Topografia dell’adozione.

Un percorso condiviso

verso le origini


Introduzione

paola balducci, giulia miceli


La rivista Richard e Piggle ha già manifestato in passato l’interesse nell’adozione, pubblicando un Focus nel 2002 e, nel corso degli anni, diversi lavori che insieme hanno contribuito a concettualizzare gli elementi strutturali di questo tipo di esperienza per i bambini, gli adolescenti ed i genitori adottivi.

L’intento dell’attuale Focus è di continuare la riflessione su questo terreno di ricerca, allargando l’indagine anche sulle aree limitrofe alla stanza di terapia, in un confronto tra professionisti delle istituzioni pubbliche, private e del privato sociale, impegnati a diverso titolo nel lavoro di sostegno alle famiglie nel periodo di post adozione.

È una traccia del profondo coinvolgimento che il percorso di adozione comporta in ciascuno dei suoi protagonisti: dai clinici ed i loro pazienti, alla diade genitore-figlio, dagli operatori delle agenzie adottive, ai gruppi di auto aiuto.

Crediamo che un pensiero psicoanalitico sull’adozione abbia bisogno di essere ri-formulato alla luce dei nuovi sviluppi teorici e tecnici nel nostro campo di ricerca e anche alla luce della natura cangiante della stessa adozione. Si pensi ad esempio all’aumento nell’adozione di bambini provenienti da altre nazioni, di bambini con background traumatico, di bambini ormai cresciuti, insieme al contemporaneo sviluppo di famiglie miste, allargate e ad altri tipi di adozioni meno tradizionali, ancora nuove ed in via di definizione legale, come l’adozione da parte di coppie dello stesso sesso.

Anche dal punto di vista socio politico, il fenomeno stesso delle migrazioni a cui siamo costantemente confrontati mobilita nuovi metodi di contestualizzare la famiglia tradizionale e le strutture parentali, in una riorganizzazione delle comunità nazionali e transnazionali non più unicamente basate sulle origini, filiazione e genetica, quanto su destinazioni e affiliazioni.

Se il tema della ricerca delle proprie origini è stato certamente tra i più affrontati nella letteratura, in questo Focus faremo riferimento ad un aspetto specifico che riguarda la rimessa in gioco dei percorsi identitari del bambino e dei genitori stessi nel periodo successivo all’adozione.

La rottura della continuità nell’adozione obbliga, infatti, il singolo ad una ricomposizione e ricostruzione di tale frattura, attraverso un lavoro di recupero della continuità dentro di sé e nell’ambiente in cui vive. Guido Berdini, nel suo contributo, si interroga sulle caratteristiche delle “mappe” che i genitori adottivi possono offrire al proprio bambino per favorire la pensabilità dei vissuti traumatici e riorientare il suo passo verso un percorso evolutivo.

Non è affatto un tracciato rettilineo quello di consentire ad un bambino che conserva dentro di sé l’esperienza iniziale di “indesiderato”, di interiorizzare un’immagine di sé di bambino desiderato. Questa è tuttavia la prova a cui i genitori adottivi sono confrontati.

I dati che emergono dalla nostra esperienza clinica, ci mostrano in modo inequivocabile che i buoni intenti, gli appassionati desideri, non sono bastevoli ai potenziali genitori, quando poi l’altro, con la sua diversità, entra veramente a far parte del nucleo familiare. Occorre un buon incontro perché i reciproci desideri arrivino a sintonizzarsi.

Il nuovo arrivato viene a rappresentare una sorta di innesto che ha bisogno di essere sì amato, ma in primo luogo di essere riconosciuto come diverso ed altro.

Anna Guerrieri, nel suo lavoro pubblicato qui di seguito, fornisce uno spaccato particolareggiato circa l’apporto dei gruppi di mutuo aiuto rivolto ai genitori adottivi, degli interventi più specialistici e dei processi di rete a sostegno della comprensione delle diverse fasi critiche vissute da queste famiglie.

Il lavoro come psicoterapeuti dell’età evolutiva e della famiglia ci rivela come l’arrivo di un figlio implichi inevitabilmente, per tutti, l’emersione di conflitti inconsci dal passato individuale dei genitori e comunque presenti nella storia della coppia, rimasti silenti e tenuti a bada da soluzioni difensive, inconsciamente istituite nella relazione. 

In alcuni casi la somiglianza tra la natura delle perdite e la difficoltà nel tollerarle, implica il ritorno amplificato di contenuti inconsci precedentemente rimossi, che evocano un’angoscia di disgregazione psichica sia nella coppia che nel figlio.

Ciò che osserviamo sovente è l’emergere di proiezioni reciproche in relazione alle corrispondenti perdite non elaborate tra genitori adottivi e i loro figli.

È evidente, infatti, che lo sforzo di tenere lontano da sé questi contenuti e di collocarli in modo isolato nell’altro in questi casi aumenti, con il risultato di una situazione di terrificante gioco degli specchi, spesso riportato in terapia dalle coppie adottive. Ciascun componente della famiglia, nell’incapacità di tollerare le angosciose proiezioni dell’altro, risponde proiettando la propria ansia all’inverso, in un circuito vizioso in cui vi è un accumulo ed un rilancio di parti di sé non volute.

Quale tipo di terreno deve attraversare la mente nel tentativo di confrontarsi con l’alterità?

In che modo possiamo attivare un processo di comprensione che si sforzi di non ridurre l’estraneo al proprio?

Non è, infatti, la comprensione di situazioni altre una comprensione che costringe il soggetto ad una dislocazione, ad uno spostamento rispetto ai modi consueti di vedere, a guardare con altri occhi, ponendosi in una posizione di esteriorità rispetto alla propria esperienza e cultura?

Rispetto all’altro che si presenta come il diverso, l’estraneo rappresenta una sfida, in quanto mette in gioco la dimensione della non familiarità.

L’elaborazione del riconoscimento di un proprio limite biologico, l’accettazione di un figlio nato da altri, la capacità di assumere dentro di sé l’ansia di un legame ancora flebile e quindi minaccioso di un’eventuale perdita, sono alcuni dei vissuti che influiranno emotivamente sulla modalità con cui la coppia potrà comunicare al bambino della sua origine adottiva.

Ritroviamo nel contributo di Giovanna Mazzoncini alcuni esempi clinici che evidenziano come, ad ogni nuovo snodo della vita familiare, si ripresenti la necessità di elaborare il significato profondo del perché dell’adozione, insieme ai diversi processi per riavviare la spinta conoscitiva nei genitori verso il figlio adottivo. Particolare attenzione viene posta, inoltre, nel suo lavoro alla presenza dei fratelli e alla necessità di saper integrare i bisogni e le esigenze di ciascun figlio, riconoscendo le unicità e le peculiarità di ognuno.

Ma quale percorso deve attraversare il bambino nella ricerca delle proprie origini? 

Sappiamo, come afferma Claudia Artoni Schlesinger, che il bambino adottivo subisce “la perdita dello scrigno della sua memoria, la perdita del testimone della sua prima vita, di colei o coloro con cui sarebbe possibile condividere vissuti e riconoscere pensieri comuni” (Artoni Schlesinger, 2006, pag. 79).

Tuttavia come è ampiamente confermato dalle attuali ricerche, tra queste le ben note concettualizzazioni di Mauro Mancia, i primi periodi della vita, compresa la vita intrauterina, lasciano comunque delle tracce in ciascuno di noi (Mancia, 2000).

Concordi con quanto egli ipotizza, pensiamo che nei bambini adottati, pur venendo meno il loro ambiente originario, tracce di esperienze non verbalizzabili rimangano nella loro “memoria implicita”. Si tratta di quelle esperienze che si condensano nella sensorialità: l’odore della madre, le sue parole, veicolano cariche affettive fondamentali per le prime rappresentazioni del bambino, andando a riempire quello spazio metaforico che sarà il suo mondo interno.

Suzanne Maiello fa l’ipotesi, a tal proposito, di un proto-oggetto sonoro che si creerebbe già nel feto all’ascolto della voce della madre; un proto-oggetto, precursore dell’oggetto materno, che troverà compimento alla nascita e di cui si potrà conservare memoria nel primo costituirsi del sé del bambino (Maiello, 1993).

Come afferma Artoni Schlesinger, è ipotizzabile che qualcosa rimanga per sempre iscritto nel “tessuto mentale primitivo” del bambino (2006, p. 81); qualcosa che non potrà essere ricordato ma agito nel transfert o sperimentato dall’analista come vissuto contro-transferale.

L’esperienza che come terapeuti facciamo con questi bambini evidenzia come spesso in seduta compaiano elementi di difficile comprensione, ad esempio nei disegni, nei sogni o in certi giochi ripetitivi e deflagranti che ad un attento ascolto sembrano provenire da esperienze di un mondo perduto.

Il lavoro di Elisa Iannetta descrive, a questo proposito, come a volte i comportamenti “esplosivi” dei bambini in psicoterapia siano un importante fattore propulsivo per i processi di sviluppo e di ricerca di tracce di “verità” perdute rispetto alle proprie origini, nei piccoli pazienti e nelle loro famiglie.

D’altro canto, nel contributo di Floriana Vecchione, tratto da una psicoterapia con una coppia di genitori adottivi, è l’erompere stesso dell’adolescenza della figlia adottata a creare le condizioni per l’avvio di un percorso condiviso di ricostruzione storica dell’innesto adottivo all’interno del nucleo familiare.

Lungi dal configurarsi come una seconda nascita, l’adozione si pone dunque come la continuazione con la storia precedente, all’interno della quale vanno recuperati eventi e ricordi. Solo così si impedisce la creazione di una “cesura” che condurrebbe inevitabilmente alla sensazione di una scomparsa nel nulla, alla perdita della memoria delle origini.

Il percorso verso le origini non è da intendersi come la ricostruzione di una realtà storica, ma come la presenza di uno spazio affettivo e mentale entro il quale poter affrontare il trauma ed il dolore dell’abbandono e rilanciare la speranza nella relazione, proprio grazie alla famiglia adottiva.

E’ nel contributo di Patrizia Gatti che si apprende come anche un breve intervento terapeutico, Guardami Giocare!, messo a punto da Jenifer Wakelin alla Tavistock Clinic di Londra, possa aiutare a pensare alla situazione di adozione, sostenendo la capacità di ascolto e di comprensione necessaria ad un genitore adottivo, per contattare il groviglio doloroso di emozioni del proprio figlio.

Concludendo, i lavori raccolti in questo Focus evidenziano in che modo la ricerca delle origini possa avvenire attraverso percorsi differenti e coinvolga a vari livelli, sia i componenti della famiglia che le persone che ne sostengono il processo.

Le esemplificazioni fornite dagli autori del Focus aiutano a comprendere come sia possibile aiutare le famiglie adottive nel difficile ascolto reciproco e nella decodifica dei messaggi dei figli che, altrimenti, potrebbero apparire come difficilmente accessibili, quando non recepiti.

Il convergere dello sguardo, di genitori e psicoterapeuti, sulle comunicazioni di bambini e di adolescenti adottati, sollecita l’emersione di memorie, le quali consentono di riavviare una narrazione delle diverse storie traumatiche, nei figli come nei genitori.

Bibliografia

AAVV (2002). Il trattamento psicoterapeutico di bambini e adolescenti adottati. Richard e Piggle, 3:245-302.

Artoni Schlesinger C (2006). Adozione ed oltre. Roma: Astrolabio.

Artoni Schlesinger C, Gatti P (2009). Adozione e apprendimento scolastico. Richard e Piggle, 1: 67-81.

Carbone Tirelli L, Cimino S (2017). Il difficile ingresso nell’adolescenza di un ragazzo adottato. Richard e Piggle,1:1-20.

Gatti P (2014). La scatola chiusa in soffitta: fantasmi e ricordi. Richard e piggle, 3: 239-258.

Maiello S (1993). L’oggetto sonoro. Un’ipotesi sulle radici prenatali della memoria uditiva. Richard e Piggle, 1:31-47.

Mancia M (2000). Sulle molte dimensioni della memoria: Neuroscienze e psicoanalisi a confronto. Psiche, vol. 2.

Marzano E M (2018). «Tu ce l’hai google earth? ».Il viaggio di un tredicenne, adottato, alla ricerca delle origini. Richard e Piggle, 26(3): 244-253.

Root Fortini L, Ganucci Cancellieri M (2012). Lo psicologo in ascolto della richiesta di adottare un bambino. Richard e Piggle, 20(4): 384-398.

Rustin M (2006). Tematiche identitarie nella psicoterapia di un adolescente di razza mista adottato. Richard e Piggle, 14(3):239-257.

Trivisani M (2019). Incontrare la famiglia di Pòlibo e Mèrope: l’osservazione della famiglia adottiva. Richard e Piggle, 27(4): 420-431.




Paola Balducci

Psicologa, Psicoterapeuta

Socio Ordinario AIPPI

Segretario Scientifico AIPPI

Sede Locale di Roma

Docente Dipartimento Servizi Educativi

e Scolastici di Roma Capitale


Indirizzo per la corrispondenza/
Address for correspondence:

Via Vincenzo Ciaffi, 26 d

00142 Roma

E-mail: p.balducci.f@gmail.com




Giulia Miceli

Psicologa, Psicoterapeuta

Socio Ordinario AIPPI

Segretario della AIPPI,

Sede Locale di Roma


Indirizzo per la corrispondenza/
Address for correspondence:

Via Oderzo, 3

00182 Roma

E-mail: giuliamiceli@libero.it