Segnalazioni bibliografiche

Premessa introduttiva

In questo numero proseguiamo lungo il filo del doloroso tema del trauma infantile, osservandolo nella sua complessità transgenerazionale.

La narrazione delle storie familiari di bambini e adolescenti che hanno vissuto esperienze traumatiche ci espone spesso alla scoperta di gravi traumi, più antichi e molto profondi, vissuti da uno o entrambi i genitori, aprendo per noi psicoterapeuti interrogativi sulle istanze in gioco, sulla possibile riformulazione del progetto terapeutico, sul modello di intervento, sulla combinazione sapiente di più modelli o, tema ancora più complesso, su quale lettura teorica offra maggior respiro di analisi.

Quando il trauma viene da lontano, è già dentro a colui che genera e non ha potuto essere elaborato, come può “costituirsi” il bambino? Per questo è così prezioso curarci di comprendere ad un livello profondo come si sia alterato il luogo disponibile a quel winnicottiano “spazio potenziale” che consente al bambino di scoprire, in un crescendo maturativo, come entrare in oscillazione dialettica tra fusione e separatezza. Laddove vi è un’occupazione da parte di qualcosa di concreto, ego-alieno, non sembra esserci spazio per quell’aggiungersi graduale della relazione, necessario per lo sviluppo di una psiche sana, intera ed individuata. Per approfondire questi aspetti, l’articolo della Rosso ci presenta una ricca analisi della letteratura scientifica sul tema in questione. Attraversa interrogativi teorici, ma anche valutazioni concrete su interventi specifici, su possibili integrazioni terapeutiche e sulla reale opportunità offerta dall’intervento psicoanalitico, individuale per il genitore traumatizzato, della diade genitore-bambino, o anche combinato, per avviare processi elaborativi nella generazione precedente che possano affrancare i figli da pesi altrimenti inelaborabili. Il lavoro della Diez Grieser legge questo argomento attraverso il vertice della mentalizzazione, analizzando come il trauma comporti nei genitori difficoltà specifiche, per esempio nell’autoregolazione, ma anche difficoltà rappresentative legate alla relazione. Perciò, a loro volta non riescono a contattare, né ad usare come riferimento, le buone esperienze dei propri genitori per sviluppare la capacità genitoriale di mentalizzazione, come per esempio il percepire gli stati, i sentimenti e le espressioni dei propri figli, e rispondere a tutto ciò appropriatamente e con sensibilità, come essenziale per il processo di sviluppo dei bambini. Allora – lo leggiamo negli articoli che vi presenteremo – per offrire un intervento davvero trasformativo dobbiamo necessariamente partire da più lontano, nel “prima”.

Flora Gigli

Rosso AM (2022).

Psychoanalytic Interventions with Abusive Parents: An Opportunity for Children Mental Healt.

International Journal of Environmental Research and Public Health, 19, 13015.

https://doi.org/10.3390/ijerph192013015.

La Rosso affronta il tema del contributo della psicoanalisi alla comprensione delle dinamiche intrapsichiche di genitori abusanti, e analizza i dati presenti in letteratura sugli interventi terapeutici specifici ad orientamento psicodinamico. Viene presentata una revisione degli studi presenti nella letteratura scientifica sul tema, con particolare riguardo alle esperienze cliniche documentate; è specificato che la revisione si riferisce agli abusi fisici, nelle situazioni di maltrattamento e incuria, non includendo la materia relativa agli abusi sessuali, per la quale sussistono aspetti specifici non esplorati negli studi riassunti in questo lavoro.

Vi è ampio accordo nel ritenere che l’intervento precoce rivolto ai genitori può rivelarsi efficace nel limitare le conseguenze psicopatologiche a carico dei bambini, interrompendo la catena transgenerazionale nel ciclo degli abusi. È condiviso il dato per cui soggetti che subiscono maltrattamenti nell’infanzia possono sviluppare nella vita adulta disturbi psicopatologici, difficoltà di adattamento psicosociale, o divenire essi stessi genitori maltrattanti.

L’autrice introduce tale rassegna con considerazioni relative alla questione del possibile allontanamento di un bambino abusato dal nucleo familiare per essere collocato in situazioni residenziali o in famiglie affidatarie o adottive: seppur necessario ed inevitabile, in alcune circostanze, ai fini di proteggere il bambino, questa decisione ostacola la possibilità, per il bambino, di riparare la relazione con i genitori, sia in quanto persone reali che come rappresentazioni interne.

Viene richiamata la raccomandazione del Children Act (1989, Regno Unito) che stabilisce come lo sviluppo dei bambini sia favorito dal rimanere all’interno della famiglia, purché siano garantite le condizioni per la loro sicurezza. In quest’ottica, la possibilità di ‘riparare’ la relazione genitore-figlio rappresenta una priorità sociale; diviene quindi essenziale mettere a punto programmi di intervento e di prevenzione degli abusi nell’infanzia.

Gli studi ad orientamento psicoanalitico hanno estesamente indagato le motivazioni profonde del comportamento abusante. È frequente, nella storia del genitore, l’aver subito esperienze di abuso nell’infanzia; il passato non elaborato induce peculiari dinamiche psichiche, innescando una possibile trasmissione transgenerazionale dell’esperienza di abuso.

D’altra parte, non tutti i bambini abusati diverranno genitori abusanti. Questo dato richiama l’attenzione sui possibili ‘fattori protettivi e di resilienza’, in grado di interrompere il ciclo degli abusi.

Fra questi, la possibilità di sperimentare dolore per la propria storia infantile (aspetto già considerato negli studi pionieristici di Selma Freiberg), e di conservare anche ricordi positivi della propria infanzia. La funzione protettiva di questi fattori può essere favorita quando sussiste la possibilità di ricevere sostegno emozionale e sociale da parte di adulti significativi: poter fare affidamento su altri adulti sensibili e supportivi attenua i vissuti di soverchiante impotenza che il bambino sperimenta, tendendo a biasimare se stesso per il comportamento abusante del genitore, al fine di preservarne l’immagine interna. In presenza di aiuti specifici, risultano attenuati i meccanismi di diniego della realtà esterna che frequentemente si attivano, e si pongono le basi per processi di maturazione ed elaborazione dell’esperienza dolorosa.

Negli studi sulle dinamiche intrapsichiche osservate nei genitori abusanti, è stata evidenziata la preminenza di meccanismi di difesa rigidi e arcaici, come il diniego, la proiezione, l’identificazione con l’aggressore e il ‘reversal’ dei ruoli. Inoltre, nelle storie di abuso ricorrono situazioni in cui il genitore presenta una condizione di grave fragilità narcisistica, con il conseguente bisogno di ricevere dall’esperienza di genitorialità, e dal bambino stesso, un supporto al proprio Sé. In queste condizioni, il genitore ha un acuto bisogno di sperimentare il bambino come gratificante, e quando ciò non avviene il rischio di comportamenti abusanti diviene più elevato. Si comprende quindi come i bambini disabili o con disturbi dello sviluppo siano più soggetti, com’è noto, ad essere vittima di abuso: in questi casi il bambino, per sue caratteristiche, non può confermare l’immagine positiva del genitore.

Un altro versante di studio per la comprensione delle dinamiche dell’abuso è rappresentato dalle ricerche condotte con riferimento alla teoria dell’attaccamento: gli stili di attaccamento, la funzione riflessiva genitoriale, e le conseguenze sullo sviluppo della capacità di regolazione nel bambino sono stati ampiamente indagati in tali ricerche, con l’individuazione, nei nuclei familiari coinvolti in esperienze di abuso, di un ‘funzionamento riflessivo negativo’. Queste osservazioni sono alla base dell’introduzione di una serie di interventi centrati sull’attaccamento e sulla mentalizzazione, con ricadute importanti per lo sviluppo di un’adeguata capacità di regolazione nel bambino.

Nella sezione della revisione dedicata agli interventi terapeutici ad orientamento psicoanalitico, viene sottolineato come il focus sia centrato sul porgere aiuto al genitore nell’elaborare le esperienze passate e verso gli aspetti di vulnerabilità narcisistica. Ciò può avvenire con vari tipi di intervento: la psicoterapia genitore-bambino, il trattamento psicoanalitico individuale del genitore, gli interventi terapeutici fondati sulla mentalizzazione.

Gli interventi di psicoterapia rivolta al genitore e al bambino simultaneamente sono quelli più ampiamente documentati e indagati, all’interno di più articolati interventi di aiuto anche extra-analitici. L’analisi degli studi pone in luce, tra l’altro, il riconoscimento delle dinamiche profonde relative all’angoscia; l’importanza della relazione di transfert e controtransfert, con attenzione agli aspetti di transfert negativo al fine di consentire l’alleanza terapeutica; l’interazione con gli aspetti ‘di cornice’, come l’utilizzo di setting inconsueti, l’allestimento di aiuti extraterapeutici al nucleo, l’interferenza del coinvolgimento di istanze esterne alla relazione, come gli interventi prescrittivi da parte dell’istituzione giudiziaria.

Relativamente agli interventi di psicoterapia psicoanalitica individuale rivolti al genitore, le esperienze risultano meno numerose, per vari motivi, tra cui: la durata temporale, l’impegno economico raramente sostenibile per i servizi pubblici che prescrivono tali aiuti, ed aspetti interni che rendono difficile il coinvolgimento in una relazione di lunga durata e centrata sulle dinamiche personali profonde. Gli interventi condotti risultano peraltro di grande interesse per l’analisi delle dinamiche in gioco, sia intrapsichiche che nella relazione terapeutica; in alcuni approcci, risulta in primo piano l’intervento sugli aspetti di fragilità narcisistica del genitore, che talvolta orienta l’intervento dell’analista primariamente verso un rafforzamento della coesione del Sé. Nonostante il ristretto numero di casi trattati per un tempo adeguato e documentati, questo tipo di aiuto risulta estremamente prezioso ai fini dell’elaborazione dei vissuti di dolore, rabbia e disperazione che caratterizzano le storie di questi genitori. Viene posta la questione se, nel limitare così drasticamente il numero di trattamenti individuali rivolti a genitori abusanti, possano entrare in causa anche aspetti di controtransfert negativo nei terapeuti, in grado di ostacolare l’avvio di tali trattamenti.

Relativamente agli interventi di terapia fondata sulla mentalizzazione, il terapeuta può sostenere in modo significativo il genitore nel sintonizzarsi sullo stato mentale del bambino, favorendo una migliore regolazione affettiva. Questa capacità risulta particolarmente compromessa nel genitore che manifesta comportamenti di abuso, che per la propria storia traumatica spesso non ha sviluppato la capacità di elaborare il dolore emozionale, e ricorre inconsapevolmente alla difesa dell’identificazione nell’aggressore. Questo tipo di intervento si rivela particolarmente prezioso nei programmi preventivi rivolti alle gestanti a rischio, o condotti a partire dai reparti di maternità, con interventi sia individuali che di gruppo, per periodi peraltro brevi; non è documentata l’applicazione verso quei genitori che hanno sofferto esperienze di maltrattamento o grave incuria nell’infanzia, per i quali, risultano più efficaci gli interventi a lungo termine di psicoterapia genitore-bambino.

Risulta evidente che trascurare gli interventi precoci sulla diade madre-bambino, nelle situazioni descritte, può avere conseguenze devastanti sullo sviluppo ulteriore dei bambini abusati. La prevenzione del maltrattamento infantile e gli interventi rivolti a bambini e genitori coinvolti in esperienze di abuso costituisce pertanto una materia di interesse per la salute pubblica. L’approccio psicoanalitico alla materia degli abusi consente una profonda comprensione delle dinamiche in gioco e consente di intervenire a livello delle problematiche di base che sostengono le condotte di abuso e le conseguenze sullo sviluppo del bambino. È quindi fondamentale prevedere per il futuro l’allestimento studi controllati che possano documentare l’efficacia dell’intervento terapeutico ad orientamento psicoanalitico nelle situazioni di abuso.

Laura De Rosa

Diez Grieser MT (2024).

Letters without words: working with adolescents with severely traumatized parents.

Journal of Infant, Child, and Adolescent Psychotherapy, 23: 2, 179-190.

Doi: 10.1080/15289168.2024.2339524

In un complesso articolo, attraverso l’ottica della mentalizzazione, l’illustrazione generosa dei casi clinici di Ruth e Cassandra, due adolescenti, intende mostrarci come i genitori traumatizzati influiscono sullo sviluppo maturativo dei figli da un punto di vista transgenerazionale.

Generalmente il concetto di trasmissione transgenerazionale del trauma si riferisce al trasferimento di esperienze traumatiche e processi interni psicologici dai genitori ai propri figli e alle generazioni successive. L’autrice differenzia un primo livello in cui fantasie genitoriali, sentimenti, pensieri e comportamenti possono arrecare stress e traumatizzazione nei figli e un secondo livello che attiene alla reazione dei bambini.

I genitori traumatizzati presentano difficoltà specifiche, come l’autoregolazione e difficoltà rappresentative legate alla relazione e, a loro volta, non riescono a contattare le buone esperienze dei propri genitori. Concretamente, secondo l’autrice, gli effetti dei traumi genitoriali si possono osservare e verificare in molte aree della relazione, della capacità pianificativa, della percezione dei propri e degli altrui bisogni.

I bambini diventano perciò oggetti transferali del passato e i loro comportamenti vengono interpretati secondo lo script traumatico non elaborato genitoriale. Questa dinamica implica anche che i genitori non diventano per i figli una fonte relazionale e informativa credibile e affidabile, e i bambini diventano sospettosi e vigili nei confronti degli altri e del mondo: gli viene così a mancare la “epistemic confidence”.

Contemporaneamente i bambini cercano di adattarsi ai bisogni e ai pattern relazionali traumatici dei genitori per evitare conflitti, per entrare e rimanere in contatto con loro e modellano il loro mondo interno e i loro bisogni evolutivi di dipendenza in tal senso.

La mancanza di confini psicologici fra bambini e genitori traumatizzati rende molto complicato lo sviluppo di una robusta capacità di mentalizzazione.

Nell’esperienza clinica si incontra molto spesso il fenomeno dei “vasi comunicanti” in cui i bambini pensano e percepiscono contenuti genitoriali come propri. I traumi transgenerazionali sono tutti quei fenomeni che portano i piccoli di persone traumatizzate a sfinirsi con stati ed emozioni che non originano dalla propria esperienza. Questo allagamento affettivo sottopone i figli a sentimenti violenti senza ricevere un appropriato supporto dai genitori nella percezione e regolazione di tali tempeste come un fenomeno indiretto di tale trasmissione.

L’autrice si riferisce alla capacità di mentalizzazione, che promuove nel bambino la capacità autoriflessiva e che a sua volta influenza in modo decisivo la propria regolazione emozionale, il senso di auto efficacia e un attaccamento sicuro.

I compiti evolutivi e i cambiamenti neurobiologici che avvengono in adolescenza rendono questa fase della vita molto vulnerabile. La maturazione di capacità socio-cognitive e l’espansione della capacità di mentalizzazione espone ad una maggiore vulnerabilità nella quale i processi evolutivi potrebbero deragliare.

Inoltre, i processi identitari e di appartenenza spesso portano con sé il desiderio di narrazioni dei traumatismi genitoriali, i quali però altrettanto spesso non sono disponibili, non hanno la capacità o non desiderano di rendere queste narrazioni accessibili per i loro figli adolescenti. Questi ragazzi tendono a riempire questi gap fantasticando o attraverso degli acting out. Inoltre, molti adolescenti con genitori traumatizzati si sentono responsabili del benessere genitoriale in una inversione generazionale che può significativamente vincolare spinte evolutive e squilibrare lo sviluppo di sé stessi.

L’autrice si dedica con attenzione al silenzio, la mancanza di parole da parte dei genitori traumatizzati, che spesso si paralizzano quando si tratta di raccontare ai propri figli una parte della loro storia, e che, nella sua esperienza clinica, ha potuto vedere trasmettere silenziosamente messaggi ai loro figli. Tuttavia, spesso i figli ricevono lettere vuote e devono decifrare per conto proprio i messaggi genitoriali. La negazione, il mantenere il silenzio creano un’atmosfera specifica del “non conoscere” e del “non sentire” che rinforza i pattern traumatici compensativi nella relazione genitore-figlio.

Uno sviluppo difettoso dei confini psicologici tra le generazioni forma la base della trasmissione del trauma. Il confine tra due soggetti si disintegra o non può essere stabilito, e questo sembra essere ciò che rende difettoso lo sviluppo del bambino.

Attraverso un’interessantissima e dettagliata analisi dell’alterazione dei processi di mentalizzazione in questi casi, l’autrice sottolinea che coloro che sono esposti a tali esperienze prediligono “il modo del corpo”, che è la forma predominante dell’autoregolazione e della regolazione relazionale per le persone traumatizzate in età precoci. È il loro corpo che assorbe e reagisce: le rappresentazioni e specialmente le parole sono di poca importanza. Gli individui traumatizzati spesso sperimentano le parole come insignificanti, per cui non sono effettivamente in contatto durante la psicoterapia. Difatti, l’assenza di parole e il silenzio caratterizzano in modo particolare il lavoro con le persone severamente traumatizzate. Lo psicoterapeuta deve poter imparare ad ascoltare le varie forme del silenzio poiché questi pazienti sono intrappolati nell’abisso di un mondo senza parole, che richiede di essere supportati attivamente, per rendere disponibile la sua propria mentalizzazione. Dalla prospettiva della teoria della mentalizzazione i processi di trasmissione possono essere spiegati dalla incapacità da parte dei caregiver stressati mentalmente di percepire il bambino. Gli stati mentali della paura, del terrore, della disperazione, della rabbia o della tristezza che il bambino percepisce nei caregiver primari vengono percepiti come reazioni a lui stesso. Questo crea un sé alieno, e i processi mentali sono compromessi per via di questi spazi vuoti e di corpi estranei nel sé del bambino.

Nella terapia orientata alla mentalizzazione il controtransfert è lo strumento fondamentale per lavorare con adulti e bambini traumatizzati. Supporta nella comprensione della modalità in cui si trova il paziente e di quale tipo di interazione potrebbe essere utile. Altrettanto importante sembra essere la dimensione corporea: sentimenti e pensieri sorgono tra le corporeità e costituiscono materiale per stabilire un senso di sicurezza e di fiducia.

Lucrezia Baldassarre