La casa


Introduzione
carmela guerriera

Di Casa in Casa

Inizio con un titolo che solleciti il proiettarsi in un percorso immaginario, fisico e psichico al tempo stesso, un percorso spazialmente delimitato, fisso, ma dotato di fessure e aperture, con linee di confine rigide o, al contrario, a permeabilità variabile.
Passaggi , è una delle tante evocazioni che suscita la parola casa , forse non la più immediata, tuttavia più corrispondente a quanto gli Autori ci descrivono, narrano, analizzano, nei lavori di questo Focus. Essi delineano accuratamente anche l’arredamento degli interni , dando ulteriore respiro al discorso dell’intrapsichico, sempre in dialogo costante con l’interpsichico, in un procedere a spirale, che tende a nuove prospettive. Si rileva un movimento oscillatorio tra due estremi, che possono corrispondere da un lato a processi normali dell’attività del pensiero e dello sviluppo e, dall’altro, al disturbo, se non allo scacco, della capacità di pensare e di simbolizzare.
Assistiamo al moltiplicarsi di significati della casa , del simbolico, della metafora, della parola letteraria o drammaturgica, oppure all’urto con l’intaccabile pietra del trauma irrappresentabile. In mezzo, tutta l’incertezza dell’incedere dell’individuo, con inciampi, cesure e cambiamenti catastrofici  nell’accezione bioniana, costruzioni e decostruzioni della propria dimora psichica.
Parisi tratta della casa come teatro delle rappresentazioni inconsce del soggetto, come corpo che si anima e si sostanzia con le esperienze affettive, con i legami intersoggettivi; casa come processo della costruzione di identità. Il suo discorso si avvale anche di rimandi all’arte letteraria e cinematografica, in alternanza con esempi tratti dal lavoro analitico, che rappresentano efficacemente la poliedricità della dimensione casa , il suo abitarla e disabitarla come movimenti di creazione di legami o della loro rianimazione riparativa, così come di allontanamenti al servizio della differenziazione e della crescita. L’Autrice si sofferma sugli effetti di eventi traumatici vissuti da bambini e adolescenti, con la perdita della casa come luogo di origine, portando alcuni esempi clinici di adolescenti adottati, dalla vita segnata da separazioni, dalla casa e, a volte, dal Paese natìo, come accade ai bambini migranti, ma anche ai bambini che lasciano la casa-famiglia che li ha accolti, per essere poi adottati. Altri, invece, sono alle prese con separazioni dolorose dei genitori e con i conseguenti strappi e divisioni, dislocazioni, da una casa all’altra, in quella dell’uno o dell’altro genitore. Parisi evidenzia inoltre le connessioni tra queste esperienze connotabili come francamente traumatiche e alcune manifestazioni, anche severe, di disagio psichico.
Si delinea così la prospettiva della casa come segna posto cangiante di passaggi evolutivi o transiti da una dimensione all’altra, da quella onirica alla realtà fisica, da un Paese e da una cultura a un’altra, da un luogo all’altro, domestico o da addomesticare , in cui insediarsi e con cui familiarizzare, in cui rifugiarsi o da cui fuggire.
Lo smarrimento e la dislocazione sono descritti anche da Armaro, nel suo saggio, attraverso efficaci e puntuali rimandi letterari, come sensazioni angosciose di perdita dei confini spazio-temporali al risveglio, rievocazione dell’origine dell’insediamento della psiche nel soma e del passaggio dalla dimensione onirica alla realtà della coscienza di sé, alla riappropriazione di un corpo abitato dalla psiche. Egli, partendo dal concetto di perturbante  per Freud, descrive la dialettica del risveglio, in letteratura e nelle recenti teorie neuropsicologiche, così come il rapporto tra la casa, le fantasie infantili sui genitori e sugli spazi e i luoghi.
Starace, nel suo Gli oggetti e la vita (2013) ha scritto: “Si potrebbe dire che tutto è intriso di psiche, non solo la psiche stessa. La sua caratteristica “virtuosa”, la straordinaria forza che ha, tutto il suo fascino consiste nell’essere ovunque, presente nelle parole, nei corpi, negli oggetti e nei luoghi modellati dalle sue azioni. Secondo gradi, intensità, pregnanze diverse” (p. 33).
Il legame che si crea con la propria casa può superare, per intensità, anche quello con coloro, i genitori, che hanno contribuito alla formazione di quel legame, che lo hanno sostanziato. Lo possiamo vedere in un passo tratto da Analisi di un bambino  (M. Klein, 1961), a titolo esemplificativo del discorso, prescindendo quindi dall’interpretazione fatta allora dall’analista.
Nella quarantacinquesima seduta, Richard “[…] disegnò una casa e disse che era la loro casa, che avevano lasciato allo scoppio della guerra […] Fece un segno per indicare il punto del muro in cui era caduta la bomba. Un quadrato poco distante era la serra che era rimasta distrutta. […] Disse che le stanze che gli piacevano di più erano il soggiorno e la sua stanza da letto […] Gli piaceva tanto la propria stanza da letto per via del treno elettrico, di cui sentiva tanto la mancanza; gli sarebbe piaciuto che fosse stato possibile portarlo nella casa attuale […] Descrisse dettagliatamente il treno, con dei vivi sentimenti d’affetto” . Saputo dalla madre che dopo la guerra non sarebbero tornati nella vecchia casa, “Richard era molto triste perché amava la loro casa, la sua stanza, il soggiorno, il suo treno, tutto quanto. Aveva detto alla mamma che se lei non ci fosse ritornata, ci sarebbe ritornato da solo e avrebbe vissuto in quella casa”  (p. 225).
Si può odiare la casa, desiderare di distruggerla, abbandonarla, in molti casi, se di essa si è prigionieri e vittime della violenza che vi si svolge oppure quando diventa ventre tossico, infestata da parassiti e ratti, invasa dall’acqua che trasuda dalle pareti e dai pavimenti o viene giù dal soffitto, una casa fatta di cemento e amianto per esempio, come narra un film documentario intitolato La Chimera . 1 Il film ripercorre la storia della lotta di un centinaio di famiglie di Scampia, 2 che attendono da anni l’assegnazione di una nuova casa. Nella scena finale, i registi si soffermano su una delle protagoniste, che è tra gli inquilini di residenze chiamate Le Vele , il cui abbattimento si è reso necessario perché insane, essendo nelle condizioni disumane sopra descritte. C’è una giovane donna e madre che ha finalmente ottenuto un nuovo appartamento e vi entra per la prima volta; è spoglio, ci sono solo le pareti bianche e i termosifoni. Ella ha il volto illuminato, commosso dalla gioia appena trattenuta; con una mano accarezza una parete nuda e dolcemente, come parlandole, dice: Bella, sei bella…sei PERFETTA…casa mia . È un legame amoroso a prima vista, nudo, essenziale, eppure già così pieno di presenza, di appartenenza. Associo l’immagine ecografica del feto che accarezza le pareti del ventre materno, a sentire il confine sicuro e forse vederne la bellezza e sentirne la bontà, sin da allora. Il corpo-casa , un’espressione, un concetto, che torna in tutti gli scritti di questo Focus.
In ciascuna casa la nostra identità si forma e si trasforma, la abita e ne è abitata, anche quando se ne separa forzatamente, dolorosamente, come in molte delle situazioni traumatiche descritte dagli Autori.
De Micco nel suo lavoro ci inoltra nel mondo dei migranti ma prima, a fondamento del suo discorso, si sofferma sulla condizione di sradicamento e di dislocazione , ancora una volta, individuandola nell’insieme come una caratteristica diffusa del processo di costruzione della soggettività nella nostra epoca storica, in cui l’individuo non sembra trovare ancoraggi sicuri che lo facciano sentire “a casa” e acquisisce, invece, per così dire, un’ identità migrante . La dimensione della casa-identità appare smarrita nell’instabilità dei referenti metapsichici e metasociali, i cui riflessi sono individuabili nei legami transgenerazionali e nei processi di identificazione. Una caratteristica questa che, concordiamo, essere propria del soggetto contemporaneo, all’origine di quel malessere  descritto da Kaës (2012) e che ritroviamo ormai di sovente nella clinica con pazienti giovani e adulti.
L’Autrice descrive altresì le situazioni dei veri e propri migranti, persone che hanno perso tutto, luogo natìo, casa, famiglia, legami, identità originaria. È proprio nel passaggio drammatico dalla perdita della casa, luogo fisico e psichico, all’approdo alla nuova terra, alla nuova dimora, a volte solo un giaciglio, che ci si può smarrire. Il pensiero va in particolare ai bambini e ai ragazzi che fuggono o vengono abbandonati, provenienti da luoghi devastati da guerre e da condizioni di schiavitù, di persecuzione, di carestia. Emerge il tema del trauma, del tempo necessario a restare muto e di una mente che intanto lo ospiti, nell’attesa che sia dicibile, rappresentabile, per il migrante che oscilla nel vuoto tra imitazione di identità estranee e assunzione di una estraneità totale, di un’alienazione da sé stesso. Viene fatto, anche attraverso esempi clinici, un accostamento tra queste condizioni psichiche del migrante e quelle dell’adolescente, nel procedere di entrambi sul margine dell’essere e del divenire, della continuità e della trasformazione.
Ci si muove, come si vede, sull’asse che divide l’area dell’appartenenza, da un lato, e quella dell’estraneità, dall’altra, di ciò che non è me e non è mio. Appartenere , trovo sia un verbo polisemico, che si coniuga bene in rapporto al termine casa , sebbene in sé il verbo evochi, già nell’atto del pronunciarlo, degli opposti, un irriducibile doppio senso: essere un oggetto di legittima proprietà di qualcuno (possesso) o far parte di una famiglia, o, in senso riflessivo del soggetto, essere di sua competenza, essergli proprio (“questo è un comportamento che gli appartiene”). Nei piccoli paesi, non si chiede “come ti chiami” o “come fai di cognome”, né “dove stai di casa”, bensì “a chi appartieni?”. Per sapere di chi sia figlio e districarsi così tra le omonimie volute dalla tradizione del dare il nome del nonno (paterno in primis) a più nipoti. Ma dire casa non presuppone l’esistenza di legami di sangue, né genericamente affettivi. Casa rimanda soprattutto alla dimensione soggettiva e relazionale, all’ esser-ci unitamente all’ essere-con , il Dasein di Heidegger (1927), con le persone reali, con i genitori o chi li sostituisce, con coinquilini a vario titolo; sempre è convivere con fantasmi o fantasie inconsce, dei tre tempi della vita dell’essere umano: il passato, il presente e il futuro. È la localizzazione e la storicizzazione dell’Essere che da quel luogo e in quel luogo prende forma, si individua, costruisce specularmente un luogo interno, la casa interiore .
Seguendo questo filo dei pensieri, con gli Autori, pensando ai migranti di ogni epoca, di ogni età della vita, pellegrini che provengono da ogni luogo della Terra, e ritrovando un pensiero sulla costante dislocazione dell’Essere, incontro una poesia di Mariangela Gualtieri, intitolata La sostanza dove io manco (da Antenata , 1992).

La sostanza dove io manco è tutta avvolta nella coperta di lana. Di quelli che più volte ho toccato ricordo le mani le facce le pance le voci le pettinature. Mi stanno aiutando.
(Enigma: io sono la mancanza - la mancanza che sono
- sono ciò da cui manco - sono tutta mancanza - e non
c’è nostalgia - neppure lontananza - essendo ciò che
manca - adesso e sempre - io)

Si costruisce sempre una casa, anche se si può vivere tutta una vita senza riuscire a sentire di appartenerle o che ci appartenga, come nei casi in cui il corpo-casa  è rigettato, misconosciuto, alienato, e fatto oggetto di desideri di trasformazioni radicali, anche a costo di ferirlo, menomarlo, reificarlo, rintracciabili in casi di autolesionismo descritti in alcuni dei lavori che seguono.
Discorrere della casa è in sostanza discorrere dei confini dell’essere e dell’esistere, dal ventre materno, luogo delle origini, alle braccia di chi accoglie il neonato fino all’ultima stagione della propria vita, lungo un percorso fatto di incroci e integrazioni tra esperienze della realtà fisica, dei luoghi, delle stanze, degli oggetti, e la realtà psichica, di sé, delle relazioni con i propri genitori e a volte fratelli, che si snodano lungo tutto l’arco dell’esistenza.
Questo il filo conduttore scelto da Mazzoncini, che ci descrive la casa come la scena in cui si avvicendano, nell’evoluzione dell’individuo, mostri e fantasmi, accanto a numi tutelari, eroi salvifici e potenti, di cui ci parlano i bambini in analisi; e ne parlano o ne sognano a volte nel silenzio della parole, gli adolescenti, che desiderano ridisegnare la loro casa, a partire dal ricavare una stanza tutta per sé, un angolo segreto, un rifugio dove incontrare i loro oggetti del desiderio e i loro demoni, contemplare o rifiutare l’immagine del nuovo corpo. Un cammino, questo della casa nel tempo, che giunge all’ultima età, quando la dimora impregnata dagli umori e dai ricordi dei suoi anziani abitanti riprende la sua originaria funzione di culla  e si desidera lasciarla in eredità ai discendenti, affinché si rianimi, accogliendo magari grida gioiose di bambini o la creatività vivificante di un’adolescente, come Victoria, del racconto di Haruf citato da Parisi nel suo articolo.
Possiamo rintracciare nel cammino di una casa identità migrante, ancora una volta, ciò che permane e ciò che muta, in un gioco dinamico, perché, come dice Danielle Quinodoz (2002): “Non si può isolare nessun momento della vita di una persona, ogni minuto modifica il senso di quello che lo ha preceduto e di quello che lo seguirà, finché non verrà messa in scena l’ultima replica il senso delle precedenti può trasformarsi, e d’altra parte tutto quel che è stato rappresentato prima dell’ultima replica ne modella il significato”  (p. 180).
In conclusione, ancora una poesia di Mariangela Gualtieri, che rinvia al discorso dell’abitare una casa e il lasciarla, ma anche alle riflessioni sul vivere e il morire:

Esercizio del trasloco (da Bestia di gioia, 2010)
Il tempo qui non è stato
che un pezzo di cartone,
un sobbalzo. La porta
si chiude per l’ultima volta.
Il fascio di forze domestiche
il genio del luogo
saluto ora con ringraziamento.
A tutto ciò che tace perfettamente
e che sempre qui dentro ha taciuto
a ciò che non appare
in questa casa vuota
e resta come in larga attesa.
A questo punto del mondo, alto sulla città vecchia
a questa cuccia di luce e conforto
in cui abbiamo amato meglio che potevamo
e dormito bene nella sua pace
e fatto tutte le cose umane
delle vite, al mio cuore
senza tristezza che tutto saluta
contento, come esercizio
di distaccamento, come grande
scuola del trasloco e del suo lasciare la presa.
Vi lascio, cose.
Il vostro mancarmi sia la melodia
che ora mi guida:
La schiena liberata dal peso
stia dritta in attesa
della più alta impresa.
Il bastarmi del poco e del niente che serve.
E il resto sia vuoto. Sia intesa
con tutto ciò che non pesa

Bibliografia
Gualtieri M (1992). Antenata . Milano: Crocetti Editore.
Gualtieri M (2010). Bestia di gioia . Torino: Einaudi Editore.
Heidegger M (1927). Essere e tempo . Trad. it., Milano: Mondadori, 2006.
Quinodoz D (2002). Le parole che toccano . Trad. it., Roma: Boringhieri, 2004.
Kaës R (2012). Il malessere . Trad. it., Roma: Borla, 2013.
Klein M (1961). Analisi di un bambino . Torino: Bollati Boringhieri, Seconda edizione 1981.
Starace G (2013). Gli oggetti e la vita . Roma: Donzelli Editore.



Carmela Guerriera
Psicoterapeuta specialista per bambini,
adolescenti e genitori
Socio ordinario e Segretario Scientifico
nazionale A.I.P.P.I.
Prof. Associato di Psicologia Dinamica,
Dipartimento di Psicologia, Università
degli studi della Campania Luigi Vanvitelli

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