Girl

Regia di Lukas Dhont (2018)

enrica fondi

Opera prima del regista belga L. Dhont, il film, oltre ad alcune candidature ai Golden Globes, nel 2018 ha vinto un premio al Festival di Cannes e agli European Film Awards.

Girl racconta la storia di Lara, 16 anni, che nata con un corpo da ragazzo sogna di diventare ballerina.

La famiglia, composta da un padre amorevole e un fratello piccolo, si trasferisce ad Anversa per consentirle l’ammissione all’Accademia di danza. Lara gode quindi di un pieno supporto familiare ed è seguita da un Centro specializzato in attesa di avviare la sua transizione che potrà liberarla da un corpo scomodo, “sbagliato”.

Il tema della difficoltà a confrontarsi, ad abitare un corpo che non si sente proprio, viene affrontato a partire da un contesto sociale come il Belgio, che appare del tutto inclusivo e facilitante per accogliere e affrontare le problematiche psicologiche di un adolescente alle prese con una disforia di genere, ma tuttavia non sufficiente a contenere la sofferenza interna di Lara.

Sofferenza che si sostanzia soprattutto nell’attesa sempre più intollerabile che le è imposta dai medici prima di affrontare le trasformazioni fisiche legate al cambiamento di sesso, fino a spingerla ad un gesto estremo.

Tutta la struttura narrativa di Girl è incentrata infatti su questa attesa: l’attesa di poter diventare donna, alla quale la protagonista oppone una sorta di furia crescente e inarrestabile.

Nella prima parte del film, in alcuni momenti di intimo dialogo, il padre tenta di mitigare l’urgenza di Lara, rassicurandola sul fatto che lei è già una ragazza.

“Sei già tutto quello che diventerai” dice, proponendole una rappresentazione di sé in un tempo presente che potrebbe prescindere dalla trasformazione chirurgica del suo sesso, come viene così crudamente prospettata dal medico, senza risparmiarne ogni preoccupante dettaglio.

Ma è una trasformazione alla quale Lara aspira ardentemente e senza alcun timore.

Viene in mente la celebre frase di S. de Beauvuoir (1949),1 “Donne non si nasce, si diventa”, che, nella complessità della cultura post femminista contemporanea, non può che contemplare un percorso identitario discontinuo e accidentato in un ampio spettro di molte possibilità, al di là della riassegnazione chirurgica del genere diverso dalla nascita.

Un percorso identitario, ricorda Lemma (2022)2 nei suoi lavori sull’identità transgender, non ha uno sviluppo lineare ma rizomatico, che necessita una elaborazione dei vissuti fantasmatici e delle identificazioni legate al corpo natale per poter integrare i cambiamenti fisici indotti dalle terapie ormonali e dalla chirurgia, pena il rischio di una sorta di nuovo rigetto psichico della mente del corpo trasformato.

Certo, non si può non leggere nel bisogno indefettibile di “diventare donna”, l’identificazione in Lara con un oggetto materno che è misteriosamente assente nella costellazione familiare, a suggerire l’idea di un vuoto da emendare.

Resta sullo sfondo l’enigma di un oggetto melanconico che muove la ragazza ad incarnare il ruolo di una madre attenta e amorevole prendendosi cura del fratello minore, del padre stesso e della casa.

Ma il punto di forza del film è la rappresentazione implacabile della violenta lotta che Lara ingaggia con e contro il suo corpo, testimoniando molto efficacemente la conflittualità intrapsichica che può essere sottesa alla disforia di genere.

Più in generale questa lotta ci racconta ancora una volta della sfida imposta dal corpo alla mente in adolescenza (Ferrari 1994),3 della pressione emotiva insostenibile che alimenta sempre questa sfida e della qualità distruttiva che si può manifestare nel corso del processo di embodiment adolescenziale.

Questa rappresentazione è affidata interamente alle ripetute sequenze delle lezioni, dove l’ambizione di Lara si misura con i modi e i tempi necessari per valutare la sua capacità di “evolvere nella danza”, come le dice la Direttrice.

Se quindi nelle interazioni familiari o con i pari Lara mostra la sua timida e intensa espressività di ragazza bella, gentile e sorridente, i momenti nei quali è alle prese con la propria intimità fisica nella sua stanza svelano il rapporto segretamente violento e costrittivo che intrattiene con il suo corpo, al quale destina un’attenzione ossessivamente metodica che appare intrisa di odio.

Un doppio registro che descrive efficacemente i meccanismi di scissione che l’adolescente può mettere in atto nel tentativo di proteggersi da angosce catastrofiche legate a vissuti e sensazioni corporee che faticano ad integrarsi con lo sviluppo puberale: il corpo infantile e i suoi oggetti e il corpo sessuato estraneo con cui confrontarsi e nel quale potersi riconoscere.

La macchina da presa segue nel dettaglio l’esercizio estenuante alla danza di Lara: vediamo un corpo maschile trasfigurato che si deve letteralmente contrarre e piegare, per poter conquistare leggerezza e flessuosità, librarsi nello spazio e fare piroette.

I piedi fasciati che sanguinano a causa dell’esercizio estenuante sulle punte, il nastro adesivo che comprime i genitali sono le espressioni più evidenti dell’ostilità verso le forme ed espressioni di quel corpo insopportabilmente inadatto al pas jeté e al rond de jambe, vissuto come un terribile intralcio per raggiungere i suoi ideali.

La sfida estrema di Lara è resa magistralmente dall’attore Victor Polster che è un ballerino dell’Accademia di Anversa e che per questa interpretazione è stato giustamente premiato.

La scelta del canone rigoroso e inflessibile della danza classica come spazio nel quale si può realizzare una transizione di genere è una scelta che colpisce per i suoi caratteri estremi e sembra riflettere una idea del gender un po’ schematica che lascia poco spazio a zone intermedie oltre l’identità binaria.

Nello stesso tempo una rappresentazione del corpo maschile e femminile così codificata è molto efficace per descrivere le fantasie fortemente idealizzate con le quali spesso gli adolescenti confrontano l’anatomia incongruente del corpo vissuto con il desiderio identitario.

Il corpo di Lara è compresso e oppresso nella danza nel tentativo di assomigliare il più possibile all’ideale che ha di sé, proprio come quello delle giovani anoressiche, altre farfalle senza peso, che affamano il corpo per assoggettarlo in modo esasperato a fantasie di perfezione onnipotenti, sottoponendolo al digiuno fisico ed emotivo.

Nella seconda parte del film il ritmo della narrazione si fa più incalzante, dal momento che l’urgenza di Lara si confronta con i limiti imposti dalla realtà.

Sono i limiti di tempo imposti dai medici alle sue richieste di aumentare gli ormoni e di procedere alla transizione chirurgica, quelli di una integrazione nel gruppo dei pari che non risparmia alla ragazza la curiosità morbosa delle compagne di accademia sui suoi organi genitali, sottoponendola alla vergogna e all’umiliazione della esibizione della “parte” più negata di sé.

Sono infine i limiti del suo stesso corpo che non regge la pressione e lo stress fisico a cui si sottopone, intensificando in modo parossistico l’esercizio fisico fino al collasso.

Quindi “il corpo accusa il colpo” (Van Der Kolk, 2014),4 impone una pausa forzata e la rinuncia a danzare nello spettacolo per il quale la ragazza si è preparata con tanto sforzo e dedizione.

Se la danza come dispositivo disciplinare rigido non può più garantire uno spazio per la mutazione del corpo, seppure domandolo e correggendolo impietosamente, viene a mancare nella mente di Lara quello pseudo-contenimento difensivo che poteva in parte arginare la spinta distruttiva verso i limiti di un corpo sessuato.

Il corpo maschile è un oggetto persecutorio che, non potendo cambiare con la stessa immediatezza imposta dal proprio desiderio, può essere solo attaccato, eliminato attraverso il gesto estremo dell’evirazione.

In questo modo feroce la ragazza tenta di liberarsi dei vissuti corporei intollerabili, agendo una pressione emotiva intensa che l’interprete trasmette con molta efficacia drammatica.

È una resa impotente che, come sappiamo, trasformando l’impazienza in furore, può portare l’adolescente ad attaccare violentemente il proprio corpo fisico, subordinando il dolore fisico al dolore mentale.

Al di là del tema della transizione di genere, questa impazienza rimanda all’impatto che per la mente dell’adolescente assume il timing ineludibile dello sviluppo puberale in un corpo sessuato che convoca ad un doloroso percorso di confronto e integrazione con il corpo natale infantile e con l’esperienza del sé.

Il finale di Girl è affidato all’immagine enigmatica del bellissimo volto di una Lara più cresciuta che ci lascia forse intendere che qualche passaggio trasformativo si sia compiuto.

*Rubrica a cura di E. Fondi, M. Rossi (coordinatrici), L. Cocumelli, G. D’Amato, A. Gentile

1De Beauvuoir S (1949). Il secondo sesso. Milano: Il Saggiatore, 2016.

2Lemma A (2022).Le identità transgender. Roma: Franco Angeli, 2023.

3Ferrari A (1994). Adolescenza, la seconda sfida. Roma: Borla, 1994.

4Van Der Kolk B (2014). Il corpo accusa il colpo. Trad. it., Milano: Cortina, 2015.