Introduzione

giuliana bruno


I contributi proposti in questo Focus nascono dal lavoro del gruppo di studio del Centro Studi SIPsIA Adriano Giannotti, nel quale da diversi anni ci dedichiamo all’approfondimento delle forme di intervento precoce a sostegno della relazione genitori-bambini.

Nel 2018 abbiamo avuto l’opportunità di pubblicare su Richard e Piggle alcuni lavori frutto della nostra ricerca, nel Focus dal titolo “Le nascite difficili: un gruppo al lavoro” (Richard e Piggle, vol. 26, n. 4).

In quell’occasione, accanto ai contributi delle singole autrici, abbiamo scelto di condividere le nostre riflessioni sulle funzioni che può svolgere il gruppo di studio o di intervisione tra colleghi e sui processi psichici che attiva e sostiene, con uno scritto collettivo, frutto proprio del pensiero condiviso (Manfredi, Stefani, 2018). Si tratta di un tema molto significativo per noi, perché costituisce la cornice entro la quale si svolge la nostra ricerca, e che ne caratterizza lo stile. Il Focus era centrato sulle esperienze traumatiche della nascita e sulle tracce di tali esperienze da cogliere nelle osservazioni e nei trattamenti di psicoterapia. Tuttavia, eravamo attente anche a mostrare come l’intervento di sostegno, rivolto ai genitori e alla relazione precoce con i bambini, fosse uno strumento utile per elaborare e trasformare le esperienze traumatiche e riavviare i processi di sviluppo.

Lavorare con i genitori, incontrandoli lì dove è possibile farlo, per sostenerli sin dall’inizio, ci riporta ad una affermazione di Selma Fraiberg, pioniera nella ricerca e sperimentazione degli interventi precoci:


“Se qualcuno è disposto ad ascoltare le lacrime della madre quello sarà anche il momento in cui la madre sarà in grado di ascoltare il pianto del bambino” (Fraiberg et al., 1974, pag. XV).

La Fraiberg, “musa in cucina” (Fraiberg, 1969), spesso presente nelle nostre riflessioni, ci ha offerto una dimensione della ricerca coraggiosa, aperta alle novità, alla sperimentazione e con un sapore, a volte artigianale, che traspare dalle sue parole, quando differenzia due importanti momenti o qualità della ricerca: quella sul campo, e l’elaborazione dei dati, quest’ultima non sempre consueta nella clinica, ma momento essenziale per formulare ipotesi, arricchire le proprie conoscenze, lavorare per condividerle, anche se non si dispone di grandi numeri.


“Il clinico mette a posto la cucina e il ricercatore è alle prese con un computer… La ricerca che ho descritto è una specie di ricerca svolta in cucina vicino alla credenza inventando con ciò che abbiamo a disposizione… Se amiamo la scienza possiamo amarla per la sua ordinarietà, per la sua presenza quotidiana sotto forma di osservazioni, domande, indagini, è pratica quotidiana del nostro lavoro clinico” (Fraiberg, ibidem, pag. 141).


Continuando a riunirci, anche se in un nuovo spazio virtuale, date le difficoltà della pandemia, ci siamo sempre più confrontate con le tematiche degli inizi della relazione del bambino con il suo ambiente, sperimentando forme di intervento che tenessero conto del modello psicoanalitico, ma anche dell’utilizzo dello stesso in diversi contesti, ricercando e affinando gli strumenti per rispondere ai bisogni dei pazienti quando non ci sono ancora i presupposti o non si ritiene necessario avviare una psicoterapia. In questa direzione ci siamo sentite anche sostenute dalle parole di Winnicott che, come è noto, ha sperimentato nella clinica diverse forme di ‘cura’ e che ha sostenuto l’importanza dell’adattamento dello strumento analitico ai diversi contesti:


“Ci sono, comunque, molte specie di psicoterapia, e la loro applicazione dovrebbe dipendere non dalle opinioni del terapeuta, ma dalle necessità del paziente o del caso. Diciamo che, quando è possibile, noi consigliamo la psicoanalisi. Ma quando essa non è possibile o ci sono controindicazioni, allora si può escogitare una modificazione appropriata (…) qui sono soprattutto interessato al modo in cui un analista che ha completato la propria formazione può fare qualcosa di diverso dall’analisi e farlo in maniera utile” (Winnicott, 1990, pag. 101). 


Tornando alla Fraiberg, in un certo senso siamo andate “in cucina”, ma con molti attrezzi a disposizione, certe anche dell’opportunità, offerta dal gruppo, di condividere, rielaborare le esperienze cliniche e magari ritrovarci anche davanti al computer per poterle comunicare attraverso la scrittura.

Ci ha accompagnato certamente la fiducia di poter collocare la nostra ricerca all’interno di sentieri già tracciati, e percorsi in parte, soprattutto per le meno giovani del gruppo, che hanno potuto godere dell’entusiasmo e della ricchezza delle prime sperimentazioni negli anni della propria formazione di psicoterapeute.

Ci riferiamo alla coraggiosa introduzione negli anni 70-80 della psicoanalisi nelle Istituzioni, ad opera di Giovanni Bollea e di Adriano Giannotti, presso l’Istituto di Neuropsichiatria infantile di Roma. I contatti iniziati allora con la Tavistock Clinic di Londra, mediati in primo luogo da Andreas Giannakoulas, furono cruciali per poter importare in Italia, per il nostro gruppo a Roma, l’esperienza della baby observation, lo studio delle dinamiche della coppia, avviare esperienze di applicazione della psicoanalisi a contesti più allargati quali la Scuola o il Tribunale e, per avvicinarci al nostro tema, i gruppi di mamme in gravidanza, e i primi interventi pionieristici di psicoterapia congiunta madre-bambino legati ai nomi di Giuliana De Astis, Adriano Giannotti (1989), Anna Lanza (1989), Teresa Carratelli, Vincenzo Bonaminio (1991).

Certamente, nei sentieri già tracciati troviamo anche i lavori pionieristici di Lebovici (1983), della Scuola di Ginevra con Cramer e Palacio Espasa (1993), Stern (2004), dell’Anna Freud Center (Joyce, Brougton, 2016), di Norman (1999, 2001) e Salomonsson (2016). Sarebbe impossibile in questa sede citarli tutti. Vorremmo solo ricordare per l’Italia gli interessanti studi di Dina Vallino (2005, 2009) e della Ferrara Mori, (2008) con l’attenzione posta alla perinatalità, alla ‘maternità e paternità interiore’ (Mori, 2021) nell’incontro dei genitori con i bambini, e al loro trattamento terapeutico in setting congiunto.

Accanto agli approfondimenti teorici, frutto del lavoro di ricerca dei numerosi gruppi scientifici a livello nazionale e internazionale che lavorano nell’ambito della perinatalità, ci siamo dunque interessate in particolare alla genitorialità nascente e allo studio e al confronto, attraverso la clinica, tra ambienti in grado di sostenere lo sviluppo dei bambini, ed altri in cui, in forma più o meno grave, possono emergere sin dai primi incontri genitori-bambini, disfunzioni che necessitano di un intervento tempestivo e che, come nei casi che presentiamo, comportano un adattamento della tecnica.

È proprio intorno a questi temi che si articoleranno i lavori che presentiamo.

Ci auguriamo di poter alimentare il dialogo e il confronto con i colleghi che, come noi, si dedicano da anni a queste tematiche, o attivare curiosità e interesse in chi vi si avvicina per la prima volta. Vorremmo contribuire in tal modo al ricco dibattito scientifico che Richard e Piggle ha sostenuto negli anni ospitando lavori teorici e clinici che hanno trattato il nascere della relazione bambino-ambiente, l’approccio diagnostico e psicoterapeutico nel periodo 0-3 anni, la psicoterapia madre-bambino, funzionamenti e disfunzioni della coppia coniugale e genitoriale in relazione all’insorgere di sintomatologie nei bambini o negli adolescenti.

Diventare dunque genitori. Si tratta di un tema al quale negli ultimi decenni si è ritenuto importante e necessario dare sempre maggiore attenzione, sollecitati anche dai profondi cambiamenti sociali che hanno contribuito a modificare gli assetti familiari e i modelli di identificazione, forniti un tempo prevalentemente dalla tradizione e dalla trasmissione diretta nelle famiglie allargate.

Il passaggio dalla coppia coniugale a quella genitoriale implica processi psichici complessi che il più delle volte avvengono in maniera naturale ma che, in altri casi, riattivano vissuti traumatici, profondi e arcaici, ora dell’uno ora dell’altro genitore, e il riaccendersi o il manifestarsi per la prima volta di conflitti della coppia alle prese con una ridefinizione di ruoli e rivisitazioni delle identificazioni o con vissuti mai sperimentati. Intorno a questo passaggio che, prendendo in prestito una immagine di Chiara Rogora, si presenta come una ‘frontiera ‘ da oltrepassare (Rogora, 2012), la psicoanalisi si interroga sin dalle sue origini (Freud, 1905, 1914, 1917) studiando il ruolo dell’inconscio nella scelta del partner (Dick, 1967), il gioco complesso delle identificazioni primarie e secondarie, la dialettica tra scelta narcisistica e oggettuale, la qualità dei legami inconsci (Kaës, 2009), il transgenerazionale (Faimberg, 1995), trame del funzionamento di coppia sulle quali si innesta il passaggio alla genitorialità, che può essere da tali dinamiche ora favorito ora reso molto complesso e sofferto, con importanti ricadute sulla crescita dei figli.

Per alcune coppie il passaggio alla genitorialità può richiedere l’impiego di risorse psichiche maggiori e specifiche. Ad esempio, quando si trovano ad affrontare una gravidanza inattesa o problematica, o quando questa coincide con eventi traumatici nel nucleo familiare, o la nascita stessa comporta problemi di salute per la mamma o il bambino. Spesso i vissuti della coppia sono più complessi e articolati quando il concepimento è stato atteso a lungo, oppure è stato supportato dall’intervento di specialisti per una fecondazione medicalmente assistita che ha portato a gravidanze plurigemellari, legate spesso a nascite premature.

Frustrazione e colpa relative alla difficoltà a concepire in modo naturale, o le lunghe cure e fatiche cui si sottopone la futura mamma, o le trasformazioni della sessualità della coppia la cui intimità viene intrusa dalle pratiche mediche, necessitano di tempo e a volte di sostegno psicologico per essere trasformate ed elaborate, e per permettere un incontro con il bambino reale sufficientemente sgombro da tali vissuti. (Marion, 2017; Sparano, 2018; Candelori et al., 2013).

Un’attenzione particolare va data alle molte coppie che hanno affrontato il diventare genitori durante la pandemia, evento unico e sconosciuto che ha richiesto un forte adattamento delle famiglie allo stato di isolamento imposto, sia nella vita privata, sia nelle procedure sanitarie.

Se, da un lato, molte donne hanno dovuto affrontare il parto in situazioni di isolamento, dall’altro, con il rientro a casa nei giorni successivi alla nascita, i neogenitori si sono ritrovati più uniti nel loro nucleo, con un maggiore coinvolgimento dei padri, ma privi della presenza della famiglia allargata, o della rete amicale, con le note funzioni di io ausiliario e di supporto nei processi di identificazione genitoriali. Ansie fisiologiche per la salute dei bambini o relative all’impatto con figure esterne al nucleo, o le stesse pratiche igieniche hanno risentito certamente del clima di pericolo e incertezza che ha caratterizzato soprattutto gli inizi della pandemia.

Tante sono le osservazioni e i dati clinici che osservatori e psicoterapeuti stanno raccogliendo per formulare le prime ipotesi sulla ricaduta di tale evento sulle relazioni primarie del bambino con il suo ambiente e sui processi di sviluppo1. Anche il confronto sulle modificazioni della tecnica ha trovato di recente ampi spazi di discussione in convegni e giornate di confronto scientifico.

Alcuni di questi temi, che qui possono solo essere accennati, come si vedrà appaiono nei lavori clinici ora come sfondo, ora incidendo in maniera più forte sul tipo di intervento, sulla tecnica e sui contenuti da trattare.

Abbiamo pensato che il tema della nascita e del sostegno alla genitorialità potesse essere affrontato proponendo quattro diverse situazioni cliniche sulle quali ci siamo potute confrontare. Vorremmo porre l’attenzione, attraverso i contributi delle colleghe, autrici dei lavori che seguono, sugli “inizi” della costituzione della nuova identità di genitori, sui primi momenti degli incontri con i loro bambini e su alcune possibilità di osservare e intervenire terapeuticamente su tali ‘inizi’. Faremo dunque riferimento a quadri familiari diversi ma anche a diverse tipologie di sguardi.

Le presentazioni hanno un taglio prettamente clinico, con il quale si intende offrire ai lettori la possibilità di entrare nel vivo del nostro lavoro, di coglierne le diverse sfaccettature senza saturare gli spazi di elaborazione. Il nostro gruppo si è costituito come luogo di condivisione dell’esperienza delle singole psicoterapeute con le quali abbiamo discusso le difficoltà cliniche e tecniche, condiviso le scelte offrendo anche un contributo critico e un supporto nella gestione di vissuti controtransferali intensi, e nella elaborazione attraverso la scrittura.

Proponiamo, per prima, una situazione più naturale, per entrare, con il secondo articolo, in un quadro familiare con alcune possibili evoluzioni problematiche e, con il terzo lavoro, in un contesto in cui il rischio psicopatologico ci è apparso più elevato. L’ultimo caso riguarda una situazione molto particolare di sostegno ad una coppia nella elaborazione di un gravissimo lutto.

Margherita Rossi offre con il suo lavoro la possibilità di osservare il buon funzionamento della relazione di una bambina col suo ambiente primario, che si mostra pertanto in grado di sostenerne i processi di crescita e di sviluppo. Vengono presentati alcuni passaggi molto significativi, tratti dall’esperienza di baby observation, cogliendo e commentando, con molta attenzione e sensibilità, alcuni momenti della crescita della bambina e l’articolarsi della relazione con l’ambiente: l’allattamento, le modulazioni dei ritmi, il sonno, il primo affacciarsi del padre, e accenni alla triangolazione edipica. 

Emanuela Manfredi e Chiara Marzullo propongono, a partire da due ‘sguardi’ diversi ma con legame di continuità, una situazione che si è presentata con alcune criticità per una donna in gravidanza, e per il successivo costituirsi della relazione con la sua bambina. Il lavoro delle colleghe rinforza la convinzione del valore di un intervento tempestivo a sostegno della futura madre. La mamma in questione, incoraggiata da una collega del gruppo che lavora in un reparto di maternità, chiede aiuto al settimo mese di gravidanza ad Emanuela Manfredi, che l’accompagna con delicatezza in questa fase, adattandosi alle limitazioni del periodo della pandemia e alle difficoltà specifiche della donna a stabilire una relazione terapeutica più continuativa. A ridosso del parto, la terapeuta propone alla mamma, che aveva già espresso la sua difficoltà a proseguire un proprio percorso terapeutico, un’esperienza di baby observation. Il pensiero non esplicitato alla neomamma, ma condiviso nel gruppo, era quello che uno sguardo attento, discreto e costante dell’osservatrice avrebbe potuto rinforzare la nuova identità materna e attivare anche un investimento maggiore sulla relazione con la bambina. La proposta verrà accettata e, come ci mostrerà l’osservatrice, Chiara Marzullo, avrà un avvio e un’articolazione con interessanti evoluzioni.

La dottoressa Marzullo ha condotto la sua osservazione secondo le modalità consuete del percorso di formazione come psicoterapeuta, discutendo dunque il suo materiale nel gruppo di allievi con il supervisore. Non ha avuto, dunque, ad inizio esperienza indicazioni dettagliate sull’ambiente che avrebbe incontrato. Questo le ha permesso di non alterare la sua esperienza. Solo alla sua conclusione abbiamo discusso e condiviso nel gruppo le sue riflessioni, e riflettuto sul materiale osservativo raccordandolo con il lavoro della collega Manfredi.

Nel materiale clinico di quest’ultima è possibile cogliere da un lato lo sforzo e la necessità di adattamento ad un setting non convenzionale, e dall’altro la tenuta e l’apporto che lo strumento psicoanalitico offre alla paziente permettendole di iniziare a contattare i propri vissuti traumatici inconsci legati alla dimensione del ‘materno’ con interessanti rimandi al transgenerazionale.

L’esperienza di baby observation ci permette di seguire la mamma e la bambina nel loro incontro, inizialmente incerto, e con molte altre figure presenti, che rievocano i ‘rumori’ tra i quali si è mossa la collega Manfredi, e che attivano la ricerca di un’attenzione specifica e focalizzata dell’osservatrice sulla bambina, sollecitando inoltre riflessioni sull’andamento della relazione madre-bambina, sugli elementi di continuità e discontinuità, sul supporto fornito dal padre e sul contributo attivo della bambina nel costruire la relazione con l’ambiente.

Con Claudia Fiore ci inoltriamo in una situazione complessa, carica di intense ripercussioni emotive, in cui la terapeuta si inserisce per sostenere una mamma a stabilire una migliore relazione con il figlio, a rischio di evoluzione psicopatologica. Il bambino, di 11 mesi, presenta dondolamenti, comportamenti evitanti ed autolesionistici, angosce di separazione, scoppi di pianto. Come si vedrà, la terapeuta ha dovuto adattare la propria tecnica di intervento di home visiting ad una situazione molto particolare per quello che riguarda i vissuti materni, le angosce di contaminazione e di morte, e gli aspetti persecutori che rendevano difficile accogliere una figura estranea. Un intervento difficile anche per la sovrapposizione dei vissuti materni con la pandemia, situazione in cui timore del contagio e pericolo erano naturalmente molto amplificati. Il lavoro della collega ci ha permesso di cogliere sul nascere alcune distorsioni della relazione del bambino col suo ambiente primario ed individuare i punti critici sui quali era necessario intervenire per attivare una funzione di supporto alla relazione che consentisse di ridurre i rischi di evoluzione verso un quadro più marcatamente patologico. La terapeuta, come si vedrà, è entrata “in punta di piedi” nella famiglia, rispettando i diversi limiti reali e psichici imposti dalla madre alla relazione e anche alla dinamica di coppia, ma facendo leva sui punti di forza e sulle risorse psichiche della mamma e del bambino, per attivare una loro relazione più vitale.

Nel lavoro di Chiara Giarrizzo il tema dell’elaborazione del lutto si propone in maniera drammatica. Alla coppia di genitori viene offerto tempestivamente il sostegno terapeutico e la possibilità di condividere ed elaborare, secondo i tempi necessari e con la delicatezza e sensibilità della terapeuta, i propri vissuti al limite dell’impensabile, legati alla drammatica esperienza della morte in utero, poco prima del parto, della loro terza figlia. 

Ci teniamo molto a sottolineare come gli interventi precoci, oggetto del lavoro, siano stati possibili grazie ad uno sguardo attento e sensibile delle colleghe o di altre figure professionali, come il pediatra, che sono state a fianco dei genitori durante la gravidanza, la nascita o nei giorni immediatamente successivi.

I luoghi della nascita, ed anche del ‘prima della nascita’, sono quelli in cui lo sguardo del medico, o degli operatori sanitari o dello psicoterapeuta, possono cogliere ‘sul nascere’, appunto, i primi segnali di disagio o i fattori di rischio di insorgenza di psicopatologie nei genitori o nei bambini (De Curtis, Gangi, 2021; De Rosa, 2009).

Non si tratta solo di alzare i livelli di attenzione in situazioni marcatamente a rischio, come nel caso delle nascite premature, ma anche di saper cogliere punti di fragilità o di sofferenza, durante la gravidanza o subito dopo il parto, che necessitano di un intervento modulato sulle singole situazioni, come è accaduto nei casi presentati.

Proprio questo attento lavoro di intercettazione del disagio nei luoghi della nascita, l’affinare gli strumenti percettivi e osservativi del personale medico e non medico e il supporto alla motivazione della coppia a richiedere aiuto, avendo da subito la possibilità di sperimentare una buona relazione di cura, è l’oggetto dello scritto di Sarah Gangi che propone un vertice d’osservazione privilegiato, come psicologa nella terapia intensiva neonatale di un importante ospedale, e che ci ricollega al contributo presentato su questo tema, nel nostro precedente focus, dalla collega Ausilia Sparano (Sparano 2018).

Una riflessione ancora sulla baby observation, parte fondante della formazione degli psicoterapeuti dell’età evolutiva con orientamento psicoanalitico. L’osservazione diretta partecipe, così come è stata introdotta da Ester Bick negli anni ’60 (Bick, 1964), costituisce uno strumento di base dei futuri psicoterapeuti che si sviluppa e si applica, nel corso della formazione, nel contesto diagnostico e psicoterapeutico, articolandosi e declinandosi naturalmente con la dimensione della cura.

Osservare le famiglie in un momento così delicato come la nascita di un bambino, e poterne seguire lo sviluppo per uno o due anni, è un’esperienza unica per chi dovrà occuparsi della psicoterapia dei bambini e dei genitori.

Gratitudine è ciò che gli osservatori devono esprimere alle famiglie che generosamente permettono loro di entrare nelle loro case.

Ci chiediamo spesso se la baby observation possa costituire anche per i neogenitori un’esperienza arricchente.

Potremmo dire che abbiamo constatato in diverse situazioni come la presenza discreta, non intrusiva, attenta e partecipe emotivamente, regolata da tempi definiti, garanti della continuità, possa svolgere un’importante funzione di contenimento, di rispecchiamento e rinforzo della nuova identità genitoriale, soprattutto per le coppie che muovono i primi passi in questa nuova dimensione con una dose di maggiore incertezza.

Ci auguriamo che i nostri diversi sguardi possano sostenerne altri sempre più frequenti e articolati. Vorremmo concludere con le parole di Andreas Giannakoulas – del quale molte di noi sono state allieve e che ricordiamo con gratitudine – a proposito della “funzione critica della psicoanalisi ai campi della cultura e della società” rintracciata nel pensiero freudiano:


“… lo scopo della psicoanalisi non è quello di fornire risposte ma di aprire – o riaprire – domande, ricordandoci che le risposte sono vane se non manteniamo il desiderio di conoscere ciò che ha fatto emergere la domanda” (Giannakoulas, 2022, pag. 214. In: Cannas, De Simone, Neri Bertolini).

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Giuliana Bruno

Psicoterapeuta, Membro Ordinario SIPsIA

Docente Supervisore Corso ASNE-SIPsIA


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Via Val D’Ala, 18

00141 Roma

E-mail: bruno.giuliana@tiscali.it


1Bruno G, De Vita F, Sangiorgi S, Schiappa C (2021). Dietro la mascherina dentro lo schermo. Riflessioni sulla baby observation durante la pandemia. Riv. on line Thalassa, Vol 6.1.2021.