gli altri. Non si accontentava di essere solo un grande clinico, un terapeuta avveduto, un pilastro delle istituzioni francesi e internazionali. Ciò che caratterizzava André Green è innanzitutto una forza inventiva e ostinata per pensare dopo Freud, per far evolvere quella via singolare che ha aperto, perseguendo un dialogo costante – aperto, attento, esigente – con le preoccupazioni più diverse delle scienze umane. “La psicoanalisi non può più avanzare nella sua riflessione se non procede a una ricerca sulla nascita e sull’evoluzione dei suoi concetti e sul loro rapporto con gli altri ambiti del sapere contemporaneo”, confidava a Le Monde in un’intervista pubblicata nel 2003. Queste frasi riassumono l’essenza di ciò che fu, per più di mezzo secolo, il suo programma di lavoro. Esso lo ha condotto, attraverso una trentina di libri e innumerevoli articoli, conferenze e seminari, a confrontare le “idee direttrici” della psicoanalisi a quelle della filosofia, della linguistica, delle neuroscienze o dell’antropologia.
Il lungo percorso di André Green comincia in Egitto dove passa la sua prima gioventù e studia al liceo francese del Cairo. Viene a vivere a Parigi a 19 anni nel 1946 dove studia medicina e psichiatria nel 1953. All’ospedale Sainte-Anne fa la conoscenza di Henry Ey, poi di Jacques Lacan, a cui si avvicina durante gli anni ‘60. Si separa da Lacan nel ‘67 in seguito a disaccordi teorici e pratici, che però non gli impediranno mai, a dispetto delle polemiche, di riconoscere il contributo di Lacan al rinnovamento della teoria freudiana. Tuttavia è piuttosto con Winnicott e Bion, autori che ha contribuito a far leggere in Francia, che André Green preferisce proseguire il suo cammino.
Benché l’ampiezza e la diversità dei suoi lavori rendano difficile ogni riassunto, è possibile discernere, in quest’opera abbondante, dei fili direttori duraturi. Il primo riguarda la questione dei limiti. Diverse opere di André Green portano su questi stati-limite, difficili da classificare, situati tra nevrosi e psicosi, in particolare “La psicosi bianca. Psicoanalisi di un colloquio” con Jean Luc Donnet (1973) o “La follia privata. Psicoanalisi degli stati limite” (1990).
Ma la questione dei limiti non ha cessato di preoccuparlo anche a proposito dei poteri terapeutici della psicoanalisi. Lungi da ogni trionfalismo come da ogni illusione di essere infallibile, Green non ha cessato di insistere, per lucidità, sulle difficoltà e perfino sui fallimenti della psicoanalisi – come testimonia uno dei suoi ultimi libri “Illusioni e disillusioni del lavoro psicoanalitico” (2010) senza però rinunciare a tracciare delle prospettive per l’avvenire. Secondo filo direttore: la messa in luce del lavoro del negativo nella vita psichica. Cominciato con alcuni studi di casi individuali con “Narcisismo di vita, narcisismo di morte” (1983) questa riflessione è proseguita in particolare con “Il lavoro del negativo” (1993) e si è estesa alla sfera della cultura con “Pourquoi les pulsions de destruction ou de mort?” (2007).
Infine, è intorno alle specificità della vita psichica, alla singolarità dei suoi rapporti con la causalità, con il tempo, con gli affetti, col discorso vivente che sono dedicati diversi altri lavori del teorico, che confermano questa evidenza: l’asse centrale della sua ricerca fu sempre di individuare ciò che costituisce la coerenza propria dei processi psichici, spesso molto diversa dal nostro funzionamento intellettuale quotidiano.


Il senso dell’esplorazione

Non possiamo dimenticare che quest’uomo generoso, appassionato nell’amicizia, curioso di tutto, continuamente attento alle nuove idee era anche un grande amatore d’arte, di musica e di letteratura, come lo dimostrano i suoi scritti su Leonardo, sui tragici greci, su Shakespeare, Conrad e Henry James. Svariati omaggi testimoniano la sua influenza, in cui spiccano firme diversissime come quelle dell’antropologo Maurice Godelier, dell’ellenista Jean Bollack, del neurologo Jean-Didier Vincent o del poeta Yves Bonnefoy.
Green fa pensare in fondo ai grandi umanisti del Rinascimento. Si ritrovano in lui gli stessi tratti: l’appetito per il sapere, il senso dell’esplorazione intellettuale, il gusto dei dialoghi, delle scoperte e delle polemiche. E la volontà di avanzare nella comprensione dell’enigma umano.
Ma questo nuovo umanista aveva letto Freud e doveva tenerne conto. Vi si è dedicato con un senso acuto della pedagogia e del rigore intellettuale. Il che lo rende per sempre originale e appassionante.
Bibliografia
Kohon G (1999). La Madre morta. L’opera di André Green. Trad. it., Milano: Vivarium, 2007.
Bonaminio V, Fabozzi P (2002). Quale ricerca per la psicoanalisi? Milano: Franco Angeli.
Green A (2013). Penser la Psychanalyse avec Bion, Lacan, Winnicott, Laplanche, Aulagnier, Anzieu, Rosolato. Paris: Itaque.
Urribarri F (2013). Dialoguer avec André Green – La psychanalyse contemporaine, chemin faisant. Paris: Ithaque.



Vincenzo Bonaminio
Membro ordinario con funzioni di training
della Società Psicoanalitica Italiana,
Professore aggregato di Neuropsichiatria
infantile e Ricercatore presso il Dipartimento
di Pediatria e Neuropsichiatria infantile,
Sapienza, Università di Roma.
Honorary Visiting Professor,
Universty College London (UCL)
Docente Supervisore e Direttore
dell’IW-Istituto Winnicott,
Corso di Psicoterapia Psicoanalitica
del Bambino, dell’Adolescente e della Coppia
(A.S.N.E.-S.I.Ps.I.A.), Direttore del
«Centro Winnicott», Roma.


Indirizzo per la corrispondenza/
Address for correspondence:
Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria
infantile, Università di Roma, «Sapienza»
Via dei Sabelli, 108
00185 Roma
E-mail: vincenzo.bonaminio@gmail.com