Segnalazioni bibliografiche*

Premessa introduttiva

Come è noto a tutti i professionisti nel campo della salute mentale, l’urgenza di alcune situazioni e il funzionamento dei Servizi spesso non permettono la gestione di interventi psicodinamici lunghi e complessi. Molti studiosi si sono posti il problema di come aiutare i pazienti in crisi o con difficoltà rilevanti, specialmente nella fase dell’adolescenza, offrendo loro spazi di pensiero e di riflessione in grado di permettere un’elaborazione di vissuti psichici che spesso si manifestano esclusivamente attraverso agiti rischiosi e distruttivi.

Gli articoli che abbiamo scelto di segnalare affrontano proprio queste tematiche. Il lavoro di Papadima et al., approfondendo il campo delle condotte autolesive e suicidarie in adolescenza, pone riflessioni interessanti sulla possibilità di effettuare un intervento breve, mantenendo nella mente dei clinici i punti saldi della formazione psicodinamica. Così anche l’interessante lavoro di Rinaldi, che portandoci delle riflessioni sulle difficoltà di attenzione e sull’iperattività, mette in evidenza gli strumenti di lavoro che il clinico, con una salda formazione psicodinamica, può mettere in campo, presentandoci la complessa articolazione di un caso di un giovane adulto.

Crediamo che per i clinici l’ancoraggio alla propria formazione personale, composta dal percorso individuale di analisi, dai seminari teorico-clinici e dalle supervisioni, sia il punto centrale per pensare in situazioni diverse e complesse, senza dimenticare la fondamentale importanza dell’elaborazione psichica per favorire la pensabilità di una serie di sintomi e comportamenti che sempre di più vediamo nella clinica con gli adolescenti e i giovani, ma anche nelle richieste di intervento che arrivano da pazienti adulti.

Silvia Cimino

Papadima M, Campbell C, Tzikas N, Nanji-Rowe F (2024).

Brief psychodynamic psychotherapy for adolescents and their families in crisis: a pilot study.

Journal of Child Psychotherapy, 1-28, DOI: 10.1080/0075417X.2024.2414736

L’aumento delle condotte autolesioniste e dei comportamenti suicidari tra gli adolescenti, ancor di più dopo la pandemia da Covid-19, ha comportato uno sforzo dei servizi di salute mentale per rispondere all’incremento delle richieste di intervento.

Di contro, i continui tagli alla sanità pubblica hanno determinato una carenza strutturale dei servizi, oramai sottorganico, che allungando i tempi delle liste di attesa hanno spinto gli adolescenti in crisi ad accedere al pronto soccorso, con il rischio di ingolfare ulteriormente un reparto già sovraccarico.

Per rispondere all’enorme richiesta di supporto, il servizio di salute mentale per l’infanzia e l’adolescenza di Enfield a Londra (Enfield CAMHS) ha strutturato un intervento breve per adolescenti con tendenza autolesioniste e suicidarie, basato sul modello della psicoterapeuta infantile Ruth Schmidt Neven.

L’articolo descrive l’esperienza del progetto pilota, durato due anni, che consisteva nell’offrire agli adolescenti e ai loro genitori un pacchetto di 12 sedute di terapia dinamica.

Le autrici sottolineano come tale progetto abbia integrato concetti psicoanalitici come l’osservazione del bambino, il transfert ed il controtransfert del terapeuta, con quelli della tradizione sistemica in cui si evidenziano la natura interattiva e interdipendente delle dinamiche familiari. Lo spirito di tale commistione non è stato teorico ma pragmatico, favorito dalla necessità di continuare ad offrire un servizio terapeutico al netto degli effetti destabilizzanti della pandemia e degli anni di austerità economica nel Regno Unito.

Uno dei punti cardine dell’articolo e del modello stesso ruota attorno alla necessaria riformulazione del concetto di crisi. Questa viene considerata come un’opportunità da esplorare piuttosto che una situazione emergenziale da ricomporre il prima possibile.

Nonostante il dolore e le turbolenze affettive, una crisi familiare, soprattutto in situazioni ad alto rischio di autolesionismo o ideazione suicidaria, rappresenta un’opportunità per scoprire un significato sia per gli adolescenti che per i genitori, consentendo di articolare tematiche complesse nel momento in cui le difese contro il dolore psichico si abbassano e la consapevolezza su ciò che sta accadendo è maggiore. Questo ha permesso di considerare la crisi come una possibilità di suscitare un cambiamento evolutivo nella famiglia, con i genitori che partecipano attivamente a tali trasformazioni. Tutto questo ha consentito di ridurre i potenziali fattori di rischio in tempi relativamente brevi.

La necessità di strutturare interventi brevi ed efficaci per la prevenzione e la gestione di tali crisi ha sollevato degli interrogativi; le autrici sottolineano come non sia ancora sufficientemente chiaro quali fattori siano più funzionali di altri e quale sia il motivo alla base. Nell’articolo vengono presentati e discussi i principi guida del progetto proprio per tentare di rispondere a tali interrogativi.

Un primo punto riguarda la durata dell’intervento. Spesso, nonostante la terapia a lungo termine possa essere considerata l’intervento di elezione in alcuni casi, gli adolescenti stessi possono richiedere interventi a breve termine, sospinti da dinamiche evolutive legate alla dipendenza che si giocano con particolare forza in questa fase dello sviluppo.

In seconda istanza, un modello di intervento circoscritto nel tempo si è mostrato coerente sia con i limiti del sistema sanitario che con le risorse che le famiglie erano in grado di investire nel trattamento della crisi.

Le autrici, inoltre, riportano come la letteratura scientifica consideri la psicoterapia breve un’opzione valida per il trattamento degli adolescenti autolesionisti con pensieri suicidari.

Allo stesso tempo, però, viene sottolineato come la formazione psicoanalitica sia una risorsa essenziale, capace di fornire ai medici e a tutti gli operatori gli strumenti necessari per creare e mantenere uno spazio di riflessione adatto a sostenere un pensiero critico, anche di fronte ai tumulti emotivi, indispensabile nel lavoro con gli adolescenti.

Coniugando i due campi, il supporto al rischio suicidario e la terapia, viene promossa l’integrazione della terapia nel lavoro sull’emergenza e contestualmente viene ridefinito il ruolo stesso dell’intervento sulla crisi in adolescenza.

La lente psicoanalitica, secondo le autrici, permette di riconcepire la crisi come un processo trasformativo significativo, che spinge verso il cambiamento. Non è ancora chiaro quando si verifichi una crisi e quale sarà il cambiamento, ma questa può essere pensata come una deviazione temporanea dal percorso di sviluppo, in cui si schiudono diverse possibilità evolutive per l’adolescente.

In continuità con una prospettiva psicoanalitica la valutazione del rischio adolescenziale non è affidata alla somministrazione di reattivi ma all’ascolto dei ragazzi e all’osservazione delle dinamiche familiari. In tal senso, più che ricercare le costanti necessarie per inquadrare i casi in categorie diagnostiche, le autrici sottolineano la singolarità e la specificità di ogni situazione familiare, ponendo particolare attenzione a ciò che appare ovvio o scontato, proprio per non cadere nel rischio di banalizzare il sintomo.

Un altro punto centrale dell’intervento dinamico breve, proposto nell’articolo, è il coinvolgimento diretto dei genitori nel trattamento. Tendenzialmente gli adolescenti si stanno muovendo verso una maggiore indipendenza e hanno bisogno di spazi separati; tuttavia, per le autrici, separare gli adolescenti dai loro genitori in questo momento critico appare prematuro e controproducente. In questo senso, l’adolescenza può fornire l’ultima finestra a disposizione per una terapia che unisca genitori e figli insieme, nel tentativo di comprendere la crisi all’interno della traiettoria di sviluppo dei ragazzi.

Coinvolgere i genitori nel lavoro sulla crisi con gli adolescenti arricchisce il lavoro terapeutico estendendo il campo, da un lavoro prettamente supportivo, verso dimensioni di carattere esplorativo che offrono la possibilità di strutturare un cambiamento più duraturo nel tempo.

Inoltre, il coinvolgimento attivo dei genitori consente di costruire una maggiore consapevolezza di ciò che realmente potrebbe accadere ai figli ed è stato scotomizzato a causa della forte angoscia che interessa tutto il nucleo allargato. Acquisendo familiarità con le difficoltà dei loro figli, e riconoscendo come queste possano essere legate alle loro stesse esperienze pregresse, i genitori diventano più ricettivi e disponibili all’ascolto. Questa maggiore apertura aiuta gli adolescenti a sentirsi accolti, consentendo loro di procedere con maggiore sicurezza verso l’indipendenza.

Il quadro presentato nell’articolo amplia l’ambito d’indagine su due dimensioni: una orizzontale, che si estende oltre il nucleo familiare per includere tutti gli ambiti di sostegno attorno all’adolescente, ed una verticale, che interessa le dinamiche intrapsichiche e le forze inconsce sottostanti i sintomi osservabili.

La prospettiva psicoanalitica, inoltre, è essenziale per esplorare i desideri inconsci, l’angoscia di morte, le fantasie suicidarie e i processi proiettivi che intercorrono nelle dinamiche familiari e giocano un ruolo centrale per la valutazione del rischio reale di compiere degli agiti.

Per far fronte alla complessità delle dinamiche e all’urgenza della crisi, il modello di intervento prevede il lavoro congiunto di due terapeuti: uno per l’adolescente e l’altro per i genitori.

I vantaggi di questa collaborazione sono triplici. In primo luogo, permette di creare una struttura contenitiva vitale per i terapeuti quando si lavora con l’autolesionismo e l’ideazione suicidaria. In secondo luogo, date le intense emozioni e la tendenza alla scissione che queste situazioni suscitano, il lavoro congiunto dei terapeuti può accelerare i processi di cambiamento e condurre a risultati migliori.

In terzo luogo, si è dimostrato un valido deterrente per un’eccessiva identificazione dei singoli terapeuti con gli adolescenti o con i genitori, consentendo di mantenere una prospettiva terza più equilibrata.

A conclusione dell’articolo, basandosi sull’osservazione clinica, i risultati confermano come il modello psicodinamico breve sia efficace nella riduzione del rischio suicidario, dei comportamenti autolesionistici e riduca sensibilmente gli accessi al pronto soccorso.

Inoltre, è stato registrato un cambiamento significativo nel modo in cui adolescenti e genitori affrontavano la crisi che stavano attraversando e comunicavano reciprocamente le rispettive problematiche.

Marco Carboni

Rinaldi M (2024).

Psychodynamic psychotherapy for time distortion in attention deficit hyperactivity disorder.

British Journal of Psychotherapy, 40, 4, 530-548.

L’ADHD è una condizione che affligge il 5% circa della popolazione mondiale adulta: combina disattenzione e comportamenti impulsivi-iperattivi con sottotipi legati a uno solo dei due fattori. Esordisce durante l’infanzia e comporta significative compromissioni in varie situazioni.

Il protocollo 2010 NICE UK prevede programmi di training genitoriale per bambini sotto i cinque anni, dopo i quali viene proposta una terapia cognitivo-comportamentale focalizzata sulle competenze sociali, il problem-solving, l’autocontrollo, competenze di ascolto attivo ed eventualmente viene presa in considerazione l’espressione emotiva.

Sempre dai cinque anni in poi vengono raccomandati farmaci psicostimolanti come la lisdexamfetamina, l’atomoxetina e il metilfenidato.

A livello cerebrale si riscontrano differenze strutturali associate all’ADHD nel corpo calloso, nel cervelletto e nei nuclei basali, e una ipoattivazione funzionale della corteccia frontale e dell’area del cingolo. Vengono inoltre implicati il circuito frontostriatale formato dalla corteccia prefrontale laterale, la corteccia cingolata dorsale anteriore, il nucleo caudato e il putamen, oltre al lobo parietale, il lobo occipitale e il ventricolo laterale. Si può affermare che tali neurodivergenze incidono sulle capacità esecutive, e dunque la gestione del tempo e la programmazione diventano complicate.

Le persone con ADHD scelgono spesso, in maniera impulsiva, progetti che non rientrano in una gestione del tempo realistica: questa distorsione percettiva del tempo comporta una sopraffazione e un travaglio emotivo che genera il rinvio o l’evitamento di tali progetti.

Nonostante l’alterata cronocezione sia un sintomo dell’ADHD, alcuni autori come Weissenberger sostengono che ne sia la causa.

In sostanza, una persona con ADHD vive la vita come una frettolosa sequenza di eventi, in cui è quasi sempre in ritardo: il rammarico, la colpa e l’ansia che ne derivano non fanno che peggiorare il loro tempismo, o per meglio dire il loro mancato tempismo in molte delle cose che scelgono di fare.

Questi pazienti hanno un’alta disregolazione emotiva, che da un lato può essere considerata un altro elemento centrale di questa patologia ma, allo stesso tempo, si mescola con la loro preesistente attenzione, memoria di lavoro e quindi il deficit di stima del tempo.

Proprio questo è il punto che a Rinaldi interessa sottolineare attraverso l’illustrazione puntuale di numerose ricerche nell’ambito della ADHD, correlate con le neuroscienze, perché possono collegarsi a una prospettiva psicoanalitica.

Gilmore, per esempio, mette in luce con preoccupazione che nei bambini ci si concentra sulle manifestazioni comportamentali dell’ADHD e ci si orienta su trattamenti comportamentali a scapito dell’esperienza interna vissuta. Tale prospettiva determina un sovraccarico di impulsi provenienti dall’Es, disregolazione affettiva, difficoltà nelle trasformazioni, bisogni sensoriali e una ridotta capacità di sviluppare un super-io e controllo di sé: saremo dunque nel regno di comportamenti impulsivi e iperattivi che si osservano in questa patologia. Anche le funzioni integrative sono fluttuanti, in quanto dipendenti dalla natura di un oggetto interno che vacilla fra ostilità e accoglienza.

In questo quadro sarà molto complicato per i piccoli pazienti usufruire delle funzioni ausiliarie dell’Io del terapeuta: i progressi vengono velocemente dimenticati e c’è un alto rischio che il trattamento venga bruscamente interrotto. Le difese narcisistiche, maniacali e ossessive colorano i sintomi dell’ADHD e questi sintomi finiscono con il controllare l’oggetto, che appare aggressivo per via dell’aggressività proiettata del piccolo paziente. Gli psicoanalisti concordano che la terapia psicodinamica è trasformativa e si può ben accostare a interventi comportamentali e farmacologici.

Gli interventi comportamentali che lavorano sulla gestione del tempo si sono dimostrati utili nel miglioramento dei sintomi dell’ADHD; tuttavia le cause – la mescolanza fra la disregolazione dell’Io e gli stati emotivi disregolati – sono trascurate, a meno che non vengano trattate direttamente da farmaci psicostimolanti, dato il loro effetto nel circuito neuronale citato precedentemente. Inoltre, i farmaci agiscono solo se il paziente concorda, e il loro uso può essere associato a effetti indesiderati come insonnia, ansia e perdita di peso.

L’autore, attraverso l’accurata narrazione di una psicoterapia psicodinamica della durata di nove mesi, a frequenza monosettimanale, con un paziente di vent’anni con ADHD, in stallo con gli studi universitari, ci mostra nel dettaglio come le trasformazioni psicodinamiche rispetto alla cronocezione hanno rappresentato il riavvio dello sviluppo psichico che era in stallo dall’infanzia nell’attuale giovane adulto.

Il modello psicodinamico tiene in considerazione questo arresto e promuove lo sviluppo lungo la sequenza temporale psichica. I punti sui quali paziente e analista hanno lavorato sono: il sostegno dell’Io, il contenimento, le trasformazioni comportamentali, la trasformazione delle difese, i conflitti edipici e il lavoro del lutto. Una particolare attenzione viene data al coinvolgimento dell’analista durante le sedute in cui da un assetto neutrale passa all’incoraggiare il paziente all’autoriflessione.

L’analista si descrive curioso degli stati emotivi del paziente ed è attento sia a rispecchiarli attivamente che ad aiutare il giovane adulto a espandere la sua conoscenza emotiva, suggerendo parole e lessico appropriati per momenti della sua vita, vissuti e descritti vagamente come “piuttosto strani”.

Attraverso tali esplorazioni, questi momenti si colorano di vergogna, rimpianto, furia e settimana dopo settimana le sue memorie diventavano vivide e ricche di sfumature. Alla fine dell’incontro il paziente commentava come la seduta fosse trascorsa velocemente, e l’analista pensava a come vola il tempo quando ci si diverte, e anche a quando lo si usa percependo un senso di adeguatezza temporale.

Durante questa psicoterapia breve il paziente ha approfondito la sua relazione con il tempo, dapprima soggettivo poi oggettivo, e con la realtà.

L’autore si augura che questo articolo possa aiutare gli psicoterapeuti psicodinamici a lavorare con pazienti con ADHD, favorire ulteriori studi sperimentali e analisi economiche che vadano a beneficio della terapia psicodinamica per questa patologia, e che questo metodo venga inserito nei protocolli governativi e riconosciuto nei percorsi assicurativi. Infine, sostiene che la risonanza magnetica funzionale e ulteriori ricerche aiuteranno i terapeuti a raffinare il loro approccio verso questa patologia.

Lucrezia Baldassarre

*Rubrica a cura di: F. Gigli (coordinatrice), M. Carboni, S. Cimino, L. Baldassarre, L. De Rosa, A. Flori, V. Garms.