Segnalazioni bibliografiche

Premessa introduttiva

In un momento storico in cui i bambini sono sempre più frequentemente esposti ad eventi tanto forti da non poter essere significati, il nostro pensiero di clinici continua ad essere intensamente sollecitato dal tema complesso del trauma infantile e del suo impatto sulla vita adulta, azione continua e serpeggiante di un dolore conservato nel tempo che gli studi in letteratura evidenziano come sempre più profonda e pericolosa anche per lo sviluppo di patologie organiche e non solo di natura più chiaramente psichica. In questo numero ne parleremo attraverso due ottiche molto differenti tra loro, che forniscono interessanti ed articolati spunti di riflessione su un argomento antico e nel contempo sempre più attuale e mai saturo di argomentazioni. Da una parte il lavoro di Marans analizza a fondo gli effetti a lungo termine del trauma infantile, cercando e proponendo ipotesi teoriche, collaborazioni tra istituzioni, attivazione di progetti e traiettorie di intervento terapeutico per minimizzare la tossicità del trauma nel corso dello sviluppo della personalità infantile. All’esperienza terrificante dell’incubo è necessario che si contrapponga la dimensione del risveglio, della luce, come sollievo dalla continuità della paura, ma anche come incontro con una realtà protettiva, le braccia di una madre, e portatrice del contatto con un reale che salvaguarda, altrimenti il trauma precoce della violenza subita o assistita si trasforma in un incubo senza ristoro in un tempo che non finisce, in cui il confine tra mondo interno e mondo esterno si fa introvabile, generando confusione, incremento della paura e adattamenti patologici. Così l’Autore propone un viaggio tra progetti di salvaguardia per queste giovani vite, in cui la psicoanalisi esce dalle sue stanze per attivare corsi di formazione alle forze dell’ordine, costruire collaborazione tra agenti, giudici, genitori, clinici, perché si possa offrire ad un bambino precocemente traumatizzato una possibilità trasformativa per la sua vita da adulto.

Dall’altro lato il complesso lavoro di Steele e colleghi che, attraverso l’ottica della teoria dell’attaccamento, propone un articolato lavoro di ricerca nell’ambito dell’adozione di bambini con storie traumatiche e violente, ma anche con esperienze dolorose di affidamenti fallimentari, esaminando la natura e lo sviluppo delle rappresentazioni mentali sia dei genitori adottivi che dei figli. Tra gli aspetti di notevole rilievo osservati ed indagati, emerge come a distanza di due anni dall’inizio dello studio i bambini traumatizzati hanno mostrato un aumento dei temi di attaccamento sicuro rispetto alla valutazione iniziale. Dato che dimostra come il legame intergenerazionale tra genitori non biologici e bambini sia particolarmente importante quando correlato con esperienze traumatiche pregresse ed età più avanzata al momento dell’adozione. Tra gli altri analizzati, questo si pone come elemento di rilievo per una stretta collaborazione tra attività di ricerca e attività clinica, in quanto le osservazioni sulla diade genitore-bambino offrono preziosi suggerimenti per il lavoro più squisitamente clinico.

Flora Gigli

Marans S (2023).

Understanding and Responding Early to Childhood Trauma.

International Journal of Psychoanalysis, 104, 3, 567-573.

Nell’arco della sua attività clinica di analista e supervisore, lo psicoanalista statunitense Steven Marans si è molto interessato alla comprensione dell’impatto traumatico di “fattori tossici esterni” nella vita dei bambini, cercando di studiare il tipo di aiuto terapeutico in grado di diminuire il dolore immediato causato dal trauma e gli effetti a lungo termine dell’esperienza traumatica nel corso dello sviluppo della personalità di bambini vittime o testimoni di violenza o eventi catastrofici.

L’A. constata che molti di questi bambini e le loro famiglie non arrivano mai nelle nostre stanze d’analisi, e in questo articolo descrive alcune collaborazioni istituite negli ultimi trent’anni fra psicoanalisti e professionisti di altri settori per aiutare i piccoli al confronto con tali situazioni drammatiche.

L’idea di base che ha spinto a fondare queste collaborazioni è che alcuni aspetti del metodo analitico possono essere utilizzati al di fuori della stanza d’analisi: l’osservazione e l’approfondimento dei fenomeni traumatici offre una comprensione specifica utile per creare strategie e approcci terapeutici integrati e scongiurare che il trauma si innesti nello sviluppo, orientandolo.

Un altro punto cruciale è che queste collaborazioni sono nate e si sono costituite attraverso un dialogo fra le diverse prospettive, attraverso l’ascolto e l’osservazione specifica del punto di vista delle diverse figure professionali. “Abbiamo trovato un linguaggio comune per articolare le osservazioni condivise, per poi tradurre le nostre scoperte in nuovi approcci e fronteggiare le difficoltà con cui si confrontano i bambini e le famiglie traumatizzate”.

Il YCTSR (Yale Center for Traumatic Stress and Recovery) ha trattato migliaia di bambini negli ultimi trent’anni e collabora con giustizia, servizi sociali, valutatori forensi di abusi infantili, pronto soccorso pediatrico, avvocati che si occupano specificamente di violenza domestica e agenzie federali. Si è occupato di omicidi, omicidi-suicidi, violenza domestica, abusi sessuali, abusi fisici, incidenti automobilistici, eventi di massa casuali come le sparatorie nelle scuole (Newtown, CT, Uvalde, TX), gli attacchi terroristici dell’11 settembre in USA e le catastrofi naturali.

Il tipo di lavoro svolto comincia con l’emergenza, seguono dei follow-up nei tre mesi successivi all’evento e, se occorre, si propone un intervento clinico di lunga durata.

Quando ci si sveglia impauriti da un incubo, nel momento in cui si accende la luce ci si sente sollevati dal constatare che si stava sognando, e che eravamo immersi in un linguaggio specifico.

Questi bambini e le loro famiglie invece vivono nell’incubo, senza poter accendere la luce né avere la possibilità di richiamare la distinzione fra ciò che accade e appartiene all’interno e ciò che accade al di fuori di loro. Questa opzione non c’è.

La situazione traumatica è tale per cui le nostre potenti paure inconsce si determinano in eventi reali dei quali non abbiamo alcun controllo e da cui non si può scappare. Per i bambini esposti a tali eventi il pericolo incontrollato è fin troppo familiare ed è troppo spesso vissuto internamente, senza risorse interne, né familiari, né ambientali, in grado di fornire supporto e aiuto alla guarigione.

Quando c’è un fallimento nella guarigione dagli aspetti reattivi e dai sintomi che emergono dopo un trauma, si verifica un’alterazione dei sistemi neurali di base e si istituiscono adattamenti sintomatici cronici. Tutto ciò può alterare il fisiologico corso dello sviluppo nei bambini e determinare conseguenze psicologiche, fisiologiche e sociali per tutta la vita: patologie della relazione e dell’attaccamento, PTSD, ansia generalizzata, disturbi dell’umore, abuso di sostanze, comportamenti antisociali, violenti e abusanti, problemi di salute cronici e disturbi caratteriali.

In New Haven una collaborazione istituita è la CD-CP (Child Development - Community Policing), su richiesta delle forze dell’ordine, che ricevevano tante richieste d’intervento senza una formazione specifica che andasse incontro alle necessità di bambini o famiglie traumatizzate. Questa collaborazione include un training di tutti gli agenti di polizia sui principi psicoanalitici dello sviluppo del bambino e del comportamento umano. E fornisce risposte consapevoli al trauma appena avvenuto. Un servizio che opera 24 ore su 24, sette giorni su sette, e offre consulenze telefoniche, risposte immediate e collaborazione fra agenti, avvocati e clinici, visite alle vittime e alle famiglie e sostegno successivo. Questa collaborazione, che va avanti da trent’anni, attualmente è in grado di identificare bambini a rischio.

La CD-CP assolve alla necessità di osservare regolarmente i bambini e i loro genitori attraverso tutte le fasi delle reazioni traumatiche, ed è stato replicato e adattato in varie comunità, sia in Usa che in altri Paesi.

Queste osservazioni hanno sostenuto lo sviluppo del CFTSI (Child and Family Traumatic Stress Intervention), che si fonda sulla funzione centrale dei genitori come mediatori della possibilità per i bambini di incrementare le loro capacità autosservative e di sostenere i bambini stessi nell’acquisizione di una maggiore stabilizzazione di sé rispetto alle disregolazioni traumatiche.

Il CFTSI è diventato un protocollo su base analitica che ci ha fornito un insieme di conoscenze sulla fenomenologia del trauma infantile dalla prospettiva neurobiologica e cognitiva, con la ricchezza della teoria e della conoscenza analitica circa la complessa interazione fra mondo interno ed esterno e la traiettoria nello sviluppo della mente.

Lucrezia Baldassarre

Steele M, Hodges J, Hillman S, Kaniuk (2023).

Antidote to Developmental Trauma: A Report on Findings from the “Adoption and Attachment Representations” Study.

The Psychoanalytic Study of the Child, DOI:10.1080/00797308.2023.2279407.

Questo articolo è la sintesi dei risultati dello studio longitudinale “Adoption and Attachment Representations”, avviato 25 anni fa da un team di ricercatori in collaborazione con l’Anna Freud Center, il Great Ormond Street Hospital e i servizi sociali del Coram.

Tale studio, unico nel suo genere, ha esaminato, all’interno della matrice della teoria dell’attaccamento, la natura e lo sviluppo delle rappresentazioni mentali di genitori e bambini coinvolti in un percorso di adozione.

I dati sono stati raccolti in tre fasi per poter osservare l’evoluzione delle rappresentazioni interne dei bambini, in relazione ai modelli di attaccamento dei genitori, dal momento dell’adozione fino all’età adulta.

I bambini, tra i 4 e gli 8 anni, del campione di ricerca sono stati adottati “tardivamente”, mentre i bambini del campione di controllo erano stati adottati nei primi sei mesi di vita. Questa differenziazione, ha permesso di valutare gli effetti negativi delle molteplici esperienze di affidamento fallimentare che i bambini hanno sperimentato in concomitanza ad altri traumi precoci come maltrattamenti, abusi e trascuratezza.

Nell’articolo sono presentate le prime due fasi della ricerca. Nella prima, iniziata con la selezione dei genitori adottivi da parte dell’équipe dei servizi sociali, i ricercatori hanno valutato le rappresentazioni dei genitori e dei bambini sull’attaccamento attraverso l’AAI (Adult Attachment Interview); il livello cognitivo dei bambini; le rappresentazioni, i pensieri e sentimenti dei genitori nei confronti dei loro figli con la PDI (Parent Development Interview).

A partire dai dati raccolti, è stata confermata l’ipotesi per cui gli strumenti utilizzati per misurare l’attaccamento predicono con una significativa attendibilità punti di forza e possibili complicazioni che le famiglie adottive potranno incontrare sia al momento dell’adozione che nel periodo successivo.

I ricercatori hanno inoltre riscontrato un dato interessante: nonostante gli operatori non fossero a conoscenza dei punteggi emersi dalla somministrazione dell’AAI, i bambini con tasso di abuso maggiore erano stati collocati in nuclei familiari dove i profili genitoriali risultavano sicuro-autonomi. Questo dato ha messo in evidenza come gli assistenti sociali, implicitamente, riconoscessero i caregivers capaci di accogliere bambini più problematici ed offrire migliori possibilità di promuovere positivamente il loro sviluppo.

Incrociando i risultati dell’AAI con quelli della PDI hanno rilevato che le madri con profili sicuro-autonomi dopo una prima fase di “luna di miele”, in cui prevalevano gli aspetti positivi della relazione, riportassero a distanza di un anno sentimenti di frustrazione e senso di colpa davanti agli atteggiamenti di rifiuto dei figli. Tuttavia, al follow-up di due anni, il senso di colpa si attenuava ed emergevano nuovamente molte delle caratteristiche positive della relazione, confermando di fatto che le capacità di mentalizzazione dei caregiver è un fattore prognostico positivo per lo sviluppo di una buona relazione nei percorsi di adozione.

Uno degli aspetti centrali della ricerca è stato l’interesse degli autori per il mondo interno del bambino e lo sviluppo delle loro rappresentazioni nel tempo.

Tale dimensione è stata valutata attraverso lo Story Stem Assessment Profile, uno strumento di valutazione clinica e di ricerca non intrusivo, che consente di osservare le aspettative e le percezioni del bambino riguardo i ruoli familiari, l’attaccamento e le relazioni, attraverso l’utilizzo di storie da completare.

Nella prima fase di ricerca è emerso come i bambini adottati precocemente raccontassero storie che indicavano maggiori livelli di sicurezza nell’attaccamento, mentre nei racconti dei bambini adottati tardivamente erano prevalenti dimensioni di evitamento, disorganizzazione e rappresentazioni di adulti insensibili al loro disagio.

Nello specifico, è stata riscontrata una correlazione significativa tra profili irrisolti “U” e distanzianti “Ds” dei caregiver con fantasie catastrofiche, angosce persecutorie e aggressività nelle storie raccontate dai bambini.

A distanza di due anni, però, i bambini traumatizzati hanno mostrato un aumento dei temi di attaccamento sicuro rispetto alla valutazione iniziale. Questo dato dimostra come il legame intergenerazionale tra genitori non biologici e bambini è particolarmente importante a fronte delle esperienze traumatiche pregresse e l’età più avanzata al momento dell’adozione.

Tuttavia, al follow-up di due anni i temi riguardanti l’aggressività e la disorganizzazione nel gruppo sperimentale non sono diminuiti.

Questo aspetto riguarda la natura delle rappresentazioni mentali e mette in luce interessanti implicazioni per gli interventi terapeutici: sembra molto più facile accogliere e assumere nuove rappresentazioni positive che estinguere le rappresentazioni negative preesistenti.

Parte dello studio è stata dedicata alla co-costruzione di una maggiore consapevolezza nei genitori dei fattori che possono facilitare la relazione con i figli, attraverso l’utilizzo di video registrazioni delle interazioni “in vivo” della diade.

Le osservazioni hanno messo in luce come l’utilizzo del “noi” e l’utilizzo del nome del bambino da parte del genitore incentivassero una relazione positiva, mentre sottili espressioni di evitamento sono un potenziale indicatore di scarso attaccamento. Ma l’aspetto centrale circa la possibilità di costruire un contatto emotivamente positivo nella diade passava attraverso la capacità dei caregivers di saper tollerare il sentimento di rifiuto, senza sentirsi sovrastati dalla frustrazione, davanti all’evitamento e all’aggressività dei bambini traumatizzati.

Tutti i dati raccolti hanno portato all’identificazione di fattori prognostici positivi ai fini di uno sviluppo positivo del percorso di adozione, ed evidenziato ancora una volta l’importanza di un sostegno psicologico per tutti i caregivers con problematiche legate a traumi e lutti non elaborati.

La ricerca si è focalizzata molto sulla natura delle rappresentazioni mentali dei bambini adottati, e in particolare sullo sviluppo delle fantasie del loro mondo interno in relazione al nuovo contesto di accudimento.

Se per Bowlby le rappresentazioni mentali, Modelli Operativi Interni, si sviluppano a partire dalle esperienze reali, nel caso dell’adozione ci troviamo spesso di fronte a bambini che non hanno potuto fare esperienze dei genitori biologici nella realtà. Eppure, questi bambini, compresi quelli adottati alla nascita, hanno spesso rappresentazioni elaborate dei loro genitori che non hanno mai conosciuto. Inoltre, queste rappresentazioni si sviluppano contestualmente alle rappresentazioni dei genitori adottivi. Questi due ordini di rappresentazioni genitoriali interagiscono tra loro delineando una dinamica interna molto complessa e articolata.

Lo studio, collocandosi in una zona di fecondo dialogo tra ricerca e clinica, rappresenta un’interfaccia preziosa dove l’analisi della diade genitori-bambini offre suggerimenti importanti al clinico che lavora con bambini, adolescenti e caregivers nell’ambito delle adozioni.

Marco Carboni