Introduzione

L’elaborazione del lutto precoce infantile nelle psicoterapie

analitiche brevi o intense

teresa iole carratelli, vincenzo bonaminio


La questione della morte di un genitore nei primi anni di vita di un bambino è un tema noto per i lettori di questa Rivista e il contributo teorico, tecnico e clinico, che è qui presentato, documenta la continuità dell’interesse ricollegando idealmente due Focus precedenti: quello che nel 2004 (2) Luisa Carbone Tirelli e Bianca Micanzi Ravagli hanno rappresentato alla nostra attenzione, e successivamente quello che Maria Luisa Algini ha curato nel 2015 (2) circoscrivendo l’interesse “sul padre che muore e il padre che rimane: le vicissitudini del paterno nel lutto infantile”.

Del primo Focus, ben articolato nella presentazione di lavori teorico-clinici dei colleghi psicoterapeuti infantili AIPPI, qui si segnalano due articoli: il primo articolo è quello introduttivo di Carbone Tirelli e Micanzi Ravagli, puntuale nella rassegna della letteratura psicoanalitica sul lutto precoce infantile dove, tenendo conto dei vertici propri dei diversi Maestri della psicoanalisi, sono state approfondite le conseguenze sulla mente del figlio a seguito della separazione e della perdita precoce di un genitore. Gli Autori opportunamente riprendono il concetto che il lutto sia un organizzatore della vita psichica, e di come sia dirimente la capacità di elaborare la perdita nel determinare la qualità dei rapporti nel corso della vita. Nel pendolo tra sviluppo normale e patologico che caratterizza la vita psichica dell’individuo, già agli inizi lo psicoterapeuta sa riconoscere le espressioni del lutto sano e di quello patologico e promuovere nell’intervento precoce della psicoterapia quella doppia valenza, curativa e preventiva, nei confronti di funzioni della mente a partire dalla simbolizzazione primaria e secondaria fino alla riflessività del Sé nel bambino e nell’adulto-genitore superstite (Lemma, Target, Fonagy, 2011).

Il secondo articolo è “Sulle note conclusive”, di Suzanne Maiello, in cui l’Autrice riassume alcune questione che gli AA che hanno partecipato al Focus hanno messo sul tappeto, tra cui permettere ai lettori della Rivista di condividere le seguenti ipotesi di base: più precoce è la perdita, più devastante sarà l’effetto del trauma sullo sviluppo psichico del bambino; l’elaborabilità del lutto è da mettere in connessione con la qualità dei legami interni stabiliti con il genitore scomparso quando era ancora in vita; altresì la capacità di elaborazione dipende dalla dialettica tra gli oggetti buoni e cattivi nel mondo interno e esterno del bambino nel corso del tempo. Inoltre, Maiello ricorda come il seguire anche il genitore superstite in setting separati e paralleli al figlio permetta di esplorare se e come nel primo ci siano lutti congelati e inelaborati che si trasmettono tra le generazioni, e di valutare che se il bambino è orfano anche il genitore superstite lo è, dal momento che ha perso l’altro della coppia; pertanto, il prendersi cura di costui migliora la possibilità che il bambino possa sentirsi aiutato a fronteggiare e a elaborare la perdita del genitore scomparso.

Anche nel Focus del 2015 dedicato alle vicissitudini del paterno nel lutto dei bambini, curato da Maria Luisa Algini, alcuni di questi temi tornano ad essere illuminati con la presentazione di situazioni cliniche da parte di psicoterapeuti dell’ASNE – SIPSIA, con particolare attenzione alla questione che riguarda il paterno che muore e che sopravvive nel lutto infantile.

Maria Luisa Algini utilizza questo materiale per riflettere sull’enigma del Terzo nel lutto infantile, e sulla difficile coniugazione per un bambino dell’assenza del genitore scomparso dalla realtà esterna con il permanere della sua presenza nella realtà interna, ma anche sulla qualità e il modo in cui il Terzo che non c’è più venga investito dal genitore che resta.

È incluso nel Focus l’interessante articolo di Giuliana Bruno su Lutto e identificazioni, che nel rivisitare varie modalità difensive e costruttive del lutto sollecita lo psicoterapeuta, immerso in queste esperienza di perdita e di dolore con il bambino orfano, a sostenere e ampliare esperienze transizionali creative.

Nel complesso c’è l’invito al lettore della Rivista, dopo nove anni dalla pubblicazione del primo, di continuare a dare attenzione a questo tema con il secondo Focus sul lutto infantile tenendo conto, tra vari concetti, di come lo psicoterapeuta del bambino emotivamente molto coinvolto si cimenti sulle luci e sulle ombre del pensiero proprio e del paziente attraverso il transfert e il controtransfert, quando realizza che la decodifica del lavoro di lutto, come per Freud il lavoro del sogno, affonda nell’ignoto (Algini, pag. 162) e che le vie di espressione del dolore infantile hanno percorsi molteplici e imprevedibili.

Dopo circa sei anni da quello appena tratteggiato, il nostro contributo aggiunge altre questioni a quelle fin qui indicate, e che riguardano la teoria della tecnica nell’analisi infantile confrontando i due dispositivi della psicoanalisi infantile: quello della cosiddetta full psyichotherapy e quella della short therapy, applicati alla comprensione e alla elaborazione del lutto precoce infantile e ai diversi livelli di lavoro clinico che questi due differenti dispositivi facilitano, nonché il loro grado di risoluzione. Per limiti di spazio lasceremo sullo sfondo i requisiti noti di un’analisi infantile di ispirazione winnicottiana, sufficientemente documentata dai colleghi psicoterapeuti del Gruppo IW su questa Rivista. Intendiamo dare qui più spazio a una breve illustrazione della short therapy a orientamento analitico per i bambini, di cui abbiamo fornito un modello teorico-clinico (Bonaminio, Carratelli, 1988) pubblicato in francese e presentato in vari Convegni in Italia.1 Nel corso degli anni i nostri gruppi di studio a La Sapienza, Università di Roma, e allo stesso tempo all’Istituto Winnicott, si sono rinnovati con il contributo di molti neuropsichiatri infantili e di psicoterapeuti IW-SIPSiA cui va un pensiero di gratitudine, a partire dalla collaborazione ricevuta da Mariassunta Di Renzo e da Annamaria Lanza in diversi momenti del lungo percorso di sperimentazione di tale modello.

Il termine Psicoterapia Psicoanalitica Breve Infantile implica nella sua definizione le seguenti caratteristiche principali del modello analitico: le invarianti sono i parametri dell’analisi infantile come il transfert, il controtransfert, l’interpretazione di transfert; le varianti sono: il limite temporale del setting, che è fissato a priori, e la frequenza, che ha un ritmo uni-settimanale con eventuale recupero, per assicurare la continuità settimanale quando è possibile; caratterizzanti sono gli interventi piu_ attivi del clinico nella selezione del focus.

Si tratta di psicoterapie «brevi e focali» perché si svolgono in un arco di tempo delimitato e prestabilito, in genere 30-40 sedute a frequenza uni-settimanale. Un lavoro analitico «a limite temporale» viene effettuato in parallelo con la coppia dei genitori e ha caratteristiche di una psicoterapia genitoriale o di un counselling psicodinamico e la frequenza varia: ogni 15 gg o 1 volta alla settimana.

I criteri di scelta dei bambini all’inizio sono stati ben definiti come: l’insorgenza relativamente recente del sintomo, in quanto soluzione di compromesso del conflitto di natura prevalentemente nevrotica; la possibilità di discriminare soluzioni del conflitto, attuali, mobili, flessibili da quelle più antiche; la presenza di una buona dotazione intellettiva; la valutazione dei processi evolutivi specifici della fase sufficientemente buona; la percezione che il bambino viva l’angoscia come un problema prevalentemente interiore, anche in casi in cui appaiono predominanti i meccanismi proiettivi, come nelle forme fobiche; la tendenza del bambino ad aspettarsi un cambiamento del proprio disagio emotivo piuttosto che del cambiamento del mondo esterno; la valutazione di una capacità relativa del bambino di rendersi conto della dimensione temporale dei processi. 

L’obiettivo dell’intervento è quello di funzionare come un catalizzatore dei processi evolutivi, aiutando il bambino a focalizzare, a verbalizzare e a integrare nella propria coscienza quel dato conflitto emozionale inconscio, fase-specifico, che è alla base della sintomatologia nevrotica ansiosa, fobica, isterica, ossessiva, e a ricercare nuove soluzioni nella gestione dello stesso.

Si tratta di conflitti prevalentemente di tipo edipico verso le figure genitoriali, fratelli, o loro sostituti, carichi di odio e di amore non sufficientemente elaborati con ansie di esclusione o sottostanti ansie separative. Conflitti più precoci in ambito duale emergono quando il processo nevrotico attiva la difesa della regressione e il piccolo paziente si attesta su sentimenti non tanto di esclusione da una relazione triangolare, quanto di abbandono e di perdita. Negli anni successivi abbiamo adoperato criteri più inclusivi che comprendevano il trattare le crisi emozionali ansiose o depressive, sia ad espressione mentale comportamentale sia a espressione corporea in bambini con quadri disarmonici come le organizzazioni borderline.

Per quanto riguarda la costruzione del setting si presta particolare attenzione allo spazio, agli orari e alla comunicazione “a priori” del limit-setting della psicoterapia sia al figlio che ai genitori. Il setting è dunque la cornice di riferimento che, sola, dà significato agli accadimenti che si verificano nel paziente e all’interno del sistema paziente-terapeuta, allo stesso modo in cui il sistema della relazione madre-bambino dà significato a ciò che madre e bambino comunicano. Come è noto il setting è contenimento, comprensione, accoglimento del bambino in età scolare, che dispone di coordinate spazio-temporali tali da comprendere il significato del limit-setting. Questo setting è un “luogo virtuale” in cui gli accadimenti assumono un valore semantico significativo, spesso assimilato dal bambino ai vari contesti educativi incontrati dallo stesso. Anche la coppia dei genitori si avvale di una psicoterapia di sostegno alle funzioni genitoriali con un limit-setting e in setting parallelo rispetto a quello del figlio.

Nella psicoterapia breve si considera l’alleanza uno tra i fattori terapeutici più importanti. Viene pertanto data particolare attenzione alle rotture. Possiamo delineare diversi tipi di rottura sia nel lavoro con il bambino che con i genitori: interruzione come rottura, logorio e sfilacciamento (ritardo, noia, “i non ricordo”, cambio tono di voce); confronto (discussione, alterco, oppositorietà, irritazione); ritiro. Questi sono anche aspetti del transfert.

Rispetto allo svilupparsi del transfert nell’analisi infantile, l’ipotesi dell’inevitabilità ed immediatezza, fin dagli inizi del rapporto terapeutico dei fenomeni di transfert, sostiene la convinzione che non si possa lavorare nell’ambito della psicoterapia breve senza un riferimento costante ai fenomeni di transfert. Il concetto di transfert che si assume si riferisce al presentificarsi, nell’hic et nunc, della relazione con lo psicoterapeuta, di quelle configurazioni emozionali fondamentali che riguardano il rapporto del paziente con i suoi oggetti interni. In secondo piano, quindi, si pone quindi il riferimento al “passato” e quindi alla ricostruzione.

Nel setting della psicoterapia breve si presentificano solo delle “particolari configurazioni di transfert” che corrispondono per il singolo bambino a una gamma più o meno ricca e più o meno evoluta di “modalità relazionali con l’oggetto”. Nei bambini in età di latenza, è più facile che lo psicoterapeuta venga visto come un’insegnante, istruttore, almeno in un primo momento, per assumere, grazie al lavoro terapeutico, anche transfert più primitivi connessi con le imago genitoriali, che in genere vanno verbalizzate, se connotate negativamente.

L’interpretazione è lo strumento principale della funzione analitica dello psicoterapeuta all’interno del setting in questo dispositivo di short psychoterapy, in quanto permette nell’ideale la trasformazione della dimensione esperienziale dell’hic e nunc in un processo di elaborazione mentale.

Questa attività interpretativa va intesa anche come una funzione silenziosa, ‘pensante’ del terapeuta a cui può seguire o meno la verbalizzazione o la sua attualizzazione «giocata» nel corso della seduta. C’è una maggiore attività dello psicoterapeuta rispetto alla full psychotherapy nella scelta del “focus” conflittuale da interpretare nelle parole e nel corso del gioco terapeutico. Spesso l’interpretazione si declina nella dimensione ora «di transfert», ora «nel transfert».

Vari interventi verbali come la confrontazione e la chiarificazione sono preparatori all’interpretazione del transfert, sia verbale che giocata, e hanno lo scopo di aiutare il paziente a individuare il “focus” intrapsichico, i conflitti tra parti antinomiche di sè e la loro esteriorizzazione nel qui e ora della relazione terapeutica.

Di volta in volta si esplora se nel transfert attuale lo psicoterapeuta sia messo nella condizione dell’insegnante o di un coach, che è convocato dal paziente a fare fronte a un iterativo attacco al legame dei pensieri nel rapporto con sé e con l’altro o a un deficit del fare legami di pensiero, una macchia cieca-focale su una data situazione emotiva. 

Una preparazione psicoanalitica infantile ben acquisita dovrebbe costituire un prerequisito indispensabile per potersi orientare nel campo degli interventi brevi, tenendo conto le difficoltà di analizzare il controtransfert con i sensi di colpa del terapeuta, che assumono varie espressioni a partire dagli agiti come quello di prolungare la terapia oltre il termine concordato. Anche se superfluo, è opportuno ricordare che gli interventi brevi, se possono essere considerati come una scorciatoia per il paziente, non lo sono affatto a livello di training per il terapeuta.

I casi clinici qui di seguito pubblicati sono stati condivisi nel corso del trattamento con Teresa Carratelli, e ci riferiamo a quello di Margherita Rossi, che è un’esemplificazione di psicoterapia full time di una bambina con stipsi ostinata e protratta dopo la perdita della madre all’età di due anni e mezzo e del genitore superstite in setting congiunti e poi paralleli; anche in setting paralleli con la madre superstite, ma in psicoterapia short time, è quella di Lara Lucchetti, che si è presa cura di una bambina di 6,5 anni, orfana del padre all’età di 5,5 anni, con inibizione al gioco e incapacità a riconoscere il padre nelle foto di famiglia. In entrambi i casi si è annotata una attenzione diversamente “attiva” da parte delle psicoterapeute sulla qualità della comunicazione nel corso della seduta, ma in comune c’è un’idea del gioco terapeutico come dialettica tra il Sé e gli oggetti interni ed esterni; un gioco di forme e contenuti e di livelli psichici e somatici diversi; c’è il lavorio reciproco delle idee, degli affetti, delle loro distorsioni, ricomposizione e trasformazioni nel qui e ora e nel corso del processo. Nella terapia full time si sviluppa una tessitura narrativa e storica molto emozionante, che anche allude alla trasmissione tra le generazioni di lutti congelati e su come il lavoro psichico non svolto dal padre ricada sulle spalle della figlia.

Con l’altra bambina seguita con la terapia short time, il “focus” si è declinato a livello edipico nel recuperare da parte della bambina i tratti di amore e di odio rimossi del suo legame sintonico con il papà, precedente alla sua perdita, e nel poter riparare l’illusione simbolica di questi aspetti nel transfert paterno con la sua terapeuta, rinnegati dalla colpa edipica dominante verso entrambi i genitori. Il focus ha riguardato il facilitare una diversa articolazione tra negazione e diniego.

Nel complesso gli articoli dell’odierno Focus, come quelli sopra citati del passato a proposito dei trattamenti a orientamento analitico con il genitore superstite e con i bambini precocemente orfani di un genitore, sono una preziosa documentazione di come le due Scuole, AIPPI e IW, abbiano contribuito a fare di Richard e Piggle una fucina creativa di pensieri e teorie psicoanalitiche che, se anche distinte e spesso complementari, da anni hanno fondato quel metodo transizionale, proprio dell’incontro di lingue diverse nella Psicoanalisi contemporanea, molto fruttuoso quando i partecipanti condividono sia i limiti rispettivi del proprio analizzare, ma anche il loro sostare sulle frontiere del conoscere, provando a dialettizzare i rispettivi punti di vista e giovandosi di un proficuo confronto.

Bibliografia

Algini M L (2015). L’enigma del “terzo” nel lutto infantile. Richard e Piggle, 23 (2): 185-197.

Bonaminio V, Carratelli T I (1988). La Pschichotherapy psychoanalitique breve pour enfants. Hipothese pour un modele et experience clinique in l’age de latence. Psychiatrie del’Enfant, Paris, XXXI, 2.

Bruno G (2015). Il tempo del silenzio, il tempo delle parole e forse della nuova illusione. Richard e Piggle, 23 (2): 198-205.

Carbone Tirelli L, Micanzi Ravagli B (2004). Introduzione al Focus “La morte di un genitore nei primi anni di vita di un bambino”. Richard e Piggle, 12 (2): 144-155.

Lemma A, Target M, Fonagy P (2011). Terapia dinamica interpersonale breve. Una guida clinica. Milano: Cortina, 2012.

Maiello S (2004). Note conclusive sul lutto infantile. Richard e Piggle, 12 (2): 207-212.


Teresa Iole Carratelli

Psicoanalista Ordinario AIPSI con funzioni

di training

Docente didatta IW Scuola di psicoterapia

psicoanalitica del bambino, dell’adolescente

e della coppia genitoriale

Co-fondatore e membro ordinario SIPSIA


Indirizzo per la corrispondenza/
Address for correspondence:

Via Bartolomeo Eustachio, 22

00161 Roma

E-mail: teresa.carratelli@fondazione.uniroma1.it


Vincenzo Bonaminio

Psicoanalista Ordinario SPI con funzioni

di training

Docente didatta IW Scuola di psicoterapia

psicoanalitica del bambino, dell’adolescente

e della coppia genitoriale

Co-fondatore e membro ordinario SIPSIA


Indirizzo per la corrispondenza/
Address for correspondence:

Via Nomentana, 256

00162 Roma

E-mail: vincenzo.bonaminio@gmail.com