Introduzione
maria luisa algini

Perché il tema del fraterno, così esplorato nella letteratura, nel cinema, nell’arte, è rimasto a lungo silente in ambito psicoanalitico?
Quando nel 2003 avevo curato sui “Fratelli” un numero monografico dei Quaderni di psicoterapia infantile, la bibliografia esistente era molto scarsa: alcuni articoli, qualche numero monografico di riviste straniere, il libro di O. Bourguignon e le preziose “Lezioni” di P-L. Assoun mai tradotti in italiano.
Negli anni successivi, però, gli studi molto importanti di Kaës, di Kancyper, di Sommantico, Trapanese, Vallino e Macciò, hanno messo in luce un panorama ricco di suggestioni, facendo tra l’altro riscoprire quanto l’opera stessa di Freud, benché centrata principalmente sull’edipico, sia piena di riferimenti importantissimi al fraterno. 
Tali studi cominciano a fornire una risposta all’interrogativo iniziale. Quello che affrontano e si ricava dalla loro lettura, infatti, è la difficoltà a pensare e teorizzare come si coniugano nella vita psichica il fraterno e l’edipico.
La ricerca sull’originario è stata molto centrata sul rapporto tra il soggetto e la coppia dei genitori e sulla trasmissione psichica tra le generazioni. Dimensioni essenziali, sicuramente.
L’originario, però, non riguarda solo la storia personale di ogni soggetto, ma il legame tra gli uomini, il legame sociale. Ciò che resta e si ripete al di là delle singole vite sono le vicissitudini del fraterno che, nel continuo rivolgimento del mondo e dell’avvicendarsi delle culture, è fatto di solidarietà e condivisione ma anche di rivalità assassina. Lo dicono tutti i miti sull’origine, lo vediamo continuamente sullo scenario sociale. Ciò non può essere disgiunto dai processi di soggettivazione.
L’articolazione edipico-fraterno, inoltre, non è la sola dimensione in gioco per l’approfondimento psicoanalitico. Interessante la suggestione di J. André (1989, 1993) a proposito di quel tempo storico, la rivoluzione francese, in cui il fraterno si è imposto come ideale assoluto.
Riprendendo J. Michelet, egli sottolinea lo scontro, avvenuto in quel periodo, tra due concezioni opposte del fraterno. Nei primi anni della rivoluzione la fratellanza, quale compimento della libertà e dell’uguaglianza, doveva essere la caratteristica di una società che riconosce gli individui e li unisce valorizzandoli.
Negli anni del Terrore, invece, il teorico Saint Just propone che la vera fratellanza sia diventare Uno attraverso la condivisione totale dell’ideale di Patria e Repubblica. Robespierre proclama: “Non vi sono altri cittadini nella repubblica che i repubblicani”. Gli “altri” sono innominabili. E gli “altri” erano soprattutto gli stranieri, perché potevano diventare spie del nemico; e le donne perché “la cosa pubblica pertiene soltanto agli uomini”, così che “fratellanza e misoginia rivoluzionaria sono complementi indissociabili” . 
Sottolinea J. André che la storia mostra come la passione dell’Uno abbia trascinato la rivoluzione in una logica delittuosamente distruttiva (1989, p. 229-230), e ricorda che secondo Green (1985, p. 68) il desiderio dell’Uno è il narcisismo primario, “utopia unitaria, totalizzazione ideale… entità in via di principio inscindibile e tuttavia suscettibile di raddoppiamento e di moltiplicazione”. Il fraterno come narcisismo collettivo che si esprime nell’aspirazione all’Uno, si nutre dunque di un fantasma di ritorno al seno materno, a uno stato di natura in cui tutto è innocente, anche l’incesto. Saint Just affermava: “Non abbiamo paura dell’incesto, l’orrore che esso ci ispira ci allontana dall’Uno, dallo stato di società… sono i popoli più corrotti quelli che temevano l’incesto, i popoli innocenti non avevano neanche l’idea dell’orrore. Per colui che vi si concede per innocenza l’incesto è virtù” (citato da André 1989, p.225).  
Tutto ciò mi pare interessante per sottolineare che il fraterno deve non solo coniugarsi con l’edipico, ma primariamente con l’inesausta aspirazione all’Uno. Poterne immettere e “lavorare” la presenza come altro polo imprescindibile della mente, è un ulteriore vertice da cui pensare la complessità dell’originario.

Se nella letteratura psicoanalitica il fraterno è rimasto marginale, nell’esperienza clinica con i bambini, gli adolescenti e i loro genitori esso risulta ineludibile.
Mentre nell’analisi degli adulti sono più palesi gli esiti delle vicissitudini fraterne, osservando, ad esempio, funzionamenti psichici incentrati sulla perenne rivalità nelle relazioni personali e sociali, oppure sull’assunzione di funzioni genitoriali sostitutive, o ancora sulla delega o la reciproca cura devota da parte di sorelle e fratelli, nel caso di bambini o adolescenti la questione è nel vivo dell’attuale.
Non si può infatti lavorare sulla domanda di consultazione senza tener conto del fraterno: cioè se il paziente sia figlio unico o abbia fratelli e sorelle, se vivi o morti, come si collochi nell’ordine di nascita, quali le differenze di età e di sesso; se viva in un contesto di famiglia tradizionale con fratelli di sangue, oppure in nuove famiglie con fratelli nati da altre unioni; se ci siano delle adozioni o degli affidi. È fondamentale chiedersi, insomma, quanto, nella situazione psichica e nei sintomi di chi sta male, incidano le dinamiche tra fratelli, e di che cosa del gruppo familiare sia portatore quel paziente.
Con gli adolescenti le dinamiche fraterne prendono ulteriori sottolineature. Si coglie, ad esempio, come la rivalità tra fratelli e sorelle o l’alleanza complice, l’esclusione o la funzione vicariante, siano spesso spostate sull’amico del cuore, sul primo oggetto d’amore, sul gruppo dei compagni, che fungono da specchio, da polo di eterno conflitto, da soccorritori o da despoti.
Inoltre, poiché della richiesta di analisi dei bambini i portaparola sono i genitori, già nei primi colloqui con loro si intravede come ogni nascita cambi profondamente l’economia psichica familiare e ogni figlio sia investito di fantasie, proiezioni, identificazioni, relative ad aspetti profondi della storia personale di ciascun membro della coppia. Si evidenzia perciò come le nascite dei figli rimettano in gioco le vicissitudini fraterne degli stessi genitori, e come questo incida sia sul rapporto di coppia che sulla capacità o incapacità di cogliere cosa succeda nella fratria.

Questo focus vorrebbe offrire un piccolo quadro su come il fraterno che incontriamo oggi nella clinica interpelli la teoria psicoanalitica, ne solleciti approfondimenti e ne sia da essa illuminato.
Una prima questione: è il legame di sangue a rendere “fratelli”?
Sempre più vediamo bambini che crescono in famiglie cosiddette ricomposte, in cui un genitore fa nuovi figli con un altro partner, o vive con un partner che ha altri figli. Oppure ci sono famiglie con figli adottivi, a volte fratelli tra loro, che convivono con figli naturali della coppia adottante.
Nella vicissitudine di Cloe, la piccola paziente di Francesca Spacca che appartiene a una famiglia «ricomposta», osserviamo come il legame fraterno sia frutto di una costruzione simbolica che esige un surplus di lavoro psichico e passa attraverso travagli complessi e dolorosi.
Gli stessi che, in altro modo, attraversa Gaia, quattro anni, che nell’elaborazione di Assunta Pietrosanto racconta “il fardello di essere unica”. La bambina non sa spiegarsi perché non arrivi un fratello o sorella, anche per il “segreto” sulla sua nascita da fecondazione assistita tenuto pervicacemente dai genitori. I complessi movimenti delle fantasie di Gaia e di Cloe fanno intravvedere come una nuova nascita solleciti interrogativi sull’origine, sul sessuale, sulle differenze dei sessi e tra piccoli e grandi, e come la relazione con i fratelli, reali o fantasmatici, sia fondamentale per la strutturazione della mente.  
Nel caso presentato da Eleonora Di Lucia, invece, il “fratello” è stato concepito e, per eventi drammatici, non è mai nato. La sua ombra rischia di diventare non semplicemente un fardello ma una prigione che blocca la vitalità e la crescita. Come ci si può appropriare di una tale presenza e non esserne per sempre oscurati? Elia, bambino “caduto fuori del tempo” ci fa cogliere la drammaticità del vissuto suo e di genitori traumatizzati, che rischiano di congelarlo in una situazione di eterno sostituto-perdente.  
La clinica ci confronta oggi con un’altra situazione un tempo sconosciuta, quella dei gemelli resi tali dalla fecondazione assistita. Sono nascite che frequentemente generano tali difficoltà e tensioni nella coppia, che essa spesso si divide, rendendo ancora più complesse l’individuazione e le vicissitudini evolutive dei fratelli-gemelli. Per Livio, di cui parla Loredana Sateriale, non esistono fratelli che non siano gemelli e il gemello molto a lungo è solo uno specchio di sé. Che tipo di fratellanza è dunque quella tra due gemelli?
Nelle situazioni cliniche di cui sto accennando, già si intravvede uno stretto legame tra il fraterno nei figli e le vicissitudini della coppia genitoriale.
Quando c’è anche l’eredità di una malattia genetica, come fa vedere Mariavittoria Di Febbo, sembra ancora più evidente il peso del fraterno dei genitori nella relazione con le figlie. Giorgia ha la stessa malattia della sorella maggiore, che però sa e lei no. Solo perché è più piccola? O perché ci sono dolorosi conti genitoriali in sospeso che si giocano nella relazione con queste figlie ora adolescenti?

Sono solo alcuni degli stimoli offerti dalle situazioni cliniche. Essi spingono però a esplorare altri aspetti del fraterno intravisti ma tutti da approfondire.
Delle relazioni tra fratelli e sorelle, infatti, si mette quasi sempre in risalto la competitività rispetto ai genitori. Sarebbe la rivalità, la paura di perderne l’affetto e la predilezione, il motore delle dinamiche fraterne, dell’aggressività, delle gelosie, delle lotte a volte esasperate, o anche degli atteggiamenti iperprotettivi, teneri o regressivi.
Il fraterno è questo e ancora altro, come si vede nella clinica. Si muove tra ambivalenza e ambiguità, ossia tra spinte di ritorno all’unisono narcisistico e spinte alla separazione e all’autonomia (Minetti, 2003). Non si esaurisce certo nel rapporto cosciente tra fratelli, ma è complesso fraterno, ossia “un insieme organizzato di rappresentazioni e investimenti inconsci, costituito partendo da fantasmi e rapporti intersoggettivi nei quali la persona prende il suo posto di soggetto desiderante” (Kaës, 2003, p.15).
Il mio lavoro conclusivo, Sorelle, fratelli e loro fantasmi, tenta di dar forma al pensiero sul fraterno che si tesse via via attraverso i vari lavori del focus. Intende inoltre evidenziare lo stretto rapporto clinica-teoria: le esperienze cliniche interrogano e sollecitano le elaborazioni teoriche, i concetti teorici degli autori di riferimento illuminano e fanno “lavorare” il pensiero clinico, generando altro ancora.2
Un tentativo che penso appartenga al travaglio e alla fecondità della “dimensione fraterna” della mente.



Maria Luisa Algini
Psicoterapeuta dell’età evolutiva
Membro Ordinario Sipsia
Docente con funzioni di training
Segretario Scientifico Scuola di Psicoterapia
Istituto Winnicott - Corso Asne-Sipsia

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