Bambini in analisi
Introduzione
marco mastella

È con vivo piacere che introduco i lavori di Marta Badoni e Tonia Cancrini, che hanno aperto il recente Dibattito Spiweb sulla Psicoanalisi Infantile: “Le tante declinazioni della Psicoanalisi Infantile” (15 settembre 2012–15 gennaio 2013) condotto da Francesco Carnaroli e dal sottoscritto. Dibattito aperto, tra l’altro a molti colleghi stranieri, europei e americani.
Nella sua relazione, Marta Badoni, ripercorre i passaggi cruciali della sua decisione di diventare psicoanalista, di bambini, adolescenti ed adulti. Sottolinea la delicatezza del contatto tra inconscio di un adulto e inconscio di un bambino, la necessità di una attenzione particolare per i genitori, adulti che hanno generato ma anche allevano e sostengono la nascita anche mentale dei figli; la dimensione gruppale che la mente dell’analista deve sviluppare. Afferma l’importanza dell’attenzione e dell’interazione con l’ambiente. La competenza analitica è preziosa anche quando non vi è diretta indicazione alla Psicoanalisi Infantile: aiuta a tener conto della complessità del disagio famigliare di cui spesso il bambino è portatore e a valutare l’utilità e l’adeguatezza, il timing dei propri strumenti terapeutici, nonché la capacità dei genitori di tollerare l’intervento psicoanalitico con il bambino.
Ripensando al caso del piccolo Hans, Marta Badoni si interroga sul linguaggio da usare con i bambini e sul tatto occorrente per “entrare”, magari con il gioco, in un sistema così delicato, come è quello familiare, ricordandoci sempre della esistenza (e della presenza) dei genitori. Genitori di cui occorre “prendersi cura” prima di proporre la “Cura” per il bambino.
Si sofferma sulle Controversie tra Melanie Klein e Anna Freud, cerca di andare oltre ai fraintendimenti da scarsa conoscenza e sottolinea l’importanza del trattamento della rimozione, del lavoro di controtransfert e dell’attenzione ai rapporti tra pulsione e intersoggettività, nonché all’inconscio non rimosso, e delle teorie sull’attaccamento. Accenna al permanere di difficoltà nell’accogliere a pieno titolo la Psicoanalisi Infantile nell’Istituzione Psicoanalitica. L’Autrice è una delle figure che più si sono adoperate a livello nazionale ed europeo per tale riconoscimento e per il suo riconoscimento anche nel training formativo psicoanalitico generale. Rilancia, quindi, la vexata questio: che ne facciamo degli analisti di bambini? Li teniamo dentro a tante scuole quante sono le teorie di riferimento o, piuttosto, cerchiamo di far si che ogni analista trovi la curiosità, la spinta per lavorare (e imparare) anche con i bambini? Sapendo usare silenzi e parole semplici, porre dei limiti, riconoscere l’espressione dei corpi, esercitare la pazienza e l’umiltà. E si sofferma su alcune caratteristiche del fine analisi.
Tonia Cancrini, nella sua relazione: “Bambini in analisi. Angosce primitive e legami profondi” ripercorre la nascita della Psicoanalisi Infantile, partendo da Melanie Klein e Anna Freud. Secondo la Klein caratteristico è, con il bambino, il contatto immediato con l’inconscio che preme per “uscire”, per trovare possibilità espressive e di condivisione, e quindi con i bisogni primari, i sentimenti di base e le angosce arcaiche, primitive. Sottolinea, oltre al valore terapeutico, l’occasione che la Psicoanalisi Infantile offre per una ricerca in profondità e precocità, ricerca che può risalire all’approfondimento della Maternità Interiore e all’osservazione della relazione madre-bambino, che ci riporta agli albori dell’esperienza psichica, il che assume una sempre maggiore importanza anche nella Psicoanalisi degli adulti. Si sofferma sull’importanza delle funzioni materne, variamente delineate, per la crescita della mente del bambino, e ricorda – viceversa – l’effetto, sul bambino, di una invasione delle angosce e paure materne. Ci riporta vivamente immagini di alcune sue esperienze di Psicoanalisi Infantile, riprendendo, tra l’altro, un caso ampliamente illustrato nel suo libro “Un Tempo per il dolore”, ponendo l’accento sui vissuti catastrofici che emergono, in conseguenza di traumi precoci; vissuti, emozioni violente cui lentamente si può dare un nome e che si possono rappresentare con il gioco.
Se la tematica edipica rimane basilare, da elaborare, molto più complessa è la elaborazione della rottura del legame tra i genitori, che non sembrano ”più in grado di aver cura né di sé stessi né di lui”, genitori che non hanno più spazio per lui, che si sente solo, perso, annientato e disintegrato. La relazione analitica permette di rivivere l’esperienza e di pensarla, comprenderla e, forse, trasformarla.
L’altro caso riportato, Rodolfo, di otto anni, racconta di un bambino molto chiuso con momenti di rabbia incontrollabile, anche in conseguenza di un grave lutto familiare. Ora è sopraffatto da un’angoscia incontenibile, con un senso di distruzione irrimediabile, ora sembra potersi lasciare aiutare. Angoscia che sembra raggiungere il suo culmine quando si ripete il venir meno del contenimento e della rêverie materno. Molto complessa è l’elaborazione del controtransfert e la tenuta del setting, che permette all’analista di mettere in contatto i diversi aspetti di sé del piccolo paziente e ne sostiene le spinte riparative e la loro rappresentazione. Sembra così possibile entrare in contatto con l’inconscio del bambino, con i livelli arcaici della sua mente e la memoria implicita e ricostruire uno dei traumi più precoci, costituito dalla grave crisi della madre durante le fasi terminali della gravidanza.
Tonia Cancrini, se da un lato riconosce l’importanza degli interventi con i genitori e delle terapie congiunte genitori-bambino, dall’altro insiste sulla particolarità, sulla specificità della Psicoanalisi Infantile diretta con il bambino, intensiva, per raggiungere i livelli più arcaici e profondi della sua mente. E ricorda l’insegnamento di Ada Corti, che raccomandava ai giovani candidati un’analisi infantile durante il loro percorso formativo. Il che può facilitare il contatto con le parti infantili dei pazienti adulti. Personalmente, ricordo un insegnamento di Giovanna Grauso: è importante mantenere nel proprio orario settimanale lavorativo, un’analisi infantile intensiva, per allenare l’orecchio e l’ascolto sintonizzato sui ritmi, sulla musicalità, sull’espressività corporea e ludica degli aspetti più arcaici e precoci della mente infantile. Questo “allenamento” risulta prezioso anche per il resto del lavoro con altri pazienti.
Le due relazioni sono state accolte con interesse e hanno suscitato un vivace dibattito, tanto che il materiale raccolto alla fine, supera le 170 pagine.
Cercherò di riepilogare alcuni punti emersi durante la prima parte del dibattito.
Adamo Vergine, esperto psicoanalista degli adulti, molto stimolato dall’argomento e dalla relazione, si chiede se parlare di Psicoanalisi Infantile o di un particolare tipo di mente; riferendosi al “prendersi cura di adulti gravemente ammalati, che sembrano bambini nelle loro manifestazioni psichiche” si chiede “se questo non ci abbia portati ad avere un maggior interesse per i bambini, ma, attraverso l’esperienza dei casi gravi, anche una maggior competenza a lavorare con una mente poco sviluppata come quella di un bambino”. E si chiede se “non si potrebbe avviare un processo di integrazione teorico e tecnico, però esplicitando differenziazioni che riguardano il grado di sviluppo della mente anziché l’età”. E propone di considerare il gioco, il disegno, una modalità per formare la capacità di simbolizzare, strumenti in grado di soddisfare di per sé – senza bisogno di essere interpretati – il bisogno interno del soggetto. Propone di avere il “coraggio di andare oltre” nella ricerca e nella collaborazione con altre discipline, senza essere, trattenuti dal terrore di abbandonare la tradizione od i tradire l’appartenenza”. Dopo una memoria “ad un bambino mai analizzato ed al suo analista mancato” (M. Mastella) interviene Dina Vallino, con il suo intervento: “Il lavoro con i bambini e i genitori nella stanza d’analisi” richiamando l’attenzione sulle “nuove configurazioni di famiglie e nuove culture familiari” e propone un processo di trasformazione della Psicoanalisi Infantile, a partire “dall’esame delle problematiche dei genitori, per continuare a dare risposte sia alle infelicità dei bambini che al loro specifico disturbo mentale”. Propone, allora, di dare tempo, spazio, nell’analisi dei bambini e adolescenti, all’interpsichico oltre che all’intrapsichico. Ricorda il bisogno di tenerezza del lattante e delle sue componenti di base che chiama pulsione fusionale e pulsione a sentirsi esistere per qualcuno. Ripropone il suo modello di Consultazione Partecipata con genitori e bambini, un modello di intervento preventivo, basato su un “setting idoneo ad accogliere i genitori ed i figli nella stanza d’analisi”. Percepire la famiglia come una risorsa anziché come un ostacolo alla presa in carico, aiutarli ad osservare ed interagire con il bambino, riflettere e ripensare insieme a loro sull’esperienza comune, li aiuta ad avvicinarsi ai vissuti del bambino e, via via, a riportare alla loro coscienza le loro “identificazioni proiettive sul figlio”. Anche con genitori che si separano – e si odiano – può risultare possibile – e utile – coinvolgerli in tale assetto. Insiste sull’opportunità di frequenti incontri con i genitori anche quando si passi ad un intervento di Psicoanalisi Infantile. Richiama l’attenzione sul “fraintendimento familiare e identificazione patologica” e afferma vivamente l’importanza dell’ambiente e del suo sostegno.



Marco Mastella
Medico, Psicologo, Neuropsichiatra infantile,
Membro ordinario con Funzioni di Training
della S.P.I., esperto Psicoanalisi b./a.,
Referente SPI Aggiornamento Psicoanalisi b./a.


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