Adolescenze in lockdown:

narrazioni dalla pandemia


Introduzione

annalucia borrelli, francesca tonucci

Con questo Focus continua la riflessione avviata nel numero 4/2020 di Richard e Piggle sulla Psicoanalisi dell’Infanzia e dell’Adolescenza nel tempo della pandemia e volentieri abbiamo accolto la proposta di arricchire le riflessioni già avviate sul tema.

Per quanto i dati numerici più recenti siano incoraggianti e ci diano una buona speranza sul futuro, la situazione pandemica, pur se in rallentamento, è lungi dall’essere finita. Ne stiamo cavalcando l’onda lunga e, sebbene una storia la si possa raccontare solo quando è conclusa, è altrettanto vero che possiamo volgere lo sguardo all’indietro per cominciare a dare significato alla crisi attraversata.

Al suono della parola “crisi” evochiamo immediatamente il senso di una rottura, sia spaziale che temporale; un prima ed un dopo. Non a caso questa parola, desunta dall’agricoltura, indica la separazione delle parti del chicco di grano per la raffinatura. Si tratta di una parola che, quindi, ci invita a fare una prima operazione di discernimento, di valutazione, di selezione delle opportunità, affinché, come il grano, possa divenire prezioso nutrimento.

Le proposte per questo Focus interfacciano diverse esperienze cliniche con i problemi e le possibilità che si sono aperti nel periodo, imprevisto e perturbante, della pandemia cercando di evidenziare, nell’apparente stasi che tutti abbiamo vissuto, un percorso pro-attivo che molto metterà in discussione sia nei singoli individui che nelle relazioni. Noi stessi psicoterapeuti, come Spillover, siamo stati costretti a fare un “salto di specie” e non ci siamo sottratti alle novità tecniche e cliniche a cui il virus ci ha aperto.

Come scrive Lombardi (2020, pag. 4): “È stata e continua ad esserlo, una sfida difficile. Al tempo stesso è stata un’occasione per rinnovare il carattere primario dell’approccio psicoanalitico a confrontarsi con crisi, dolori mentali, catastrofi (…) Freud fu ispirato dall’Edipo Re di Sofocle nel suo fondare la psicoanalisi: una tragedia che proprio nel confronto con la peste trova il trampolino e la forza motoria per andare a scoprire l’inconscio e i livelli di profondità che caratterizzano la mente umana”.

La psicoanalisi sa farci confrontare con la vulnerabilità, con il limite, con le paure, con l’incertezza dell’ignoto, ma può divenire strumento potente anche a livello sociale aiutando la collettività a vedere come la sofferenza e lo spaesamento, se adeguatamente ascoltati, possano promuovere la crescita soprattutto ora che, nella crisi del passaggio da una società edipica ad una narcisistica, si è aggiunto un trauma collettivo che ancora non ha avuto il tempo della decantazione e della narrazione e che, se non potrà emergere, esacerberà il senso di fragilità.

Lo scorso ottobre, per la prima volta nella sua storia, la rivista scientifica The Lancet, ha invocato l’ausilio della psicoanalisi statunitense per intervenire a livello collettivo sull’uso del meccanismo del diniego. Nonostante la “infodemia” (neologismo coniato dall’OMS) cioè l’eccesso di informazione sul Covid da parte dei media, una percentuale elevata di cittadini si è rifiutata di adeguarsi alle regole imposte e di accedere al vaccino ed alle cure ricorrendo ad una lettura più accettabile della realtà pur di non confrontarsi con la vulnerabilità. Da qui l’auspicio che epidemiologi e psicoanalisti collaborino a favore della salute pubblica.

La pandemia ha scompaginato la vita dei nostri pazienti mentre scompaginava anche la nostra a livello personale e professionale costringendoci ad un ascolto diverso, “da remoto”, che ci ha permesso di raggiungere gli analizzandi in luoghi atipici e talvolta permettendoci degli svelamenti che magari fino a quel momento non erano stati possibili. È stato forse un intervento di livello inferiore? Occorrerà ancora del tempo per dare una risposta. Per certo è stato generativo di nuove idee.

Vogliamo citare un lavoro di Cabré (2015) che ci ricorda come: “La tradizione e l’innovazione sono due elementi imprescindibili del metodo, della tecnica e della pratica psicoanalitiche. E il dialogo scientifico che si verificò tra Freud e Ferenczi dal 1920 al 1933 è un esempio che illustra molto bene come si articolasse, nella produzione teorica e clinica di entrambi, un ponte ed una connessione costante tra il mantenimento delle fondamenta della psicoanalisi e l’apertura all’innovazione ed alla creatività più incisiva” (pag. 2). Ferenczi, nel 1928, scrive un saggio dal titolo: “L’elasticità della tecnica psicoanalitica” in cui illustra le qualità necessarie all’analista per compiere un lavoro così delicato, parlando di Einfuhlung, empatia, intesa come capacità di immedesimazione col paziente: il paziente ha bisogno di fare l’esperienza di sentire che il suo analista si sintonizzi con lui. Qualità che non va disgiunta da un altro elemento “(…) decisivo, vale a dire la valutazione consapevole della situazione dinamica”. Perché questo si renda possibile il paziente non deve subire l’eccesso di sapere dell’analista che in tal caso frenerebbe irreversibilmente la creatività del paziente. E nello stesso scritto Ferenczi introduce l’importanza dell’umiltà dell’analista come essenziale altro fattore tecnico ed etico. “La modestia dell’analista non è quindi una posa, ma l’espressione della consapevolezza dei limiti del nostro sapere”. (Ferenczi, 1928, pag. 29)

Le analisi cosiddette ‘da remoto’ hanno permesso sintonizzazioni “altre” che con l’isolamento non si sarebbero potute realizzare e non sarebbero state intercettate. Possiamo, quindi, parlare di modificazioni del setting o di innovazioni imposte dalla nostra etica della cura e non di rotture, se siamo stati capaci di tendere l’elastico nel modo più funzionale, cioè senza abdicare alla nostra specificità psicoanalitica.

Chiedeva Florence Guignard in un webinar dello scorso dicembre:1 “Come si può lasciare solo un adolescente senza un segno di vita?”. Ebbene, in particolare con gli adolescenti, pur di non lasciarli soli, abbiamo saputo rinunciare ai nostri saldi e conosciuti appigli in favore della necessità di innovazione accettando i limiti ed il ricorso ad una tecnologia una tecnologia che ci metteva certamente in una condizione subalterna rispetto alle abilità dei nostri giovani pazienti; umilmente, appunto, in attesa di capirne di più.

I contributi presentati in questa sezione mostrano esperienze di lavoro differenti con gli adolescenti e nascono dall’occasione del confronto annuale tra gruppi che si occupano del trattamento psicoanalitico di adolescenti all’interno di AGIPPsA (Associazione Gruppi Italiani di Psicoterapia Psicoanalitica dell’Adolescenza). L’esigenza di confrontarsi tra terapeuti sull’esperienza che si stava attraversando, sia personalmente che nella clinica la clinica, è stata molto forte perché l’impatto con l’esperienza traumatica inedita della pandemia ha sollecitato in tutti interrogativi su come procedere e quali scelte compiere a favore dei pazienti, rispetto alla forzata e repentina necessità di operare dei cambiamenti di setting per adeguarsi alle regole governative.

Tale contesto ha fatto sì che ci fosse un’alta adesione a questa occasione scientifica di confronto e scambio, sia in termini di partecipanti che in termini di presentazione di lavori.

Gli adolescenti hanno vissuto una condizione molto particolare: già di per sé impegnati in un processo di sconvolgimento fisico, cognitivo, emotivo e sociale, che comporta una perdita di riferimenti interni ed esterni ed un profondo lavoro di rimaneggiamento e di costruzione identitaria, si sono ritrovati, con il lockdown, a dover vivere limitazioni drastiche alla loro esigenza di sperimentazione, socialità, relazione con i pari e con adulti che non fossero i genitori. Sappiamo quanto l’agire sia per l’adolescente un canale fondamentale per sperimentare le proprie competenze, i propri limiti, conoscersi e conoscere l’altro. Si potrebbe immaginare l’agire come uno spazio transizionale, dove il mondo interno dell’adolescente si incontra con la realtà del corpo e dell’altro in un processo di mutuo scambio e trasformazione. Tutto ciò è stato forzatamente interrotto e i processi di crescita e socialità consegnati il più delle volte agli strumenti virtuali.

Gli psicoterapeuti degli adolescenti hanno, quindi, avuto modo di osservare da vicino e proprio grazie alla prosecuzione del loro lavoro clinico un quadro molto delicato e particolare, cogliendo degli elementi di malessere che riteniamo fondamentale comunicare a chi, in diversa maniera, è impegnato nel confronto costante con gli adolescenti (scuola, centri per le attività sportive, istituzioni).

Ciò che risulta molto chiaro è che in questo anno e mezzo si è richiesto agli adolescenti di adattarsi a moltissime pesanti rinunce e imposizioni. Di contro, non ci si è preoccupati di offrire loro uno spazio per la condivisione e l’elaborazione di quanto stavano vivendo relativamente alla pandemia in corso. Riteniamo che nel dibattito pubblico non si sia trovato un sufficiente spazio di attenzione e riflessione per le emozioni congelate e per l’ascolto dei bisogni dell’adolescente.

Tutto ciò è esitato, con grande preoccupazione, in un aumento di richieste di consulenze e psicoterapie da parte di adolescenti, così come di tentativi di suicidio e comportamenti autolesivi di vario tipo e gravità, come già sottolineato nei numeri precedenti della rivista. Per i ragazzi che erano in psicoterapia prima della pandemia, la sua prosecuzione ha garantito un’esperienza di continuità cruciale, in un momento in cui tutti i punti di riferimento erano sospesi o interrotti. Ha, inoltre, fornito uno spazio prezioso di condivisione in cui poter far emergere le difficoltà attraversate, in una fase di crescita fisiologicamente critica che si è andata ad intrecciare ad una contingenza storica traumatica.

Attraverso i contributi di questa sezione, gli Autori ci presentano delle scelte interessanti e inedite di accompagnamento dei loro pazienti in questo periodo così difficile. La necessità di operare dei cambiamenti nel dispositivo terapeutico ha dato vita a soluzioni creative e ad esperienze diverse, che vanno dalla drammatizzazione nello psicodramma utilizzato nelle scuole alla realizzazione di un laboratorio con adolescenti migranti per far fronte all’interruzione del loro processo di inserimento sociale e lavorativo a causa del lockdown. Si descriverà, inoltre, la realizzazione di una rete online di un servizio di Neuropsichiatria di Torino per sopperire all’interruzione dell’attività territoriale disposta dai DPCM, così come verrà raccontata l’evoluzione di un progetto che, nato come promotore di aggregazione giovanile, si trasformerà in un laboratorio creativo dove i ragazzi, da utenti, diventano co-protagonisti di una rete che coinvolge gli anziani del loro stesso comune. Si concluderà infine con contributi che osservano più da vicino cosa è successo nella stanza di analisi in questo periodo e come questa si sia trasformata.

Scopriamo insieme a Paola Cecchetti nel lavoro “Dove sono i corpi?” come lo psicodramma, applicato in un liceo romano, divenga dispositivo non solo di rappresentazione, ma anche di elaborazione grazie alla mediazione della tecnica della “apertura delle parole”. Troviamo qui la metafora del filo: da un discorso di seduta che si avvia nel gioco psicodrammatico si apre una catena associativa in cui il discorso di ogni studente si annoda a quello dell’altro e a quello delle generazioni precedenti.

Il momento in cui chi racconta incontra un inciampo, un’incertezza, un interrogativo sul da farsi, diviene luogo e tempo del gioco psicodrammatico, lì dove si sente una possibile apertura dell’inconscio. Il gioco è la messa in scena di questo punto di sospensione e non è rappresentazione pura e semplice del contenuto del racconto.

Oltre ai tanti vertici di osservazione cui lo psicodramma apre, ci sembra strumento particolarmente utile nel lavoro con gli adolescenti perché il corpo e lo sguardo diventano centrali. Il corpo si fa immagine, mappa su cui l’Altro ha lasciato le sue orme. 

Si allarga, quindi, ancora di più la funzione dello psicodramma: ciò che viene mobilitato nei partecipanti concorre anche all’instaurarsi di un legame sociale particolare, perché luogo in cui sperimentare un’altra forma di soddisfazione che passa attraverso la parola, chiede la presenza di altri e si muove all’interno di leggi condivise. Tutti aspetti che per l’adolescente sono primari.

Il contributo presentato da Rainò, Anichini, Cappelli, Longo dal titolo “Rete reale, rete virtuale” ci mostra come il lavoro con i ragazzi più gravi che afferiscono al Day Hospital del Servizio di Neuropsichiatria di Torino, abbia richiesto l’attivazione di una rete tra il Servizio stesso, la scuola, i terapeuti individuali dei ragazzi e le famiglie. Allorché i decreti ministeriali ordinavano la chiusura dei Servizi, le colleghe sono intervenute con un adattamento del lavoro multidisciplinare che erano solite realizzare, e che esse hanno definito con Bion, in modo molto evocativo e puntuale, “un pensare sotto i bombardamenti”. Il Servizio non ha chiuso, ma ha trasferito l’attività di consulenza, di psicoterapia e di raccordo online, dando la priorità alla necessità di preservare il legame con i pazienti a fronte dell’imposizione dell’isolamento. Il mantenimento di un pensiero di cura sui pazienti adolescenti ha permesso a questi ultimi di sopportare le brusche interruzioni scolastiche, sociali ed emotive a cui sono stati esposti, e di trovare un modo di attraversarle. Nei bombardamenti della pandemia è stato attrezzato uno spazio di “ricovero virtuale (e virtuoso)” in cui alimentare un pensiero che crea legami e attiva energie. Commovente la funzione trasformativa esercitata nel corpo docente dalla presenza della psichiatra e della terapeuta di un’alunna in difficoltà, durante un Consiglio di Classe. Attraverso il pensare insieme, la scuola, da contenitore rigido deputato alla valutazione di profitto, si trasforma in un ambiente che sostiene e promuove il processo di crescita dell’adolescente, accettando di compiere un investimento sulle potenzialità e capacità dell’alunna piuttosto che misurarne il rendimento. L’integrazione della prospettiva psicoanalitica con il percorso scolastico di un adolescente può sbloccare situazioni di stallo importanti e permettere la ripresa del processo evolutivo.

Il progetto illustrato da Laura Ambrosecchia dal titolo “Navigare in un tempo sospeso” sorprende nel momento in cui osserviamo i migranti impegnati a lungo nella pulizia della casa che li accoglie. “Che cosa si cela dietro questo gesto?” si chiede l’Autrice, costringendo anche noi ad interrogarci. Lo spazio pubblico, privo della dimensione intima, non ci racconta veramente. Nel pubblico siamo più rispondenti alle dinamiche sociali condivise, mentre occupare ed avere cura di uno spazio privato, una tana, un rifugio è la prima prova di esistenza. Pulire la casa e ritrovare la sua dimensione personale e privata è un atto vitale e resiliente per non “spaesarsi”.

Segue il lavoro di Balbo, Genre, Minafra, Sciaudone dal titolo “Un dolce sms: promuovere la resilienza ai tempi del Covid”, che ha il grande merito di richiamare il valore del senso della collettività, quella collettività che abbiamo dimenticato di costruire in passato restando a digiuno di pratiche di comunità. Il progetto, nella sua semplicità e linearità, diviene potente aggregatore tra le generazioni, unendo passato, presente e futuro, oltre i legami, oltre la famiglia. Fa pensare alla poetica installazione dell’artista ormai scomparsa Maria Lai che, con il suo Legarsi alla montagna, unì con un nastro azzurro tutte le porte del suo paese, Ulassai, in Sardegna. L’artista prese spunto da un’antica leggenda: un gruppo di pastori durante una tempesta trova rifugio in una grotta che, però, viene travolta dalla furia atmosferica; riesce a salvarsi una sola bambina che per inseguire un nastro azzurro non si era rifugiata nella grotta. Torna la metafora del filo: passato di mano in mano nell’installazione, di porta in porta, di strada in strada, legò fisicamente e simbolicamente il paese di Ulassai, così come la comunità di San Maurizio Canavese si è tenuta unita da un filo “dolce” di cura, attraverso cui gli adolescenti hanno dato prova di esserci e di non essere indifferenti o inattivi.

Dai contributi che descrivono progetti più collettivi si passa, poi, ad uno zoom sulla stanza di analisi, e all’esigenza che, come psicoterapeuti, abbiamo avuto di adattare il setting alla straordinarietà del momento storico che stiamo attraversando, riflettendo sulle implicazioni che ciò comporta.

Nel contributo intitolato “Sentieri interrotti. Il senso di perdita negli adolescenti al tempo del Covid-19” Bonaminio, Fiderio, Lucchetti, Nitiffi, Petruzzelli e Servidio sottolineano la centralità del vissuto di perdita negli adolescenti seguiti durante il lockdown, perdita al tempo stesso interna, relativamente al passaggio adolescenziale dall’infanzia all’adolescenza, ed esterna riferita a tutte le rinunce e interruzioni a cui sono stati esposti a causa della pandemia. Ci descrivono quanto tali vissuti abbiano provocato regressioni e incapsulamenti ma anche, attraverso il lavoro psicoterapeutico di accompagnamento e significazione, condivisioni importanti che hanno permesso di mantenere il legame con l’altro-terapeuta. Interessante la proposta di accostare l’esperienza della pandemia all’adolescenza stessa, con cui condivide la qualità improvvisa, traumatica, dirompente e di come il terapeuta viva, insieme all’adolescente, un senso di spaesamento e disorientamento rispetto all’esperienza pandemica, realizzando così un livello di sintonizzazione affettiva profonda, dove il terapeuta mette a disposizione del lavoro con l’adolescente la propria attrezzatura psichica ed emotiva, accompagnamento fondamentale che aiuta a ritrovare la rotta nella tempesta.

Anche nel lavoro di Finocchietti intitolato “Esperienze di caduta e risalita degli adolescenti durante il lockdown” si incontra il senso di rottura, sospensione, perdita con cui si confrontano gli adolescenti che frequentano il suo studio durante il lockdown: per alcuni ha significato la brusca interruzione di un faticoso percorso di sperimentazione e appropriazione di aspetti di sé e dell’altro, per altri una pausa benvenuta in un confronto poco sopportabile con i cambiamenti in corso. In tutti ha provocato un senso di spaesamento e disorientamento che ha sollecitato soluzioni regressive, ma che, proprio grazie al dispositivo terapeutico, ha permesso di restare connessi, pur nella sensazione di aver perso la bussola.

Ci sembra che questi lavori possano costituire uno spunto per riflettere insieme sulle tante implicazioni possibili dell’attraversamento adolescenziale durante la pandemia e su quanto il dispositivo psicoterapeutico possa costituire un “luogo” prezioso in cui depositare, contenere e condividere stati della mente e psicosensoriali che possono risultare tanto dirompenti e intollerabili quanto inaspettati, ma che, se affiancati da un ascolto attento e paziente, possono promuovere un percorso di appropriazione e integrazione. Ci sembra, inoltre, che queste riflessioni possano costituire un’occasione di sensibilizzazione importante a temi centrali per l’adolescente anche per altre istituzioni che operano nel mondo adolescenziale.

L’adolescenza messa in standby (o diversamente confrontata) dall’evento pandemia non ha ancora trovato le parole per narrarsi, ma ci auguriamo che questi progetti e interventi, gruppali e individuali, possano essere un punto di partenza per le riflessioni di tutti e per la costruzione del futuro della cosiddetta next generation.


Riassunto

Dando seguito alla proposta lanciata nel quarto numero del 2020 di Richard e Piggle, le Autrici provano ad arricchire il confronto sul tema della psicoanalisi dell’infanzia e dell’adolescenza nel periodo della pandemia avvalendosi dei contributi presentati dai gruppi afferenti all’AGIPPsA nel corso degli annuali seminari intermedi. L’apparente periodo di stasi imposto dalle regole anti-covid è stato generativo di idee e di nuovi ed originali interventi mostrando la tenuta del metodo e della tecnica psicoanalitica pur se adattata ai necessari aggiustamenti da mettere in campo. Questa sfida ha prodotto un proliferare di progetti, interventi istituzionali e adattamenti tecnici per rimanere in contatto con gli adolescenti, raccogliendo i segnali di sofferenza che hanno inviato al mondo adulto. Dopo essere stati i più resilienti nella prima fase della pandemia, in seguito hanno suscitato un allarme, il più delle volte collegato all’isolamento, alla mancanza di socialità ed all’assenza del corpo. La mancanza della scuola ha contribuito ad aggravare il quadro determinando la perdita di occasioni e riti sociali importantissimi per la crescita dell’adolescente. La pandemia li ha sorpresi in un momento altamente formativo, in cui al lutto per l’infanzia perduta hanno dovuto aggiungere altri lutti. Questo malessere ha avuto bisogno di ascolto e di aiuto, di quella cura che non è solo attenzione, ma un progetto di condivisione nel tempo.


Parole chiave

Adolescenza, istituzioni, progetti di rete, innovazione, setting.

Bibliografia

Cabré L J M (2015). L’empatia e l’elasticità psicoanalitica. https://sippnet.com/articoli/121-l-j-m-cabre-l-empatia-e-l-elasticita-psicoanalitica.html.

Ferenczi S (1928). L’elasticità della tecnica psicoanalitica. In: Opere, vol. 4. Milano: Cortina, 2002.

Lombardi R (a cura di) (2020). La psicoanalisi al tempo del Covid-19. Un gruppo di terapeuti al lavoro. Roma: Palombi Editori.


Annalucia Borrelli

Presidente AGIPPsA

Socio Ordinario e Didatta AIPPI


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Francesca Tonucci

Responsabile Seminari Intermedi AGIPPsA

Socio Ordinario SIPsIA


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