Recensioni

Sandler PC, Fatti. La psicoanalisi e la tragedia della conoscenza. Introduzione di Luca Trabucco. Roma: Alpes Italia, 2022. Pagine 180. Euro 18,00.


La pubblicazione tardiva di Fatti, con sottotitolo La psicoanalisi e la tragedia della conoscenza, di Paulo Cesar Sandler, già pubblicato in Brasile nel 1990, sta avendo fra i lettori psicoanalisti un effetto dirompente e allo stesso tempo corrosivo. Dirompente perché Sandler risulta essere molto fedele all’opera di Bion: una scrittura a margine del pensiero del grande analista in cui puntualizza passaggi che spesso una lettura fugace ha superficialmente interpretato. Corrosiva perché punta a liquefare quelle sovrastrutture psico-ideologiche che tendono a falsificare il ruolo dell’analista, che da un po’ di tempo si cimenta con “una psicoanalisi ferma, irreale, sempre già conosciuta, abituata a basarsi estaticamente su una conoscenza previamente stabilita” (pag. 3), conseguenza di una discussione sui malintesi generati da una lettura poco approfondita dei testi di Freud e della Klein, focalizzandosi per il primo sulla diade piacere/dispiacere, spesso semplificato in “principio di piacere”; mentre per la Klein sollecita a riflettere sulla diade “invidia e gratitudine” dove magicamente scompare il secondo termine costruendo riduttivamente una “teoria dell’invidia”.

Ma chi è Sandler per permettersi tutto questo? La frequentazione del padre con Bion, durante i Seminari brasiliani, gli ha consentito di stringere una personale amicizia con Parthenope e Francesca Bion, e di conseguenza un accesso alla biblioteca di Bion, scoprendo i suoi gusti letterari e filosofici, studiando


con attenzione le note e gli appunti che questi aveva annotato nel percorso di evoluzione del suo pensiero. La profonda conoscenza di Bion gli ha permesso quindi di tradurre in portoghese e con puntualità molte sue opere, e per Karnac The language of Bion, pietra angolare per lo studio del suo pensiero e la modalità di espansione, generando una “certa distanza” dai “neo-bioniani” che ne stravolgono i presupposti epistemologici. Questa prima opera tradotta in italiano rappresenta quasi un’introduzione di un articolato lavoro tuttora in progress che presto sarà divulgato anche in italiano. Ci tiene a precisare, Sandler, che non si fa portatore di nuove teorie, ma offre una profonda e fondamentale rivisitazione e un ripensamento dei concetti basilari freudiani e kleiniani della psicoanalisi, partendo dall’ipotesi che la psicoanalisi affondi le proprie origini nel riconoscimento della necessità di conoscere. Processo che per sua natura dovrebbe portare alla verità, e a partire dalla verità, concetto, a parer mio che spesso si sfiora, ma non si afferra.

Da questo testo traspare un insegnamento fondamentale: lo psicoanalista non deve essere saturo “di tutto lo scibile psicoanalitico”, ma necessita di poche, fondamentali linee di orientamento per svolgere il suo operato, e Sandler sembra di conseguenza quasi provocatorio quando si riferisce alla PS vissuta “come un nemico che deve essere espulso” o debitamente addomesticato “come il produttore delle più accurate interpretazioni” (pag. 14), come non da meno l’uso del controtransfert, a cui spesso l’analista fideisticamente si sottomette, ma che può creare una disparità fra analista e analizzato al limite del delirio. E questo forse spiega il significato del sottotitolo: la tragedia della conoscenza. Il conoscere, inoltre, non è un’esperienza “intellettuale” ma è un’esperienza emozionale, da cui la tragedia, per cui necessita un “apparato per sentire i sentimenti”. In un certo qual modo mette utilmente in guardia sul fatto che oltre alla “funzione a” esiste anche una “funzione anti-a” che non induce una trasformazione da b ad a, ma porta a pensieri derivati solo da soggettive sensazioni (“sensare”, pag. 32) dell’analista che generano una falsa qualità di verità assoluta. Pertanto la funzione anti-a viene definita come la responsabile di una psicoanalisi preconcetta, “saccente, con spiegazioni preconfezionate, razionalizzazioni, istituzioni concrete e verità” che si sono incarnate in interi rami dell’establishment psicoanalitico (pag. 60). 

Il modello cartesiano tridimensionale, di spazio/tempo, permette al ricercatore di collocare oggetti nello spazio e nel tempo, e finisce per guadagnare una popolarità quasi istantanea. Il modello cartesiano ha finito per essere considerato come un fatto – e non come un modello – (pag. 60). Può, quindi, essere inteso come una radicalizzazione della scissione, per cui realtà materiale e realtà psichica non vengono interpretate come i due lati della stessa medaglia, ma come due entità separate.

Se questo libro sarà un punto fondamentale della formazione dello psicoanalista si deve ringraziare Luca Trabucco, che con grande chiarezza ne ha curato la traduzione e l’introduzione. Un grazie per aver avuto la capacità di intuire il significato dell’opera di questo grande e moderno pensatore e di trasmettercelo. 

Marcello F. Turno


Neri C, Il gruppo come cura. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2021. Pagine 240. Euro 22,80.


Claudio Neri, nell’introduzione al libro, comunica al lettore l’intento principale del testo: trasmettere il metodo di lavoro con i gruppi, frutto di tanti anni di studio ed esperienza clinica. L’autore approfondisce due modi per raccontare la terapia di gruppo, uno concettuale e teorico e l’altro clinico esperenziale, e ci si addentra nella lettura accompagnati dal clima emotivo e unico delle sedute di gruppo. L’accento è posto sui fattori terapeutici, a partire dai colloqui individuali preliminari che rappresentano un punto importante nella valutazione della persona che si predispone al lavoro in un gruppo. Il libro affronta in particolare il tema di come si realizza il processo di cura nell’analisi di gruppo entrando nel vivo delle sedute e delle teorie che ne accompagnano il processo terapeutico. 

Inizialmente l’autore presenta i protagonisti del testo, le singole persone, il gruppo, lo psicoanalista. È molto accurata la descrizione dei colloqui iniziali, fondamentali per comprendere se il soggetto possa giovarsi di una terapia di gruppo rispetto ad una psicoterapia individuale e quali possano essere i tempi più consoni per l’ingresso nel gruppo. Il percorso di valutazione deve tenere conto, infatti, di un terzo, il gruppo stesso, dove la persona dovrà inserirsi, quindi i suoi problemi, la sua sofferenza, ma anche gli apporti che potrà dare e lo stato del gruppo nel quale dovrà entrare il paziente. Vengono valutati in questa fase non soltanto gli elementi di patologia, ma anche quelli di possibile sviluppo quali l’autenticità, la disponibilità a farsi aiutare, la sincerità. Nel caso presentato della paziente Gianna, l’analista riterrà indicato proporre prima un trattamento individuale e poi un successivo ingresso nel gruppo. Tale scelta viene spiegata in modo puntuale ed evidenzia l’importanza della valutazione iniziale che approfondisce le caratteristiche che possono essere indicative per un percorso di cura nel gruppo, ma anche eventuali aspetti che potrebbero ostacolarne inizialmente il processo. Chi è dunque il paziente possibile, e chi il candidato “ideale”? L’autore ci parla, tratteggiando un profilo del candidato ideale, di alcune caratteristiche quali la capacità di suscitare simpatia, l’interesse e la disponibilità a farsi aiutare, la sincerità. Inoltre, un paziente ideale per l’analisi di gruppo è anche, secondo l’autore, una persona che non è stata abbastanza supportata durante la sua infanzia dalle figure genitoriali, per poter accedere alla socialità con i coetanei. Il gruppo infatti “non è soltanto una relazione, ma un mondo” (pag. 21). Le caratteristiche del paziente ideale non sempre sono riunite in un’unica persona, ma costituiscono una traccia sulla quale poi l’analista incontrerà il paziente possibile, una persona reale che chiede aiuto per affrontare la sua sofferenza e riattivare il proprio “progetto vitale”. Questo concetto secondo Kohut è una tendenza evolutiva originaria che può riattivarsi all’interno di un’esperienza terapeutica adeguata e corrisponde soprattutto ad uno sguardo verso il futuro, ad un percorso interiore attraverso cui la persona sarà in grado di costituire un proprio modo di essere autentico che lo possa guidare nella vita. Claudio Neri aggiunge ciò che ha approfondito in base all’esperienza clinica, e cioè che la realizzazione del progetto vitale in una persona non è mai raggiunta, ma è un processo verso il quale si tende attraverso la riparazione di danni evolutivi precedenti, avvenuti nel percorso di strutturazione del Sé. La progressiva ripresa del progetto vitale e della tendenza evolutiva originaria avviene con gradualità all’interno del lavoro analitico con il gruppo. In particolare prevede che l’individuo possa raggiungere un certo grado di autonomia rispetto al gruppo e all’analista. Riguarda un nucleo della persona che poi diventa fondante e attraversa diversi passaggi. Claudio Neri mostra come l’analista debba essere vicino a ciò che accade nel gruppo, debba cercare di cogliere i sentimenti, le aspettative all’interno del gruppo, lasciando spazio ai singoli partecipanti. L’autenticità nelle comunicazioni richiede di essere sì spontanei, ma di tenere conto dell’effetto che le proprie parole hanno sull’altro, una sorta di responsabilità.

Nel gruppo un fattore centrale è la “buona socialità”, che rappresenta una delle variabili di cura. La buona socialità è un concetto importante, risultato di una serie di complesse operazioni svolte anche dall’analista, che può favorire il gruppo nello svolgere un’esperienza di trasformazione, di modulazione degli eccessi e anche riuscire a sostenere nuovi aspetti del singolo all’interno del gruppo, riavviando un progetto individuale interrotto. Partecipando alla buona socialità nel percorso terapeutico i membri la introiettano, e possono far esperienza di una certa sincerità, una buona disponibilità, un lasciare spazio alle differenze. Il concetto di buona socialità soddisfa dei bisogni, il riconoscimento dei partecipanti nelle proprie individualità e caratteristiche affettive. Nel caso della paziente Gianna il gruppo ne sostiene il cambiamento e promuove delle modifiche nelle sue relazioni. Il gruppo sollecita degli aspetti che a volte non emergono nella relazione terapeutica duale, e crea e produce, nel progressivo svolgimento delle sedute, un contesto di trasformazione e di condivisione. “Una prima forma di condivisione consiste semplicemente nel fatto di ascoltare e venire ascoltati con grande attenzione. Ciò che dice ogni singolo individuo durante una seduta di analisi di gruppo non passa mai inosservato” (pag. 123). Questo libro, con le sue vivide descrizioni, permette di entrare nel vivo dell’esperienza di gruppo, e di seguirne il percorso di trasformazione. Il terapeuta si posiziona in modo relazionale rispetto al gruppo, ma osserva anche la relazione tra se stesso e il gruppo. Si percepisce nelle pagine la presenza attenta dell’analista in un clima autentico e spontaneo, ma sempre puntuale e rispettoso dell’impatto che ogni parola ha sui partecipanti. Elementi centrali sono anche la fiducia nel setting, nelle persone, nello strumento psicoanalitico e nella possibilità di cambiamento. I molteplici vissuti all’interno del gruppo connessi a sentimenti angosciosi possono trovare significato e alleggerire il sentimento di vulnerabilità del singolo all’interno del gruppo. 

Il libro si compone di sequenze cliniche e chiari concetti teorici, è consigliato agli specialisti addetti ai lavori, ma anche a tutti coloro che vivono l’esperienza con i gruppi come operatori, insegnanti, équipe di comunità, aiuta a capire cosa significa lavorare in gruppo e rappresenta anche una riflessione su come avviene la cura della persona nel gruppo. In questo periodo storico in cui abbiamo rinunciato, molto a lungo, a causa della pandemia, al piacere di essere in gruppo, il testo riporta e conduce alla prospettiva dell’utilità di esso e quindi alla grande ricchezza che rappresenta.

Per concludere, vorrei riportare le parole di Claudio Neri che mostrano quanto il gruppo stesso restituisca in termini di vitalità alla persona dell’analista e ai componenti: “Il gruppo per me, come per gli altri partecipanti, è stato ancora una volta un valido rimedio al lasciarmi prendere dalla passività e dall’isolamento” (pag. 205).

Margherita Iezzi


Cresti L, Lapi I (a cura di), La psicoterapia psicoanalitica tra identità e cambiamento. Milano: Franco Angeli, 2022. Pagine 186. Euro 25,00.


Questo libro è curato da due esperte di infant observation, docenti con funzioni di training della scuola di psicoterapia della Associazione Fiorentina di Psicoterapia Psicoanalitica, redattrici della rivista Contrappunto, Luigia Cresti e Isabella Lapi. L’intento delle curatrici è generoso: divulgare la ricerca psicoanalitica che conducono fin dagli anni ‘80 e che negli ultimi anni ha trovato un contenitore nel gruppo di studio “Il tavolo dei pensieri”.

Il testo offre doni preziosi ai lettori: per gli studenti è un manuale approfondito, per i professionisti un excursus storico nella prospettiva attuale del difficile e denso periodo che stiamo attraversando. Come afferma nella Prefazione Manuela Trinci, è un libro sensoriale, che amplia il pensiero, coinvolgendo tutti e cinque i sensi. Gli autori invitano le menti psicoanalitiche ad avvicinarsi tra loro, a non smettere di interrogarsi e ad aprirsi alla ricerca. 

Sin dalla Presentazione, curata da Rosa Romano Toscani, si percepisce uno dei temi cardine dell’opera: documentare il lungo e travagliato percorso storico che ha portato oggi a ridimensionare le differenze tra psicoanalisi e psicoterapia psicoanalitica. A partire dall’osservazione delle criticità della nostra epoca, evidenziate da Luigia Cresti e Antonio Suman, e dai cambiamenti dei funzionamenti psichici, descritti in modo approfondito da Corrado D’Agostini, si descrivono funzioni terapeutiche diverse rispetto ai classici strumenti interpretativi, che “danno valore all’unicità e all’autenticità della relazione che si sviluppa tra il terapeuta e il paziente; essa sarà ogni volta diversa, ogni volta insegnerà qualcosa a entrambi i partner; sarà sempre un viaggio differente tra incertezze e dolore, tra scoperte nuove e fiducia” (pag. 26). Pur mantenendo forti i riferimenti agli strumenti psicoanalitici, emerge uno psicoterapeuta in grado di mantenere un setting interno stabile anche in situazioni complesse: “autentico, aperto, capace di stare sempre in contatto con il paziente, malleabile e al contempo rigoroso nel riflettere continuamente sulla tecnica e sulla clinica” (pag. 24).

Da più prospettive gli autori evidenziano la funzione contenitiva della psicoterapia psicoanalitica che, come l’handling e l’holding materno, transita attraverso il corpo: forse con l’assenza, comunque con una presenza non consueta dei corpi durante la pandemia, si è fatta vera ex-perientia dell’importanza dei cinque sensi in terapia.

Luigia Cresti conduce il lettore a comprendere il concetto di “enveloppe”, inserendolo in un quadro storico; lo studio dell’“involucro” richiama la pelle come organo metafora del contatto e della separazione tra mondo interno ed esterno, ma è anche indicativo delle precoci modalità di trasformazione dei vissuti corporei primitivi. Evidenziare questo tema contribuisce alla ricerca moderna che indaga, a cavallo tra psicoanalisi e neuroscienze, come la sensorialità influisca in modo sostanziale nello sviluppo dell’individuo e, in gradi diversi, nella psicopatologia. L’accento viene posto in particolare sui disturbi borderline, ma stimola riflessioni anche nel campo della psicopatologia dell’età evolutiva, dell’autismo, dei disturbi della regolazione delle emozioni. Preziosi e toccanti sono i casi clinici descritti (con i contributi di Esmeralda Di Mauro e di Giulia Mercuriali) che entrano sempre più nello specifico della tecnica e della clinica, senza mai tralasciare la teoria.

Isabella Lapi, descrivendo il pensiero degli psicoanalisti moderni e concetti come l’enactment, la teoria del campo analitico, l’azione interpretativa, il flusso interpsichico, l’inconscio non rimosso, accompagna il lettore a scoprire come il corpo e il gesto, che un tempo erano visti come un ostacolo alla psicoanalisi, divengano oggi risorsa preziosa nella psicoterapia, tenendo al centro l’evolversi della relazione dinamica tra terapeuta e paziente. Citando autori pionieri come Dina Vallino, emerge quanto sia superata l’immagine dello psicoterapeuta psicoanalitico esclusivamente chiuso nella propria stanza: in particolare nel campo dell’infanzia e dell’adolescenza trapela l’efficacia del lavoro di rete che finalmente è oggi considerato importante e si esplica attraverso il superamento dei propri bisogni narcisistici e la valorizzazione del dialogo con le persone che gravitano intorno al bambino: la famiglia, la scuola, eventuali sanitari.

Il valore del sogno è al centro del capitolo di Alfredina Fiori e Cristina Pratesi: narrando la storia dei percorsi psicoterapeutici di Adriana e Marzia, descrivono il lento disgelo delle loro emozioni, il ridimensionamento dei bisogni narcisistici legati a dolorose storie infantili, fino alla nascita del sognare che si apre all’espressione creativa.

La questione della creatività (e quindi dell’arte) nella psicoterapia è ripresa e approfondita da Cristina Diana Canzio: essa nasce da una spinta interna, non dipende dalle aspettative esterne e può essere considerata un indicatore della qualità della vita e della relazione terapeutica. Il toccante caso clinico descritto e corredato dalle produzioni artistiche della paziente, testimonia la funzione-ponte attraverso la quale si trasformano vissuti non pensabili in dolore esprimibile attraverso la raffigurazione pittorica che, nello scorrere della terapia, si affievolisce e si trasforma.

Profondo è il capitolo di Stefania Pampaloni, complesso non tanto per i riferimenti alla relazione e all’integrazione mente-corpo, che si ispirano alle consapevolezze della psicologia e della medicina orientale, ma per il tema dell’autoanalisi che l’autrice affronta generosamente: mette in gioco il proprio modo di lavorare, di essere-con i pazienti, e perfino la propria mente attraverso il sogno, per aiutarci a riflettere su temi a cui la psicoanalisi moderna sta finalmente dedicando spazio e tempo. 

Antonio Suman, nella parte conclusiva del libro, descrive con accuratezza il proprio modo di accompagnare all’uscita i pazienti a fine seduta, come rileggere le loro narrazioni e come mantenere viva, attraverso la scrittura, la risonanza emotiva della seduta appena conclusa. Insieme a Cresti, Lapi e Pratesi dedica una parte dei suoi scritti a riflessioni sulla tecnica di insegnamento e sulla supervisione. Basandosi su un approccio maieutico, i didatti danno valore all’osservazione partecipe, alla partecipazione empatica e all’ascolto della narrazione dei giovani colleghi in formazione che, nel corso dell’esperienza, diventano capaci di usare l’empatia sia con il paziente che con altri interlocutori. Come spesso i nostri pazienti dicono di noi terapeuti (nel libro ciò è descritto e argomentato approfonditamente), dei supervisori restano talora in mente aspetti che esulano dal contenuto delle parole: li abbiamo fatti entrare nelle nostre movenze, nella postura, oltre che nelle nostre menti a lavoro. Penso in particolare a Gina Ferrara Mori che, insieme a Franco Mori, nel libro si affaccia in più occasioni: insieme hanno condotto per molti anni a Firenze gruppi di lavoro e di ricerca prolifici di pensieri.

Il filosofo Matteo Galletti, nell’appendice, puntualizza il profondo valore etico e morale del libro, che nasce in un periodo storico da non dimenticare. Il capitolo è una sorta di “sguardo laterale”, che stimola il lettore a soffermarsi su temi come la scelta, la responsabilità personale, i concetti di autodeterminazione relazionale e connessione.

Per concludere, questo libro è entrato nella mia stanza di terapia e mi ha beneficamente influenzato nel lavoro con i pazienti: una sorta di risonanza stimolante pensiero e azione. Il libro, pur essendo prodigo di riferimenti teorici e di preziosi esempi clinici, non definisce e non satura, ma piuttosto dona ossigeno al lettore che tiene accesa la fiamma del pensiero, della riflessione, dell’ascolto interno durante lo scorrere delle pagine.


*Rubrica a cura di C. Candelori (coordinatrice) e C. Trumello.

Carla Italiano