Lion. La strada verso casa

Regia di Garth Davis, 2016

giulia tiseo




Il film “Lion. La strada verso casa”, diretto da Garth Davis e candidato nel 2016 a sei premi Oscar e ad un David di Donatello, è ispirato al romanzo autobiografico “A long way home” (2013) di Saroo Brierley, giovane uomo indiano che intraprende la ricerca delle proprie origini dopo oltre venticinque anni di assenza dai luoghi e dagli affetti natii. Il racconto drammatico, ma allo stesso tempo avventuroso, viene portato in scena attraverso l’intensa espressività degli attori Sunny Pawar e De Patel rispettivamente nel ruolo di Saroo bambino e adulto. La pellicola si apre con un’inquadratura che sorvola i territori incontaminati dell’India, planando dall’alto sulla realtà faticosa, ma ricca di avventure di due fratelli, Guddu e Saroo i quali, in uno scenario di assoluta povertà, saltano su e giù da treni in corsa, alla ricerca di carbone da rivendere per guadagnare il poco denaro necessario alla sopravvivenza della famiglia. Il flusso del racconto viene accompagnato dall’intensità della fotografia e della colonna sonora, che conferiscono suggestività e poesia sin dalle prime scene ad alcune immagini narrative, tra le quali spicca la rappresentazione del bambino che, circondato da farfalle in un territorio deserto, come in una fiaba, diviene lo specchio di un sentimento autentico di vitalità e bellezza. Il regista accompagna inoltre lo spettatore nell’atmosfera di un mercato indiano, dove si mescolano voci in lingua originale, suoni, profumi e sensazioni dei due giovani protagonisti che costituiranno l’innesco e un vero e proprio filo conduttore del desiderio di ricerca delle proprie origini. Determinato a seguire il fratello maggiore in un lavoro rischioso, che ai suoi occhi appare però come un eroico susseguirsi di avventure, Saroo si addormenta su una panchina di una stazione ferroviaria non lontana dal villaggio natio e al suo risveglio si ritrova solo. Nella ricerca frenetica del fratello, il bambino sale poi a bordo di un vagone deserto di un treno e si ritrova inconsapevolmente imprigionato, per un tempo nella sua percezione indefinito, in un viaggio improvviso, vissuto come una profonda lacerazione. Giunto infine a Calcutta, l’inquadratura su una moltitudine di gambe che corrono per salire sul treno trasmette allo spettatore l’affollamento emotivo vissuto dal bambino. Immerso nei pericoli di una grande metropoli, con un equipaggiamento composto solamente da un foglio di cartone per dormire e da un cucchiaio per nutrirsi, Saroo verrà guidato dal suo istinto, che lo proteggerà da molte insidie. Proprio grazie a questa caratteristica il bambino riuscirà infatti a stabilire dei legami affettivi di sopravvivenza con altri personaggi, fino all’arrivo in orfanotrofio per via dell’intervento delle autorità, alle quali non riuscirà a spiegare la sua provenienza. L’impegno nell’imparare un linguaggio diverso dall’hindi per farsi comprendere e adattarsi al nuovo ambiente rappresenterà allora una nuova fondamentale risorsa. Nonostante la speranza di ritrovare la sua famiglia si affievolisca, non svanirà neppure quando il bambino verrà adottato da una nuova famiglia australiana. Come Saroo riemerge dalle acque del mare nella prima scena che lo vede cresciuto, anche il desiderio di ricongiungersi alle proprie origini riemerge con forza in superficie nella giovane età adulta, dopo essersi inabissato nel corso del lungometraggio. Il tema delle origini è infatti un tema senza tempo, leggendario: il lungo cammino di Saroo, come quello di molti bambini adottivi, non è privo di rimandi alla mitologia, come al ciclo epico dei nostoi greci, tra i quali l’Odissea. Ulisse “svela” la propria identità e la propria storia per la prima volta alla Corte dei Feaci, ed è proprio attraverso questa commovente narrazione che egli giunge in contatto con il dolore di non riuscire a tornare nel luogo delle sue origini, Itaca. Come Ulisse rappresenta il più astuto guerriero acheo e contemporaneamente un profugo apparentemente privo di risorse, anche il giovane Saroo si troverà a confrontarsi con aspetti di sé diversi tra loro: il giovane e brillante universitario appartenente alla borghesia australiana e al tempo stesso il piccolo bambino proveniente dal povero villaggio nei pressi di Khandwa. Il suo bisogno di costruire un senso di continuità tra un passato preadottivo e il presente diverrà così sempre più forte e darà inizio ad una ricerca segreta sulle sue origini. “Un giorno mi parlerai del tuo viaggio ed io ti ascolterò sempre” afferma Sue, la madre adottiva (Nicole Kidman), ma egli teme di divenire un figlio irriconoscente e ingrato, a tal punto da pensare che la madre potrebbe morire se venisse a conoscenza delle sue ricerche. Tuttavia, proprio a partire dagli elementi di crisi adottiva, possono snodarsi le vicende che condurranno i personaggi verso una maggiore consapevolezza e un’identità più ricca e complessa. Sue, la madre, la cui motivazione sottostante all’adozione si fonda su un’idea altruistica, riuscirà, attraverso un confronto con le proprie origini, a sostenere il figlio nel suo intento. Riconoscere il diritto di accedere alle proprie origini per il bambino e l’adolescente adottato richiede spesso di fronteggiare molteplici conflitti, come quello di voler conoscere e allo stesso tempo allontanare i vissuti più dolorosi, di coinvolgere o meno la famiglia adottiva, di avvertire il senso di colpa legato al timore di aver abbandonato lui stesso la propria famiglia originaria. Sappiamo che grazie a pochi click e alla moderna tecnologia, molti adolescenti e giovani adulti riescono ad avere accesso a informazioni sulle proprie origini di nascosto dalle famiglie adottive e come ciò costituisce un fattore di rischio piuttosto importante, in quanto questa immediatezza potrebbe suscitare un impatto emotivo molto intenso. Isolatosi inizialmente nelle sue ricerche, Saroo riuscirà però a condividere con la giovane donna che ama e con la sua famiglia adottiva timori e desideri: ciò che si aspetta di trovare, ciò che può solamente immaginare e ciò che teme di non poter trovare più. Come avviene per il collegamento satellitare che permette, attraverso Google Earth, di far immergere un individuo nelle profondità del Grand Canyon o di scalare le più alte vette, anche Saroo riuscirà ad “agganciarsi” ad un satellite emotivo, quello costituito dalla presenza di un forte e autentico legame con la famiglia adottiva, per esplorare in profondità il proprio mondo interno, così da poter avere accesso a una strada verso le proprie origini. Grazie a legami significativi diverrà possibile per Saroo anche tollerare gli aspetti dolorosi legati alla sua ricerca, quali l’abbandono, la profonda incertezza, la possibilità di non trovar più ciò che è stato lasciato. Dopo aver tracciato un raggio di ricerca con accurati calcoli matematici, il ragazzo analizzerà tutte le linee ferroviarie dell’India, fino ad esplorare le strade più dissestate del suo villaggio, del quale ha solamente un ricordo confuso del nome, così come lo pronunciava da bambino: “Ganestalay”. “Ogni notte mi addormento immaginando di ripercorrere la strada verso casa” afferma Saroo, che a partire da tracce mnestiche e oniriche ripercorrerà ogni vicolo del suo primitivo villaggio diretto verso la casa natia, dove ritroverà parte della sua famiglia ad accoglierlo e scoprirà il vero significato del suo nome.