Recensioni*


Bastianoni P. Una regina come madre. Storie di bambini e adolescenti in crescita, tra diritti e ingiustizie. Parma: Edizioni Junior, 2021. Pagine 103. Euro 12,75.


Dopo anni di una lunga familiarità con la ricerca, in particolar modo in quell’ambito centrale, crocevia di molteplici interessi, che è la psicologia clinica dello sviluppo a orientamento sociale, Paola Bastianoni ci consegna un libro dal forte impatto evocativo e dalla scrittura poetica, come in un romanzo, narrando di storie di vita vissuta di bambini violati, abbandonati, senza famiglia. Il volume fa parte di una collana su tutela, diritti e protezione dei minori, da lei stessa diretta. 

Il punto di partenza non può che essere quello delle comunità per minori, campo con cui l’Autrice ha ormai una più che trentennale attività di frequentazione, nell’ottica del paradigma dei fattori di rischio e di protezione e del costrutto di resilienza, quale capacità di resistere a traumi di violenta portata. Il volume è concepito come una serie di storie, narrate ora in prima, ora in terza persona, di minori, bambini e adolescenti, che recano con sé peculiari caratteri di dolore specifico. Il libro si caratterizza anche per una forma di linguaggio iconico tutta particolare: alle pagine di ogni storia si associano i disegni, particolarmente curati, di Anna Ferrandes, e la sperimentazione di una veste narrativa originale, con poesie, parole in grassetto, a caratteri cubitali, per obliquo e in modo altro ancora. 

Il filo conduttore che lega le diverse storie raccontate è, a mio modo di vedere, quello della sofferenza sociale. Non già il dolore psichico della patologia nevrotica o psicotica, ma quella forma di sofferenza altrettanto grande, se non maggiore, che chiama in causa la deprivazione per via di condizioni sociali insostenibili. Sono storie di bambini e adolescenti che sentono di «andare in pezzi» (p. 30), «avvinghiati a un dolore senza tregua» (p. 35), «con il sorriso dei piccoli dei Primati che si arrendono al più forte chiedendo venia per atti mai commessi» (p. 39), o di chi sorride «per quelle scuse che nessuno gli ha mai fatto» (p. 49). È qui presente in modo chiaro il tema dei diritti e dell’ingiustizia di quei minori che reclamano un posto in cui i propri bisogni siano accolti, a cominciare dal diritto a una presa in carico, con o senza il contenitore di una famiglia nucleare.

Nella prima parte del libro la narrazione inizia da alcune storie di minori in comunità. “Una regina come madre”, titolo della storia che dà il nome al volume, è quello emblematico di una figlia che concepisce la propria madre come irraggiungibile, a fronte del diritto negato di avere un genitore che si prenda cura di lei. Così «la famiglia anelata è diventata simbolicamente quella comunità che è riuscita ad accoglierle entrambe…rivelandosi un porto sicuro, un luogo stabile, affidabile e non giudicante anche per la mamma, un punto di riferimento discreto ma presente per ogni loro bisogno» (p. 41).

Un’altra storia qui menzionata è quella di una bambina che non si stanca di volere una madre vera, una madre che si faccia carico dei suoi bisogni, a fronte di una madre naturale che ella non percepisce in grado di accudirla, ma alla quale rimarrà consegnata, per questioni connesse alla complessa regolamentazione degli affidi. Emerge il tema della rivendicazione attiva del bisogno, con il quale il minore danneggiato affronta la propria condizione di sofferenza; una posizione propria di un percorso resiliente.

Nella seconda parte del volume si trova un nucleo di affreschi di storie emblematiche di minori rifiutati, danneggiati e ancora umiliati e offesi. È il caso di Michael, un ragazzino di colore adottato in Italia, che sembra venire accettato dai coetanei e dagli adulti a lui più prossimi solo per giocare bene a Basket, per eccellere in uno sport, come vuole lo stereotipo del ragazzo dalla pelle scura, altrimenti umiliato e marginalizzato. È il caso di una bambina del Benin che lavora indefessa spaccando pietre, per la cui madre «i sogni sono pericolosi, mentre io ho sempre pensato che sognare non costi nulla e a volte possa servire ad alleviare la fatica» (p. 60); oppure è la sorte di quell’adolescente dall’identità sessuale negata, che reclama un riconoscimento per una individuazione considerata inaccettabile, e di altri racconti ancora di minori dall’esistenza sventurata.

Nell’ultima parte del volume c’è spazio per dare forma, in veste romanzata, a storie che si riallacciano a fatti di cronaca troppo spesso dimenticati. Sono i bambini e i ragazzi di Bucarest, che vivono nelle fogne, perché, con le parole immaginate di uno di loro, «non c’è mai stato nessuno per me. Non c’è nessuno nelle fogne: solo noi e i topi» (p. 83). Oppure è la vicenda di quel ragazzino morto nella stiva di un aereo, mentre fuggiva da una realtà sociale invivibile in Costa d’Avorio, di cui «non sappiamo il suo nome. È morto senza il calore di un abbraccio, senza qualcuno che gli tenesse la mano. È morto al freddo e al buio. Forse saremo ancora una volta capaci di far finta di niente, ma la sua morte grava sulle nostre coscienze come un macigno» (p. 85). 

Sembra opportuno ribadire che almeno due sono i caratteri per i quali in modo peculiare si segnala questo bellissimo libro di Paola Bastianoni: la veste originale con cui è pensato e impostato, come un testo di narrativa o una raccolta di poesie, e allo stesso tempo la capacità di esplorare problematiche psicologiche in un modo che impone rispetto e riflessione clinica, mentre sono state troppo spesso negate, passate sotto silenzio e misconosciute.

Tommaso Fratini

De Curtis M. e Gangi S. Piccoli piccoli. Storie di neonati nell’Italia di oggi. Roma: Laterza, 2021. Pagine 148. Euro 16,00.


«Durante questi anni di lavoro in TIN» -Terapia Intensiva Neonatale (n.d.r.)- «ho capito che accettare un figlio malato significa imparare ad amarlo per quello che è, significa liberarsi dalle aspettative deluse e dai sogni infranti…Non possiamo cambiare gli eventi, ma possiamo scegliere come vivere anche quelli più terribili e impensabili. In TIN per questo motivo cerchiamo di avvicinare, appena possibile, le mamme e i papà ai loro bambini, perché possano conoscerli e amarli per quello che sono» (pp. 38-39).

È questo uno dei tanti, toccanti passaggi del libro “Piccoli piccoli. Storie di neonati nell’Italia di oggi”, scritto a due mani con rigore informativo e approccio scientifico da Mario De Curtis, primario dell’Unità di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale del Policlinico Umberto I di Roma e con fine competenza professionale e autentica disponibilità umana da Sarah Gangi, psicologa e psicoterapeuta, responsabile del Servizio di Psicologia dell’Unità di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale del suddetto Policlinico.

I due Autori, da versanti differenti, narrano la quotidianità in una TIN, condensando “il mondo in un reparto”. Sette storie di nascita di bambini piccoli piccoli e dei loro genitori consentono al lettore di affacciarsi alla nascita estremamente pretermine, all’abbandono di un neonato, ai successi terapeutici e alla complessità del parto, all’abuso di droghe in gravidanza e agli interventi in caso di malformazioni congenite.

L’impatto con una realtà cruda e dolorosa di una Terapia Intensiva Neonatale è qualcosa di poco noto, se non del tutto sconosciuto ai più. Ricordo che nei miei anni giovanili di lavoro in una TIN a Trieste, i genitori riferivano spesso il loro sconcerto e disorientamento per aver scoperto l’esistenza di un reparto del genere in cui si ritrovavano, loro malgrado, catapultati “come in un sottomarino”, citando le parole di una madre.

Nel racconto di Sarah Gangi emerge il vissuto corale di medici, infermiere, piccoli pazienti e genitori tutti impegnati nell’arduo compito di insufflare la salvezza in queste piccole vite a rischio.

Gli interventi ai piccoli piccoli avvengono inizialmente sotto il segno di una condizione di urgenza, ma proprio questa caratteristica di emergenza estrema stimola il fare e crea spesso un ingorgo di situazioni caotiche, frammentarie: «C’è una nuova emergenza…I medici sono concentrati, lo sguardo è fisso sulla piccola neonata. Nell’emergenza non c’è spazio per altro, è come se un faro illuminasse il neonato in quell’unico segmento di corpo coinvolto: la trachea, i polmoni, la vena, il braccio, il piede… Ciò che lo circonda non ha importanza e cade nel buio. Si deve agire e reagire immediatamente» (p. 25). A questo scenario complesso Sarah Gangi si accosta con delicatezza, flessibilità, versatilità, offrendo interventi ‘insaturi’, non interpretativi, con una parola che accompagna e offre spesso un’ampliamento di veduta alle differenti odissee genitoriali, cercando di dare un senso emotivo al caos, con una funzione ordinatrice e sempre aperta, ricettiva a ciò che circola nel qui e ora del campo: «Nel mio lavoro di psicoterapeuta mi inserisco sin dai primi istanti del ricovero cercando di assorbire le angosce dei genitori, sollecitandoli a stare accanto al loro bambino il più a lungo possibile. Crediamo che il precoce avvicinamento dei genitori al piccolo eviti che possa svilupparsi un rifiuto del figlio, poiché privati del riferimento sensoriale (toccarlo, baciarlo, annusarlo): il neonato rimane non rappresentabile, non conoscibile e non riconoscibile. Con i genitori lascio libero corso alla comunicazione, libero spazio alle emozioni e ai pensieri, perché madre e padre possano esprimere i loro vissuti e le proprie fantasie senza ostacoli e giudizio» (p. XI). Così, nella storia di Dario (Un figlio non voluto) Sarah Gangi si offre in una funzione osservante che diviene voce narrante discreta e rara: «Mi faccio coraggio e raggiungo la mamma… lei non sembra nemmeno accorgersi della mia presenza. Poi all’improvviso si gira, mi fissa e comincia un pianto lungo e disperato… Siamo due donne una di fronte all’altra. Vorrei poter lottare insieme a lei per dare un nome all’angoscia, per trovare le parole di questa sofferenza indicibile, e con le parole una possibile via d’uscita… A volte penso che l’aspetto più difficile di questo lavoro sia davvero quello di riuscire a stare nel dolore, sentirlo, non averne paura, avvicinarlo» (p. 50).

Nella narrazione della storia di Magedara, piccola neonata con una malformazione congenita (La mamma con il sari) si respira l’accoglimento rispettoso delle abitudini e della cultura della famiglia di origine cingalese: «Non siamo abituati a tanta compostezza e a tanta serenità in situazioni così difficili. Solo col tempo, ascoltando la loro storia, ho capito quali radici avesse la loro calma e la loro pacatezza. Nei nostri incontri (il padre, ndr) ogni tanto lasciava delle frasi sospese, come questa: “Noi cerchiamo di accettare ciò che ci accade, e anche per nostra figlia sarà così, la vita riserva anche dolore, e i desideri non si possono sempre avverare e, in ogni caso, non è detto che sempre procurino la felicità”. Frasi che condensavano la loro filosofia di vita, le loro difese, il loro modo di affrontare il dolore della vita» (p. 115).

Ognuna di queste sette storie denota davvero un’aperta ricettività a tutto ciò che circola nel campo, un dispiegamento di quella capacità negativa intesa come capacità di mantenersi nella scomoda posizione di chi accetta di non capire, sperimentando l’impotenza e astenendosi dall’agire e dal consigliare. Nascere oggi in Italia - sottolinea Mario De Curtis - è difficile: «I cambiamenti sociali espongono il bambino, sin dalla nascita, a nuovi rischi… Nel corso degli ultimi anni si è assistito a grandi cambiamenti sociali: la significativa diminuzione della natalità, l’aumento delle disuguaglianze, e la crisi del sistema sanitario» (p. 151). Anche la recente pandemia da coronavirus «ha crudelmente evidenziato l’indispensabile necessità della competenza e l’importanza della ricerca…Dopo la pandemia da coronavirus nulla sarà come prima». L’infezione da SARS-CoV-2 ha fatto emergere infatti «quello che è indispensabile, quello che è utile, e ciò che non è necessario» (pp. 161-163).

Tuttavia, puntualizza Sarah Gangi, «la nostra sanità ha molti problemi che vanno giustamente segnalati e affrontati ma non dimentichiamo quanto di straordinario accade ogni giorno in tante corsie d’ospedale… Ogni giorno incontriamo nuovi pazienti piccoli piccoli e con loro affrontiamo nuove sfide». E questo libro ne è la piena, toccante testimonianza.

Emanuela Manfredi