Marco Conci. Freud, Sullivan, Mitchell, Bion, and the multiple voices of International Psychoanalysis.

New York: IPBooks, 2019

maria pierri

Sono felice di presentare questa importante opera in cui Marco Conci rilegge e rivede gli scritti di molti anni di lavoro, antologia che testimonia passo passo il lungo percorso di formazione che lo ha portato dopo molti anni, quale psichiatra e psicoanalista inizialmente outsider, ad arrivare a diventare membro dell’IPA (2010) e della SPI (2012): è un percorso articolato e tenace, passato anche attraverso la tappa dell’appartenenza alla travagliata Società Tedesca (riammessa nell’IPA solo nel 2009), che lo ha messo in contatto in prima persona con quelle vitali, molteplici ed anche traumatiche voci della psicoanalisi internazionale che oggi ci permette di riscoprire e di far dialogare in sua compagnia.

La ricchezza della documentazione storica, l’attenzione fedele alle fonti e alle circostanze, la presentazione vivida dei protagonisti chiamati in causa, le digressioni aneddotiche e soprattutto la presenza costante e la guida offerta dall’Autore, con i suoi vissuti affettivi e le sue impressioni personali, rendono questo libro un’autentica miniera, lettura interessante e suggestiva, accessibile anche per il lettore italiano meno esperto in inglese, date le qualità di semplicità e chiarezza di scrittura.

Non è un caso che Marco Conci, psicoanalista, interprete e traduttore, potremmo dire dai molti linguaggi e dalle molte voci, ci sorprenda pubblicando questo suo lavoro direttamente in inglese. Certamente si tratta del linguaggio parlato dalla psicoanalisi internazionale contemporanea, in quel dialogo che Conci contribuisce ad integrare ed arricchire, ma è in gioco anche qualcosa di intimo e autentico, di molto personale, per il peculiare significato evolutivo assunto da questa lingua straniera nel percorso di crescita del nostro Autore, come apprendiamo dal generoso, “Afterword- Why and how I became a Psychoanalyst” con cui si chiude il volume. In esso Conci accenna ad un importante periodo trasformativo, tappa fondante la propria iniziazione, quando, in fine adolescenza, aderendo ad un progetto di scambi internazionali dell’AFS-Italy (Intercultura) si trovò a trascorrere un anno intero di studio negli USA, a Larchmont, nei sobborghi di New York, presso una famiglia di ebrei-americani: la nuova esperienza, che aprì inattese prospettive di emancipazione, introdusse nella sua esistenza accanto all’italiano e al tedesco delle radici linguistiche familiari “austroungariche”, il nuovo e affascinante linguaggio straniero, e forse anche un nuovo pensiero.

E possiamo proprio cominciare da qui a introdurre la lettura di questi scritti, che hanno accompagnato la formazione psicoanalitica e il lavoro di ricerca dell’Autore, dal luogo interno di incrocio creativo fra diverse culture e linguaggi, dal nucleo adolescenziale in cui si radica in Conci la passione per la psicoanalisi e per le sue molteplici voci, il transfert verso Freud e verso gli autori nordamericani, la ricerca storica sui testi e sulle corrispondenze ma anche la curiosità e l’attenzione per i protagonisti vivi di oggi, per l’incontro personale con le loro voci.

Proprio da un adolescente si apre l’antologia, dalla corrispondenza di Freud con il compagno di scuola Eduard Silberstein (curata da Conci nel 1991 per Bollati Boringhieri, uno dei primi lavori che ce lo ha fatto conoscere), corrispondenza che precede e prepara quella più famosa con il collega berlinese Wilhelm Fliess (curata da J.J. Masson nel 1985) e quella successiva con l’allievo e amico Sandòr Ferenczi (curata da E. Brabant e E. Falzeder a partire dal 1993).1 

A partire da questo Freud adolescente,2 o pre-adolescente, appassionato scrittore di lettere,3 dalla sua peculiare modalità creativa di utilizzare la corrispondenza con il compagno – un “doppio” al servizio dello sviluppo del proprio pensiero, e della sopravvivenza psichica (Botella C., Botella S, 2001), Conci ci fa comprendere come alle origini di una teoria psicoanalitica che sarà monopersonale si collochi anzitutto un metodo – analitico e auto-analitico – che è esperienza profondamente e intimamente centrata sul dialogo con l’Altro, sul rapporto di reciprocità interpersonale in quanto costruzione della relazione – fonte primaria dell’azione terapeutica – e scoperta di sé e dell’altro all’interno di essa.

Ci troviamo di fronte a quella che alcuni considerano una contraddizione ma che Conci riconosce come la speciale capacità dialettica freudiana di articolare le dimensioni intrapsichica ed interpersonale (potremmo dire oggi interpsichica, con Bolognini, 2019) e cominciamo a sentire questo Freud privato e adolescente molto in continuità con gli autori postfreudiani nordAmericani della tradizione interpersonale ospitati nella parte seguente del libro.

Come ben documenta Conci, è passando attraverso l’eredità analitica di Sàndor Ferenczi, le sue conferenze americane e la sua analizzanda Clara Thompson, che si arriva a Harry S. Sullivan, a Erich Fromm, a Frieda Fromm-Reichmann, a Silvano Arieti, a Harold Searles e poi a Stephen A. Mitchell e Jay Greenberg ma anche a Philip M. Bromberg.

L’incontro cruciale e, potremmo dire, illuminante di Conci con i testi di Sullivan, e personalmente poi con Mitchell, (che portarono alla scrittura del suo Sullivan rivisitato. La sua rilevanza per la psichiatria, la psicoterapia e la psicoanalisi. pubblicato nel 2000), si radicano nelle aspirazioni e nel desiderio di crescita della psichiatria degli anni 70, in una psichiatria italiana che allora non temeva di rivolgersi alla psicoanalisi e che poteva scoprire nel lavoro pioneristico di alcuni outsider americani quali Arieti e Sullivan, la sensibilità relazionale per nuove prospettive di cura per le psicosi, proprio allargando la comprensione del paziente al rapporto con l’istituzione curante, ai legami familiari e alle relazioni sociali, più in generale ai campi interpersonali di cui è partecipe. In tale contesto Conci stesso scopriva Sullivan4 avendo come riferimento in Italia isolate presenze carismatiche quali Gaetano Benedetti, Johannes Cremerius e, nella SPI, Glauco Carloni e Luciana Nissim, che cominciavano a dare voce alla teoria e alla clinica di Ferenczi e del suo allievo Balint, al lavoro di Fairbairn.

L’attualità del pensiero di Sullivan, il ritrovare la sua presenza nei concetti sviluppati dalla psicoanalisi contemporanea, anzitutto da Jay Greenberg e Stephen Mitchell nel libro che avrebbe fatto epoca, Le relazioni oggettuali nella teoria psicoanalitica (1983, pubblicato in Italia nel 1986), ma anche da autori più lontani ed estranei e sofisticati quali Wilfred Bion, Thomas Ogden o Philip M. Bromberg – per quanto riguarda ad esempio il concetto di coppia analitica al lavoro e di campo interpersonale o il significato della validazione consensuale e della dissociazione – sorprende quasi quanto il silenzio caduto su questo importante autore, che Marco Conci ha contribuito a riportare nel meritato ruolo di protagonista della storia della psichiatria e della psicoanalisi.

Decisivo a questo proposito l’incontro di Conci e la sua amicizia con Stephen Mitchell, che in America aveva raccolto con passione l’eredità di Sullivan.

A proposito di Mitchell, nel capitolo intitolato “S. A. Mitchell in Italy”, Conci ci permette di apprezzare la ricchezza del suo pensiero clinico (vedi ad esempio il concetto di interpretazione quale evento relazionale complesso che modifica la relazione col paziente, o la valorizzazione del controtransfert, quale partecipazione dell’analista e ingrediente essenziale della soggettività autentica di cui il paziente è alla ricerca) nel vivo delle circostanze in cui cominciò ad essere assimilato per poi entrare in dialogo con la tradizione sviluppata dalla psicoanalisi italiana: sono circostanze scandite dalla traduzione e pubblicazione di testi, dall’organizzazione di convegni, dall’organizzione di riviste, dalla fondazione di associazioni … come anche dal vivo di incontri personali, vacanze, viaggi.

Un discorso a parte merita il capitolo dedicato al confronto “illuminante” fra Sullivan e Bion, preceduto da una interessante rivisitazione del rapporto di Bion con il primo analista John Rickman (a sua volta analizzato da Freud, da Ferenczi e infine per molti anni dalla Klein), che nel corso della seconda guerra mondiale lo aveva introdotto al lavoro con i gruppi e con le comunità terapeutiche a partire dall’esperienza nell’istituzione militare.

Bion non cita Sullivan, scrive Conci, ma a suo parere le affinità fra i due autori li rendono quasi dei “gemelli immaginari”. Non si tratta tanto di paragonare i concetti che i due autori arrivano a costruire, e che si riferiscono ad esempio all’osservazione partecipe, all’empatia, alla capacità materna di tenerezza, di contenere l’ansia e di rêverie, alla validazione consensuale, al campo interpersonale in cui si origina e si nutre la vita psichica. Si tratta soprattutto della capacità di lavorare e di dare speranza anche a pazienti molto gravi.

A questo punto il lettore ha ormai compreso che la prospettiva della psicoanalisi comparata, internazionale, di cui Marco Conci dà ulteriori esempi nella parte finale del libro – in particolare a proposito della teoria del campo analitico – non parte tanto dal confronto fra i modelli teorici e clinici, ma dalla considerazione dell’unicità che accomuna le persone degli autori, dalla loro biografia affettiva, dalle domande che sanno porsi e lasciare aperte, e che sospingono la loro ricerca, dalla qualità del dolore psichico che hanno saputo comprendere anzitutto in se stessi e dalla comprensione che sanno offrire ai pazienti nel lavoro clinico.

In questo testo prezioso Conci si mostra testimone sensibile, puntuale e partecipe e, come sottolinea Stefano Bolognini nella prefazione, sempre presente negli appuntamenti internazionali e ospite presso differenti comunità analitiche interne ed esterne all’IPA, viaggiatore e interprete secondo un modello transistituzionale, attento a creare ponti comunicativi fra le tante psicoanalisi, le culture e le comunità scientifiche, ad aprire passaggi fra diversi istituti di training, e ad illuminare aree e figure trascurate della storia della psicoanalisi.

E a proposito di questa psicoanalisi comparata, di quei concetti “vicini” sviluppati dai diversi autori, simili ma non identici – cui si riferiscono con termini distinti ma a volte anche con il medesimo termine – è significativo l’elemento, cui Conci accenna trattando di W. Bion, della “assenza di citazione”, fra plagiarismo, assimilazione, cannibalismo e – aggiungerei (vedi Pierri, 2018) – trasmissione inconscia del pensiero. 

Viene utile qui ricordare quanto rivendicava Donald W. Winnicott (1952) in relazione agli slogan kleiniani, a quelle citazioni implicite costituite dall’uso di concetti per così dire “firmati”: con le sue nuove parole (preoccupazione materna primaria, madre sufficientemente buona, illusione, oggetto transizionale, odio…) egli non solo dava un nuovo nome alle esperienze (già descritte ad esempio come simbiosi, invidia, oggetti interni, identificazione proiettiva…) ma le riscopriva cogliendone con il nuovo nome un senso precedentemente ignorato: egli lasciava la propria impronta e presenza nel pensiero e nel linguaggio psicoanalitico, mantenendolo vitale. Era questo il suo modo di essere originale sulla base della tradizione, di partecipare alla trasmissione e rigenerazione del pensiero psicoanalitico (Pierri, 2001).

Per concludere, vorrei sottolineare come la lettura di libri che, come questa opera notevole di Conci, riconsiderano e interpretano la storia del pensiero e del movimento psicoanalitico, confermano quanto sia importante per i giovani candidati accostarsi al passato della tradizione in cui stanno per fare il proprio ingresso, per conoscere e poter apprezzare pienamente il valore “eroico” della generazione dei padri, abbandonare idealizzazioni paralizzanti e fare propria e ricreare la preziosa eredità ricevuta.

Bibliografia

Bolognini S (2019). Flussi vitali fra Sé e Non-Sé. L’interpsichico. Milano: Cortina.

Bolognini S (2019). “An international mind”. Preface to: Conci M. Freud, Sullivan, Mitchell, Bion, and the multiple voices of International Psychoanalysis. New York: IPBooks.

Botella C, Botella S (2001). La raffigurabilità psichica. Trad. it., Roma: Borla, 2004.

Conci M (1991). Presentazione in: Freud S (1989), “Querido amigo…”. Lettere della giovinezza ad Eduard Silberstein 1871-1881. Torino: Boringhieri.

Conci M (2000). Sullivan rivisitato. La sua rilevanza per la psichiatria, la psicoterapia e la psicoanalisi. Bolsena: Massari.

Conci M (2016). Le lettere del giovane Freud a Emil Fluss (1872-1874). Rivista Psicoanal., 62: 1057-1084. 

Falzeder E (2007). Is there still an unknown Freud? Psychoanal. Hist., 9 (2).

Grubrich Simitis I, Lortholary B (2012). Germes de concepts psychanalytiques fondamentaux. À propos des lettres de fiancés de Sigmund Freud et Martha Bernays. Revue franç. Psychanal., 3, 76: 779-795.

Pierri M (2001). Eredità e creatività nella tradizione. In: Pierri M., Racalbuto A. (a cura di), Maestri e allievi. Trasmissione del sapere in psicoanalisi, Milano: FrancoAngeli.

Pierri M (2010). Coincidences in analysis: Sigmund Freud and the strange case of Dr. Forsyth and Herr von Vorsicht. Int. J. Psychoanal., 91: 745-772.

Pierri M (2016). Una lontana vicinanza, ovvero la moneta d’oro della telepatia. Introduzione a: S. Freud (2016), Telepatia, (a cura di) Luchetti A., Milano: BUR Rizzoli.

Pierri M (2018). Un enigma per il dottor Freud. La sfida della telepatia. Milano: FrancoAngeli.

Sullivan HS (1940). La moderna concezione della psichiatria. Trad. it., Milano: Feltrinelli, 1961.

Sullivan HS (1953). Teoria interpersonale della psichiatria. Trad. it., Milano: Feltrinelli, 1962.

Sullivan HS (1954). Il colloquio psichiatrico. Trad. it., Milano: Feltrinelli, 1967.

Sullivan HS (1956). Studi clinici. Tr.it, Milano, Feltrinelli, 1965.

Sullivan HS (1962). Scritti sulla schizofrenia. Trad. it., Milano: Feltrinelli, 1993.

Winnicott D W (1952). “A Melanie Klein”. In: Lettere, Trad. it., Milano: Cortina, 1997.



1Solo recentemente è stata pubblicata quella più intima e preziosa con la fidanzata Martha. A questo proposito vedi Grubrich Simitis, Lortholary, 2012.

2Se consideriamo anche le lettere all’amico Emil Fluss (Conci, 2016).

3Accanto alle sue opere, si calcola che nel corso della vita abbia scritto oltre ventimila lettere, di cui più di una metà sono state conservate (Falzeder, 2007).



4Di cui negli anni 60 erano già stati pubblicati in Italia, per Feltrinelli, Sullivan 1940, 1953, 1954 e 1956”. “Marco Conci stesso curò nel 1993 l’edizione italiana di Sullivan 1962”.