Lilo & Stitch*1

Regia di Chris Sanders e Dean DeBlois (2002)**

giuliana bruno

“OHANA significa famiglia e famiglia vuol dire che nessuno viene abbandonato o dimenticato”. Come non citare questa frase che accompagna la vicenda del cartone Lilo e Stitch, in grado di suscitare, sia nei bambini che negli adulti, anche a distanza di anni dalla sua uscita nel 2002, emozioni intense e un coinvolgimento, ora divertito, ora più sofferto, nelle vicende dei suoi protagonisti alle prese con tematiche della vita sempre attuali.

Il cartone, senza i ritmi frenetici che caratterizzano spesso altre regie, permette di conoscere i personaggi apprezzandone la mimica, il movimento, i dialoghi. Diverte, commuove, e lo fa con delicatezza e semplicità accompagnando lo spettatore nella vicenda sempre più appassionante.

I protagonisti? Stitch, un piccolo alieno; Lilo e sua sorella Nana, abitanti della Terra, nelle isole Hawaii. Luoghi e storie parallele che, dopo i primi minuti, si incontreranno.

Il mondo alieno appare buffo, bizzarro, simpatico, ma ha un elemento di crudeltà rappresentato dallo scienziato che crea, con un esperimento genetico, 626: Stitch. Creatura che, negli intenti, deve essere molto potente, intelligente, capace di distruggere tutto ciò che tocca e ‘senza legami’. Ma il piccolo mostriciattolo sfugge alle capacità di controllo del suo ‘genitore’ mostrandosi ribelle e indomabile, tanto da non poter essere integrato nella società aliena. Così verrà espulso e spedito verso un asteroide deserto.

Stitch appare agli spettatori simpaticissimo da subito. È pura istintualità, un concentrato di corporeità: lo mostra con le sue smorfie, gli sputi che ricordano qualcosa della prima infanzia nei suoi tratti ribelli, primitivi. Gli spettatori gli vogliono bene da subito. Lo vediamo senza colpa per la sua natura e tifiamo per lui quando mette in campo tutta la sua forza per ribellarsi alla prigionia. Combatte con ingegno e la sua rabbia è necessaria per salvarsi dalla morte. Ancora speriamo nella sua salvezza mentre si dirige verso il mondo degli umani, modificando il suo destino, facendo quello che è definito ‘il salto’. Apprendiamo che la Terra, per gli alieni, è un luogo abitato da creature delicate e semplici grazie alle quali è garantita la sopravvivenza delle zanzare…

Incontriamo ora gli umani: Lilo, piccola bambina, carica di vitalità, premurosa verso i pesci affamati, è però rabbiosa perché non è compresa dal suo mondo, non è omologata alle altre bambine, intente, ad esempio, a imparare i passi di danza, mentre lei ancora non riesce a trovare un equilibrio né dentro di sé né con l’ambiente. Insomma, c’è qualcosa che ancora deve risolvere, non sa come fare per non esplodere, non si sente parte del mondo delle altre coetanee perché è diversa da loro. La sua rabbia verso le compagne si esprime nel morso che darà ad una di loro e poi in una lotta corpo a corpo. Questo fa sì che venga additata come “pazza” ed esclusa dal gruppo. Lilo però è anche una bambina abbastanza consapevole, tanto da essere addolorata per quello che succede, per i danni che sa di aver creato e che vuole riparare, chiedendo scusa e mostrandosi triste. Inoltre ha una risorsa: sa giocare – ha creato una bambola mostro grazie alla quale può esprimere le sue fantasie – ma non trova qualcuno che giochi con lei, che le possa condividere, si sente sola.

Lo scenario si allarga e incontriamo la sorella adolescente, Nana, alle prese con una vita che si è resa molto complicata perché le viene chiesto di crescere troppo presto e occuparsi di Lilo, diventandone tutore, dopo la morte dei genitori, mentre non ha ancora gli strumenti per farlo. Così la rabbia reciproca tra le sorelle esplode, e si affaccia la figura dell’assistente sociale che dà voce alle richieste della comunità, che chiede alle sorelle di adattarsi, di funzionare bene, pena l’espulsione della piccola Lilo dalla casa di famiglia.

L’assistente sociale sembra chiedere alle sorelle di stare nella realtà, di accettarla, prima che esse ne siano capaci.

“Siamo una famiglia disastrata” diranno le sorelle dopo una violenta lite e contattando tutto il dolore per aver perso i genitori. “Ti preferisco come sorella che come mamma…” dice Lilo, mentre può ritrovare il legame tenero con Nana. Il concetto di famiglia attraversa tutto il cartone:

“Ohana significa famiglia e famiglia vuol dire che nessuno viene abbandonato o dimenticato…”

sentiremo ripetere più volte.

Si parla allora di legami affettivi forti, che sostengono tutti senza esclusioni. Niente abbandono, niente espulsioni.

Lilo e Nana la famiglia l’hanno avuta, ma l’hanno persa troppo presto. Il loro dolore è legato alla malinconia, ai ricordi di ciò che era bello ma perduto, alla consapevolezza di non avere più quel contenitore solido affettivo: la famiglia.

Niente di più diverso dal mondo alieno che ha generato ed espulso Stitch, nato senza legami e che definisce gli umani ‘esseri delicati’.

Siamo al punto in cui i due mondi, nella vicenda, si incontrano. Stitch, senza legami, ma solo in cerca di un luogo in cui sopravvivere, si ritrova sulla Terra, mentre Lilo, triste e rabbiosa, ha espresso un desiderio importante: “Ho bisogno di un amico che stia sempre con me, un angelo…”. Nana comprende e spera che l’amico aiuti Lilo e forse anche lei. “Vorrei un animale che non muoia” dice Lilo, giunta al canile, un aiuto a non vivere solo perdite e dolore.

Stitch è pronto a farsi prendere e anche a sacrificare, camuffandola, la sua natura aliena pur di trovare accoglienza: cambia sembianze, si avvicina a quelle terrestri, fino a usare la voce per un “ciao” rubato agli umani, nel saluto.

Ora sembra iniziare la vera vicenda trasformativa, difficile e faticosa, proprio perché i protagonisti sono alieni l’uno all’altro, ma si incontrano per un bisogno di cui Lilo è più consapevole (“voglio un amico”) perché conosce i legami, mentre Stitch non sa neanche che cosa sia un amico o un’adozione. Per lui è tutto da scoprire e ce ne accorgeremo…

Una breve digressione: stimolata dalle situazioni parallele di Stitch e delle due sorelle, tutti e tre alle prese con una difficile integrazione nelle regole della società, dunque a livelli diversi ‘devianti’ rispetto alle norme condivise, ho ripreso in considerazione i lavori nei quali Winnicott parla delle condotte antisociali. Nei suoi scritti evidenzia una differenza tra l’esperienza di deprivazione e quella di privazione e collega queste esperienze a diverse ricadute sullo sviluppo. Nel testo di Winnicott Il bambino deprivato, sono raccolti molti scritti dedicati al lutto o alle conseguenze sullo sviluppo dei gravi deficit nelle cure fornite dall’ambiente nelle prime fasi della crescita. Winnicott sostiene che il bambino deprivato ha avuto qualcosa di buono che ha perduto precocemente, e dunque è impegnato nel segnalare all’ambiente il suo bisogno di ritrovare ciò che gli è stato tolto, anche con mezzi non consoni al vivere sociale, dunque ‘antisociali’, che sono segni di speranza.

Il bambino che ha vissuto una privazione invece non ha vissuto la dipendenza da un oggetto buono, non ha avuto un ambiente nutriente, anzi, forse, si è dovuto auto-contenere, inventare strategie di sopravvivenza, fino all’utilizzo di difese estreme come la psicosi o gravi comportamenti devianti. Il bambino privato non sa cosa cerca, perché non l’ha mai avuto.

Winnicott stesso era molto impegnato nel lavoro di sostegno dei bambini allontanati dalle famiglie durante la guerra, affidati a famiglie affidatarie, oppure orfani o gravemente deprivati, sin dall’inizio della loro vita, dell’esperienza di potersi affidare ad un ambiente attendibile. È estremamente interessante e di grande attualità ascoltare le sue parole quando invita, ad esempio, gli assistenti sociali o le istituzioni, a fare attenzione a non trattare tutti i bambini con condotte antisociali allo stesso modo. Fa riferimento, a tal proposito, a diverse tipologie di situazioni (sei categorie). Prenderò in considerazione solo due di esse perché mi sembrano particolarmente attinenti al nostro cartone.

La prima:

“la famiglia normalmente buona disgregatasi in conseguenza di una disgrazia capitata a uno o ambedue i genitori”.

La sesta:

“non c’è mai stata una famiglia”.

Inoltre invita a fare attenzione all’età in cui è venuto a mancare l’ambiente sufficientemente buono, alla natura dell’intelligenza del bambino e alla diagnosi psichiatrica.

Torno ora, dopo questa digressione, ai nostri personaggi e ai due mondi dai quali provengono. Ho provato a immaginare che Stitch potesse rappresentare il bambino privato, mentre Lilo e Nana l’esperienza della deprivazione. Stitch dirà, ad un punto del cartone, “perso”, realizzando la mancanza di una sua storia, di un luogo, mentre le due sue compagne di avventura, non si sono perse ma hanno perso i loro genitori.

Le due sorelle sembrano avere qualcosa in sospeso da elaborare e trasformare prima di poter rientrare nelle loro età per viverle pienamente anche nella dimensione sociale.

Stitch entra nella loro casa “adottato”, come spesso accade per i bambini adottati, portando tutta la sua vitalità, l’irruenza, la distruttività e il disorientamento. Lilo e Nana tentano di sopravvivere al terremoto che questo comporta ma che mobilita però molte risorse e possibilità di cambiamento. Stitch ricorda alcuni bambini molto sofferenti che a volte esplodono, in famiglia, a scuola o negli studi degli psicoterapeuti o nelle neo famiglie adottive, seminando devastazione, paura, rabbia, e mettendo a dura prova le capacità di tenuta degli adulti. Sappiamo che ci vogliono spalle forti e molte risorse affettive per superare questi momenti e far sperimentare al bambino un’ambiente che sia in grado di accoglierlo, contenerlo, offrendogli la fiducia nella possibilità di vivere un legame solido senza espulsioni o rifiuti. Winnicott ci ricorda, ad esempio, che a volte prima che bambini o adolescenti così sofferenti possano trovare sollievo con la psicoterapia è necessario un nuovo ambiente reale in grado di accoglierli.

Lilo sembra tentare questa impresa, col suo nuovo amico, tutt’altro che angelo, simpatico ma devastante… “possibile che puoi solo distruggere?” gli dirà dopo la divertente scena di Godzilla che rende l’idea dell’impulso puro, e anche della ricerca di una forma, di una identità da parte di Stitch. Lilo offre le cure che conosce, recuperandole dentro di sé; le conosce perché le ha vissute anche se le ha perdute. Il letto, una coperta, il latte, le favole, i giochi.

Lilo sa giocare e questo gli permette di incontrare l’istinto di Stitch, in parte anche il suo, e di accoglierlo con pazienza e affetto offrendo anche a Stitch una possibilità di raccontarsi e raffigurarsi la propria storia, attraverso la favola del brutto anatroccolo, ad esempio, che dà un messaggio di speranza.

Ma accogliere e convivere con Stitch, e con tutto quello di cui lui è portatore, non è facile. Uno sguardo a Nana, che non compare nel titolo del cartone ma che svolge invece un ruolo importante e significativo nella vicenda. Adolescente, con i suoi desideri frustrati, non può fare ‘casino’ dentro casa perché non ha la sponda dei genitori con i quali scontrarsi, anche per trovare i suoi confini e la sua identità. La sua casa reale, così, è nel caos, e questo comporta un rischio di fallimento, la punizione di perdere anche la sorella. L’assistente sociale spinge perché si adatti alla realtà saltando la sua adolescenza e diventando adulto sostitutivo, genitore della sorella. Che cosa terribile per un’adolescente… non è all’altezza, è sola. E vedremo bene come nel momento della disperazione, dopo gli infiniti guai combinati da Lilo e Stitch, potrà riemergere quando troverà il sostegno del ragazzo che concretamente “regge Lilo e Stitch” salvandoli da una pericolosa caduta in mare. Si affaccia per Nana e la sorella la possibilità di un nuovo legame… Ohana…

Stitch sembra sempre più contenere la propria impulsività e, accolto in un legame, e in un luogo fisico e psichico reale che non lo abbandona o dimentica ‘Ohana’, inizia a provare anche lui affetti fino ad arrivare al gran finale divertente e dinamico in cui lui stesso sarà promotore del salvataggio di Lilo e Nana che permetterà di ricreare “la famiglia.”

Qui il vero cattivo, creatore del male a sua immagine, viene isolato e gli adulti, l’assistente sociale, garante delle regole, e la leader della federazione Galattica degli alieni, diventeranno meno persecutori, anzi includeranno in un’unica famiglia Lilo, Stitch e Nana con un divertente stratagemma.

Ci avviamo ad una nuova fase della vita che segue la trasformazione e l’integrazione delle diverse parti. Ora ognuno si ricolloca: Nana cresce, lavora, ha il ragazzo, Lilo può giocare e Stitch è parte del suo mondo e della nuova famiglia.

È stata una bella e faticosa avventura con punti critici e dolenti, si è sofferto ci si è divertiti, commossi e poi sollevati.

**Commento pubblicato nella rubrica Visioni del sito SIPSIA in data 11.04.2020