Segnalazioni bibliografiche


Bate J., Malberg N. (2020). Containing the anxieties of children, parents and families from a distance during the coronavirus pandemic. Journal of Contemporary Psychotherapy, 50, 285-294.

Questo interessante contributo offre al lettore numerosi spunti di riflessione sulla situazione attuale legata alla pandemia da Coronavirus, in cui si trovano a lavorare gli psicoterapeuti infantili. Gli AA., riflettono sui cambiamenti che sono avvenuti nel lavoro clinico, concentrandosi sul concetto di mentalizzazione, definita come la capacità del terapeuta di affrontare con se stesso e con i suoi pazienti le emozioni che si collegano al nuovo scenario sociale in cui tutti siamo inseriti.

Nella prima parte del lavoro gli AA. sottolineano come la pandemia abbia aumentato i livelli di paura, ansia e stress anche nelle famiglie che già presentavano delle difficoltà psicologiche, in associazione ad un forzato isolamento che sembra aver avuto un impatto negativo sulla salute mentale dell’intero nucleo familiare, che si è trovato, improvvisamente, a prendersi cura dei figli con modalità completamente diverse da prima. Infatti, il tempo trascorso in casa, a causa di quarantene e lockdown, ha messo a dura prova la tenuta psichica del nucleo familiare, spesso incapace di contenere angosce comuni.

D’altra parte, la possibilità di proseguire gli incontri terapeutici attraverso remoto, ha messo i clinici di fronte alla necessità di offrire un sostegno che tenesse conto dei cambiamenti in cui le famiglie si sono improvvisamente trovate. Gli AA. discutono su come la capacità di mentalizzare, così necessaria per i genitori nell’elaborare le proprie emozioni e quelle dei loro figli, tenda a venire meno di fronte a situazioni stressanti. E ciò potrebbe diminuire la resilienza individuale e familiare di fronte a situazioni difficili e sconosciute come la pandemia. 

Gli AA. mettono in luce come un’eccessiva eccitazione emotiva blocchi la capacità di mentalizzare, sia in persone già fragili prima della pandemia, ma anche nel personale curante. Infatti, di fronte alla pandemia, anche i terapeuti possono vivere fasi di elevata attivazione emotiva che intralciano la loro abituale capacità di mentalizzare. E tale capacità, secondo gli autori, può essere anche ostacolata nel lavoro da remoto, che può rendere i contenuti emotivi ancora più difficili da avvicinare. 

Quindi, gli autori suggeriscono, come primo passo nel lavoro terapeutico da remoto, di “notare e nominare”. Cioè il terapeuta dovrebbe aiutare i piccoli pazienti, e anche le loro famiglie, a focalizzarsi sul groviglio emotivo interno e a dare nome agli stati affettivi che pian piano possono essere riconosciuti. Il terapeuta, anche attraverso il remoto, fungerebbe da contenitore per favorire una co-costruzione emotiva tra se e i propri pazienti.

Gli AA., attraverso diverse vignette cliniche, raccontano di come la pandemia abbia interrotto la continuità terapeutica e di come, grazie ad un lavoro basato sulla mentalizzazione, sia stato possibile riconnettere il corpo alla mente, promuovendo una rinnovata sensazione di fiducia interna.

Vengono sottolineati tre passaggi di un intervento basato sulla mentalizzazione, che può essere effettuato sia da remoto, ma anche in persona. Le tre fasi di questo intervento si focalizzano sul controllo dell’attenzione, sulla regolazione emotiva e, infine, sul lavoro sulla mentalizzazione esplicita.

Gli AA. passano in rassegna queste tre fasi, sottolineando come, per regolare le emozioni, sia necessaria la capacità di controllare l’attenzione. Riportano l’esempio di bambini ipervigili o iperfocalizzati, che non riescono a creare situazioni di attenzione condivisa con l’altro. E la pandemia crea spesso nei genitori stati di ipervigilanza rispetto al suo andamento, che amplificano le difficoltà di attenzione già presenti nei loro figli. In questa direzione, un intervento terapeutico dovrebbe favorire il controllo diadico dell’attenzione, favorendo contesti per la co-costruzione di attività tra il terapeuta e il bambino, che possono essere successivamente riprodotti anche nella relazione tra genitori e figli.

La seconda fase riguarda la regolazione degli affetti. La disregolazione, secondo gli AA., può essere resa meno intensa attraverso un lavoro clinico di rispecchiamento. Infatti, anche attraverso il remoto, il terapeuta può cercare di intuire le emozioni del bambino e rispecchiarle, in modo che il piccolo possa via via sperimentare una sempre maggiore sensazione di padronanza e di efficacia.

Infine, dopo che si è lavorato sulla regolazione affettiva ed emozionale, è possibile lavorare sulla mentalizzazione esplicita. Gli interventi sulla mentalizzazione esplicita, secondo gli AA., dovrebbero facilitare la connessione tra stati emotivi e comportamenti e potrebbero essere utilizzati sia con i bambini, ma anche con i genitori.

Molto interessante la presentazione del caso di Danny, un bambino in cui si evidenzia l’importanza dell’alleanza terapeutica, che permette il passaggio dalla terapia in persona al lavoro da remoto. Con questo piccolo paziente, il terapeuta tenterà di creare una soluzione di continuità tra lo spazio terapeutico e la realtà della casa. E grazie a questo ponte sarà possibile entrare in un lavoro simbolico dando parole all’esperienza di essere separati e confinati in un ambiente dal quale, per una fase, non sarà possibile allontanarsi. Danny, grazie alla possibilità di nominare e mentalizzare la sua ansia, ha iniziato un’importante elaborazione, che è passata attraverso la simbolizzazione e la successiva produzione di una serie di disegni del “mostro Corona”, che rischiava di invadere il suo apparato psichico, ma anche gli oggetti esterni. Grazie al lavoro con i genitori, è stato possibile rafforzare la loro capacità di mentalizzare, di entrare in contatto con il piccolo e con le angosce prima innominabili sia della coppia genitoriale sia del bambino. 

Gli AA. concludono questo interessante articolo parlando della possibilità di “abbracciare il non sapere”, sia per i bambini sia per i genitori, tollerando entrambi un livello di angoscia che prima sembrava sconosciuto. Nei casi in cui, prima della pandemia, era presente un funzionamento psichico “sufficientemente buono”, la famiglia, grazie ad interventi di sostegno psicologico da remoto basati sulla mentalizzazione, riesce in breve tempo a trovare le risorse per affrontare questo difficile periodo sociale. Purtroppo, con bambini e i genitori che hanno vissuto un passato traumatico, l’esperienza della pandemia riattualizza vissuti già provati e rischia di portare l’apparato psichico all’interno di un funzionamento patologico dal quale sembra difficile allontanarsi. In queste situazioni, un lavoro prolungato sulla mentalizzazione, anche da remoto, permette di contenere l’angoscia e di lavorare su livelli profondi con l’obiettivo di rendere questi nuclei maggiormente in grado di tollerare le difficoltà pratiche che tutti noi stiamo incontrando nella situazione della pandemia da Coronavirus. Naturalmente, gli AA. ricordano ai terapeuti che anche la loro mentalizzazione è in pericolo a causa dello stress dovuto alla pandemia e sottolineano la necessità di mantenere il più possibile una sensazione di coerenza interna, in una fase in cui l’incertezza esterna sembra dominare l’esperienza umana. Mantenere un ambiente stabile e prevedibile dentro di noi è forse l’unica risorsa che può permetterci di continuare ad essere umani e ad esercitare una professione di cura. E ci sembra che questo invito degli AA. possa essere condiviso in questo periodo storico così difficile per tutti.